NICOLETTI, Francesco
NICOLETTI, Francesco. – Nacque a Trapani tra il 1703 e il 1709, da Pietro (Manfredi, 1991; Ricciutelli, 2007, p. 254 n. 2).
Non si conoscono le circostanze della sua prima formazione, probabilmente influenzata precocemente da Giovanni Biagio Amico (1684-1754), architetto e teorico dominante nell’ambito trapanese.
Si spiegherebbe così la definizione di «juvenem Architecturae gnarum» attribuitagli dall’antichista olandese Jacques Philippe d’Orville che, di passaggio a Trapani nel suo tour archeologico della Sicilia, il 17 giugno 1727 lo assunse come illustratore del libro Sicula, quibus Siciliae veteris rudera…, pubblicato postumo ad Amsterdam (D’Orville, 1764, p. 56; Pagnano, 2001, pp. 89-91). Lasciata l’isola il 26 luglio, d’Orville condusse con sé Nicoletti nel viaggio verso Roma, dove rimase da novembre fino a tutto l’inverno, visitando la città e frequentando biblioteche e ambienti eruditi grazie all’influente amicizia dei colleghi Francesco Bianchini e Giusto Fontanini, e dei cardinali Pietro Ottoboni, Melchior de Polignac e Alessandro Albani (Oraison..., 1752, p. 303).
In questo contesto Nicoletti mise a punto i suoi disegni delle antichità siciliane, caratterizzati da diversi arbitrari adeguamenti ai canoni vitruviani, ma anche da una raffinata tecnica di rappresentazione, quasi pittorica, evidentemente frutto di una formazione interdisciplinare. Allo stesso tempo si applicò al progetto che il 9 dicembre 1728 fu proclamato vincitore ex aequo nella prima classe del concorso Clementino dell’Accademia di S. Luca sul tema di una «gran Piazza a vista di un Porto di mare» (Marconi - Cipriani - Valeriani, 1974, I, nn. 332-335).
Rispetto all’interpretazione aulica del tema offerta dagli altri due vincitori, Carlo Marchionni e Giovanni Maria Quaglio, Nicoletti si distinse per l’armonica dislocazione delle quinte architettoniche rievocanti la Palazzata di Messina e per le ariose soluzioni a diaframmi porticati mutuate dal porto fluviale ideato dal messinese Filippo Juvarra nel progetto di una villa per tre principi, vincitore della prima classe del concorso Clementino del 1705.
Non è noto a quale dei potenti amici di d’Orville Nicoletti dovette il privilegio di partecipare direttamente alla prima delle tre classi del concorso accademico. Ma fu certamente il cardinale Ottoboni a introdurlo nell’ambiente juvarriano, affiancandolo a Pietro Passalacqua, allievo e nipote acquisito del grande architetto che era stato al suo servizio come scenografo fino al trasferimento a Torino nel 1714 (Manfredi, 1989; 2010, pp. 317-450). Dopo la partenza di d’Orville, Nicoletti fu accolto nella famiglia di Passalacqua, con il quale iniziò una lunga collaborazione, documentata fin dall’estate 1728 nel modesto cantiere della facciata della chiesa di S. Francesco a Monte Mario (Varagnoli, 1995, p. 94). Accanto a Passalacqua visse per dieci anni, nel mito dell’universo creativo di Juvarra devotamente cristallizzato dall’allievo. Perciò, nonostante avesse avuto anch’egli modo di frequentare personalmente Juvarra durante il suo prolungato soggiorno a Roma da febbraio ad agosto 1732 (Manfredi, 2001; 2008), ne subì soprattutto l’influenza indiretta per le memorie visive delle spettacolari scenografie allestite molto tempo prima nel teatro della corte ottoboniana alla Cancelleria, dove Passalacqua continuava a gravitare associato al collega Domenico Gregorini.
Intanto, il credito di architetto antiquario acquisito al seguito di d’Orville gli aveva fatto guadagnare la stima di Bianchini per il quale elaborò la suggestiva veduta prospettica dell’area dell’antico Campidoglio pubblicata a nome di «Francesco Nicoletti da Trapani», con la data 1729, nell’opera postuma di Bianchini Del Palazzo dei Cesari, seguita da altre due tavole non firmate a lui attribuibili (Bianchini, 1738, tavv. 17-19; Millon, 1993; Merz, 2001; Manfredi, 2010, p. 306).
Ancora nell’ambito delle amicizie romane di d’Orville si collocò l’incarico ricevuto dal cardinale Polignac, quale ambasciatore francese a Roma, di eseguire i disegni degli sfarzosi apparati festivi per la nascita del Delfino di Francia, celebrata dal 20 al 30 novembre 1729 in piazza Navona e nel cortile di palazzo Altemps, con la direzione artistica rispettivamente dei pittori Giovanni Paolo Panini e Pier Leone Ghezzi (Benocci, 1988, pp. 209 s.). Anche se non è improbabile che Nicoletti avesse avuto parte nella fase progettuale di queste opere, dovette attendere fino al 1737-38 per apparire in prima persona come autore di altri apparati effimeri: quelli realizzati per i gesuiti e per i serviti in occasione degli ottaviari delle canonizzazioni di Francesco de Regis (chiesa del Gesù, 17-24 novembre 1737) e di Giuliana Falconieri (chiesa di S. Marcello al Corso, 19-26 giugno 1738; Coccioli, 1997; Casale, 2001).
Si trattava probabilmente delle prime opere svolte autonomamente nell’ambito della collaborazione con Passalacqua e Gregorini. A costoro è da ricondurre, indirettamente, anche l’incarico ricevuto nel 1740 dal preposito generale dei gesuiti Franz Retz di ristrutturare la chiesa del Sacro Cuore a Fabriano, e poi di ricostruirla interamente dalle fondamenta a seguito dei danni provocati dal terremoto dell’aprile 1741 (Bösel, pp. 62-64, 66 docc. 13, 14).
In questo suo primo significativo progetto Nicoletti attinse infatti alle fertili sperimentazioni tra neoborrominismo e reminescenze juvarriane condotte da Gregorini e Passalacqua sia nell’oratorio del Ss. Sacramento in S. Maria in Via, ultimato nel 1730, sia nella chiesa dell’Assunta a Rocca di Papa, costruita a partire dal 1731. A quest’ultima opera, non più esistente, si ispirava in particolare l’impianto rettangolare ad angoli smussati, tendente all’ovale, della chiesa fabrianese costruita entro il 1743 dal medesimo capomastro, Pietro Paolo Alfieri, che dieci anni prima aveva diretto il cantiere a Rocca di Papa e che, tra l’aprile e il luglio 1735, aveva accompagnato Passalacqua a Dubrovnik per lavori al servizio dei gesuiti insieme a un «consocio» da individuare forse nello stesso Nicoletti (Marković, 1981; Varagnoli, 1995, pp. 80, 92 n. 120, 94 nn. 146-149).
Nello stesso arco di tempo Nicoletti e Alfieri furono impegnati a Fabriano, in lavori interni alla chiesa domenicana di S. Lucia (Bösel, p. 66 doc. 14), e in altre zone delle Marche colpite dal terremoto tra cui Recanati, dove, sempre per i gesuiti, tra febbraio e novembre 1743 Alfieri ricostruì su disegno di Nicoletti la facciata della chiesa di S. Vito, il cui irreversibile cedimento dopo appena tre anni sottopose entrambi all’umiliante decisione dei padri di abbatterla e affidarne ad altri la seconda ricostruzione (Biancolini - Chierici, 1979; Grimaldi, 2006; Cruciani, 2010).
Le controverse vicende professionali nelle Marche non sembrarono incidere sull’evoluzione dell’attività romana di Nicoletti, ancora segnata dalla creazione di apparati effimeri celebrativi: per i gesuiti, nel cortile del Seminario romano (difesa teologica di Giuseppe Spinola, 6 luglio 1741), per i camilliani, nella chiesa di S. Maria Maddalena (triduo per la beatificazione di Camillo de Lellis, 5 maggio 1742), e per i francescani minori osservanti, nella chiesa di S. Maria in Aracoeli (ottavario della beatificazione di Pietro Regalato, 16 settembre 1746; Rangoni, 1997; Casciati, 1997). Così come era accaduto per i gesuiti, anche per i camilliani gli incarichi di architetto decoratore furono il preludio di commesse durature, riguardanti la sistemazione interna della chiesa della Maddalena e lavori all’attico del contiguo convento per ricavarvi la «nova libreria» (Marino, 1995).
L’attività di Nicoletti all’interno della chiesa iniziò con la prima cappella a sinistra, di S. Rosalia (poi dell’Assunta), attribuitagli nell’edizione del 1745 di Roma antica e moderna, proseguì con la cappella di S. Camillo de Lellis, a destra della crociera, e con l’altare maggiore, entrambi consacrati tra il 1749 e il 1750, ma completati nel 1757, contestualmente all’impiallacciatura marmorea della navata e dell’abside compiuta tra il 1753 e il 1758: una raffinata operazione estetica che esaltava la vibrante ondulazione plastica dei coronamenti delle due cappelle, soprattutto di quella di S. Camillo, la cui articolata controcurvatura risultava in evidente contrappunto con la piatta aderenza dell’altare maggiore alla concavità dell’abside e ancora più con la scarna decorazione dell’isolata cappella del Crocifisso, compiuta nel 1764.
L’ammissione di Nicoletti nella corporazione religiosa dei Virtuosi al Pantheon, il 12 dicembre 1749 (Bonaccorso - Manfredi, 2001; Tiberia, 2010), coincise con il suo ingresso nella gerarchia professionale romana, come ‘pubblico architetto’, consultato nella causa intentata da Emanuele Rodriguez Dos Santos contro i padri trinitari del riscatto (Manfredi, 1991) e chiamato dall’orafo Filippo Tofani – anch’egli legato ai gesuiti – per la ristrutturazione della sua casa posta tra via della Vite e via Mario de Fiori, compiuta tra il 1749 e il 1750, senza particolari connotazioni stilistiche (Manfredi, 1991; 2003).
La precoce formazione erudita, il successo accademico e l’evidente predisposizione per gli apparati cerimoniali fin dall’inizio lo avevano indirizzato verso la carriera di architetto di corte, aspirazione che esaudì parzialmente, quando, nel settembre 1748, entrò al servizio del principe Girolamo Pamphili come ‘architetto straordinario’ (aggiunto all’‘architetto ordinario’ Paolo Ameli). Forse travalicando le reali prerogative della carica e le intenzioni del principe, nei successivi tre anni elaborò diversi progetti per i possedimenti dentro e fuori Roma dei Pamphili, la maggior parte dei quali rimasti inattuati (Benocci, 1988). Il dettagliato elenco di tutto il suo lavoro presentato in forma di supplica a papa Benedetto XIV per indurre il principe Girolamo a disporne la retribuzione, comprende progetti non eseguiti per la sistemazione e il rinnovamento del palazzo al Corso (galleria degli Specchi, appartamento Aldobrandini, scalone) e della villa del Belvedere a Frascati (facciata e galleria), il restauro del casino e giardino segreto della villa Vecchia e l’arredamento della palazzina dell’Algardi compiuti tra il 1749 e il 1751 nella villa fuori Porta S. Pancrazio, e la realizzazione degli apparati per l’esposizione del Sacramento nella chiesa di S. Agnese in Agone.
Tra le varie testimonianze agli atti della causa legale originata dalla supplica al papa e conclusasi con il parziale riconoscimento delle spettanze di Nicoletti, quella congiunta del pittore Giuseppe Agricola e dell’architetto Melchiorre Passalacqua, divenuto suo collaboratore dopo la morte del padre Pietro (1748), riferiva esplicitamente i disegni per le gallerie del palazzo romano e della villa di Frascati al «gusto francese» (Benocci, 1988, p. 237). Ma è soprattutto nella decorazione interna del casino della villa Vecchia che è possibile identificare tale gusto in una interpretazione tutta romana del rococò, fatta di soffusi rilievi plastici e di brillanti contrappunti cromatici accordati alle decorazioni pittoriche.
Nonostante le controversie finanziarie, il principe Pamphili aveva imparato ad apprezzare la maniera compositiva di Nicoletti, e alla morte di Ameli, nel 1752, gli assegnò la carica di ‘architetto ordinario’. Così, fino alla morte del principe, nel 1760, si occupò delle svariate attività pertinenti a questa carica, tra le quali, la realizzazione dell’apparato festivo per la creazione cardinalizia di Giuseppe Maria Feroni nel palazzo Pamphili in via del Plebiscito (15 dicembre 1753: Rangoni, 1997, p. 152), la costruzione di un casamento in piazza Rondanini, la ristrutturazione di una casa in via della Pace (1757; Ricciutelli, 2007, p. 253) e, soprattutto, la realizzazione dell’arcadica stanza dell’Organo al centro del giardino del teatro della villa Pamphili fuori porta S. Pancrazio (1758), elogiata appunto come una «stanza pastorale» da Giuseppe Vasi, con il quale più di venti anni prima Nicoletti aveva collaborato come disegnatore per il Nuovo teatro delle fabbriche … (1739, tavv. 14 s.; 1761, p. XLVI).
In questo arco di tempo Nicoletti continuò a lavorare in ambito gesuita, per il sobrio rinnovamento decorativo dell’altare della Congregazione dei Nobili nell’oratorio annesso alla casa professa al Gesù (consacrato l’11 dicembre 1751; Benocci, 1988, pp. 221, 229 nn. 57 s., fig. 48), per apparati festivi nella chiesa di S. Ignazio (orazione di Clemente XIII, 31 agosto 1758) e nel cortile del Collegio romano (Accademia delle lettere e armi per i cavalieri convittori del Collegio, 5 settembre 1758; Gonzales, 1997, p. 162) e per progetti a distanza, come quelli inviati a Palermo tra il 1760 e il 1761 per la cappella di S. Ignazio nella casa professa, da cui furono tratti modelli lignei in vista della realizzazione dell’opera, poi sfumata per le vicissitudini dell’ordine in Sicilia (Salvo, 1997). Ugualmente alla soglia dell’avvio del cantiere nel 1759 era sfumato il rifacimento della volta della chiesa di S. Francesco a Montefiascone (Ricciutelli, 2007, p. 254).
Il 5 aprile 1761, più di trenta anni dopo l’affermazione nel concorso Clementino, fu ammesso nell’Accademia di S. Luca (Manfredi, 1991; Ricciutelli, 2007, p. 251). Al contempo fu gratificato anche dall’onorificenza di cavaliere, e come tale si qualificò nel 1762 tra i residenti del casamento signorile di proprietà del marchese Filippo Niccolini in piazza di Pietra, dove continuò ad abitare con la moglie Gertrude Nanni e i figli Filippo, futuro architetto (1758 circa - 1827), Pietro e Luigi (n. 1766), tenuto a battesimo dallo scultore Andrea Bergondi, suo amico e collaboratore (Rausa, 1995; Ricciutelli, 2007, p. 251).
Intorno al 1763 inviò a Lugo di Romagna un progetto per il Collegio Trisi, probabilmente in sostituzione di un altro precedentemente redatto, o comunque revisionato, dall’architetto della comunità Francesco Ambrogio Petrocchi (Marziliano Ferrucci, 2003). Per quanto ‘applaudito’ dal vescovo di Imola, anche questo progetto non ebbe seguito. L’incarico fu infatti affidato nel 1764 a Cosimo Morelli, il quale realizzò l’edificio didattico nella doppia veste di architetto e impresario edile, rispettando sostanzialmente le idee di Nicoletti, sia nell’impianto rettangolare distribuito da un corridoio longitudinale, sia nella facciata risaltata centralmente da lesene e da un portale loggiato assiale: un’architettura dai connotati quasi monastici, alquanto diversa dal classicismo sobrio ma monumentale esibito da Nicoletti nello spaccato di un palazzo conservato nell’archivio dell’Accademia di S. Luca, forse donato immediatamente dopo la sua aggregazione (Marconi - Cipriani - Valeriani, II, 1974, n. 3211).
Nella generale crisi edilizia, non sembrava riuscire ad allargare il ristretto giro dei suoi committenti, a parte i cappuccini di S. Maria della Concezione per i quali tra il 1763 e il 1768 curò gli apparati celebrativi dei santi dell’ordine Serafino da Monte Granaro e Bernardo da Corleone (Gonzales, 1997, pp. 185 s.; Dell’Era - Pirani - Rovigatti, 1996). Per tutto il resto della carriera concentrò la ricerca nell’ambito delle opportunità offerte dalla committenza del principe Andrea IV Doria Pamphili, succeduto al principe Girolamo, come primo esponente del ramo genovese della famiglia (Benocci, 1988). Se il progetto di ristrutturazione della villa di Albano, successivo al suo acquisto avvenuto nel 1764, rientrava ancora nei termini dei canoni monumentali romani (Vittorini, 2002), i progetti per il palazzo urbano al Corso registravano una progressiva evoluzione stilistica, talvolta addirittura in anticipo rispetto alla graduale penetrazione dell’influenza neoclassica nella fascia più ricettiva della cultura architettonica romana. Tale evoluzione, già in parte riscontrabile in due disegni preparatori per la cappella del palazzo urbano (1765-70), si manifestò pienamente in tre diversi progetti per il ‘Gabinetto’ o ‘Cammera del letto’ a sud dell’ingresso della galleria dell’appartamento nobile su via del Collegio romano, nei quali l’architetto passò disinvoltamente dal rococò a una sorta di protoneoclassicismo, e in un altro per l’appartamento del cardinale Antonio Doria di gusto ormai propriamente neoclassico.
A Nicoletti va attribuito anche il manoscritto detto ‘del Cavalcaselle’, databile intorno al 1768, che illustrava con disegni e didascalie la riorganizzazione degli ambienti di rappresentanza del palazzo Pamphili secondo un vero e proprio programma museografico, ribadendo sia le competenze pittoriche sia le doti di arredatore dell’autore, espresse anche nel coevo progetto della saletta degli Specchi (Cappelletti, 1996; 1997). Nella sua veste più nota di abilissimo allestitore e arredatore, dopo essersi occupato degli apparati per ricorrenze familiari (funerale del cardinale Doria in S. Cecilia, 3 febbraio 1759; battesimo del primogenito di Andrea Doria Pamphili e Leopoldina Savoia-Carignano in palazzo Doria Pamphili, 20 novembre 1768), il 2 aprile 1769, in occasione della festa in onore dell’imperatore Giuseppe II e del granduca di Toscana Pietro Leopoldo, Nicoletti presentò la straordinaria trasmutazione del cortile di palazzo Doria Pamphili in un enorme salone da ballo interamente da lui «inventata e diretta» e tramandata da un dettagliatissimo disegno prospettico evidentemente destinato alla stampa (Gonzales, 1997, pp. 164, 187-190).
La dimestichezza con il mondo delle allegorie religiose, storiche e mitologiche richieste dagli apparati festivi nel 1775 gli valse l’ingresso nell’accademia dell’Arcadia con il nome pastorale di Eliodoro Atticense (Giorgetti Vichi, 1977), coronandone troppo tardi la carriera di architetto erudito.
Morì nella sua casa in piazza di Pietra l’8 novembre 1776, e fu commemorato nella vicina chiesa parrocchiale di S. Maria in Aquiro alla presenza di una delegazione di accademici di S. Luca (Manfredi 1991; Ricciutelli, 2007, p. 251).
Melchiorre Passalacqua prese il suo posto presso i Pamphili e altri committenti, e seguì l’inizio della carriera del figlio Filippo (Ricciutelli, 2007, p. 245; Varagnoli, 2007).
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