ORESTANO, Francesco
ORESTANO, Francesco. – Nacque ad Alia, in provincia di Palermo, il 14 aprile 1873 da Luigi e da Elisabetta Bellina.
Nel capoluogo siciliano studiò giurisprudenza e si laureò nel giugno 1896. Pochi anni dopo, la passione per gli studi filosofici lo portò all’università di Lipsia. Nella cittadina tedesca studiò Nietzsche, Kant e Johann Friedrich Herbart e nel 1901 si laureò in filosofia. Da allora inaugurò una riflessione che proseguì quando tornò in Italia e divenne un intellettuale impegnato nella politica scolastica del suo tempo, un noto studioso di pedagogia, nonché uno dei principali esponenti del realismo, la corrente di maggiore successo nella filosofia italiana degli anni Trenta.
Dopo aver insegnato economia politica per un anno in un istituto tecnico di Teramo e filosofia morale dal 1903 nell’Università di Roma, alla fine del 1904 iniziò a collaborare con il ministro della Pubblica Istruzione Vittorio Emanuele Orlando, che nel 1905 gli affidò il compito di redigere i regolamenti della riforma scolastica. In quel periodo intervenne assiduamente nella Rivista di pedagogia, diretta da Luigi Credaro, sostenendo le ragioni di una pedagogia fondata sulle acquisizioni della psicologia moderna, molto diversa da quella teorizzata nello stesso periodo dagli intellettuali neoidealisti e da Giovanni Gentile.
Nel 1907 sposò Sofia Travaglia, che aveva conosciuto al Club alpino siciliano di cui era presidente e fondatore, e fu nominato professore straordinario di filosofia morale nell’Università di Palermo. Nel 1911, grazie al sostegno dei filosofi positivisti, divenne ordinario e fino al 1924 insegnò nel capoluogo siciliano.
Già dai primi tempi della sua attività di studioso, entrò in conflitto con Gentile che nel 1905 recensì il suo L’originalità di Kant, criticandolo duramente. Ne nacque uno scambio vivace perché Orestano rispose nella Rivista di filosofia e scienze affini nel dicembre 1905 e Gentile controbatté nel 1906 nella Critica. Ancora nel 1916 il filosofo idealista commentò Prolegomeni alla scienza del bene e del male di Orestano, accusandolo di inconsistenza teoretica. Pochi anni dopo lo scontro passò dall’ambito filosofico a quello accademico: nell’aprile 1922 il rettore dell’ateneo palermitano, Salvatore Di Marzo, comunicò al ministero che Orestano non era rientrato in servizio allo scadere dell’ennesimo congedo richiesto e nel gennaio 1923 informò il ministro Gentile che invece di vivere vicino alla sua sede di lavoro, viveva a Roma con la moglie e i figli: Riccardo, nato nel 1909, Luigi nel 1916 ed Eliana nel 1919. Gentile invitò Orestano a risiedere stabilmente a Palermo e a tenere regolarmente il corso di storia della filosofia che gli era stato assegnato. L’impegno durò solo un anno perché nel giugno 1924 Orestano chiese il collocamento a riposo e lasciò definitivamente la facoltà di lettere dell’università siciliana (Tarquini, 2009, p. 220).
Da quel momento, fu impegnato su due fronti diversi: da un lato si batté contro Gentile aspirando a ricoprire un ruolo di primo piano nella cultura del regime fascista; dall’altro proseguì l’attività di studioso di filosofia, divenendo il principale esponente del realismo, nonché uno degli autori più prolifici del panorama culturale italiano. Collaboratore di Gerarchia, la rivista fondata da Mussolini, nel 1925 non firmò il Manifesto degli intellettuali fascisti, che definì «un manuale per il conseguimento della libertà spirituale» al quale mancava l’idea «del sacrificio da patire per costruir difensori ed usufruttuari della libertà» (Tarquini, 2009, p. 221). Sostenuto da Emilio Bodrero, nel settembre 1929 divenne membro della neonata Accademia d’Italia e nel 1931 presidente della Società filosofica italiana che aveva come presidente onorario Bernardino Varisco e come vicepresidenti lo stesso Bodrero e il filosofo del diritto Giorgio Del Vecchio.
Nel 1933 erano membri del consiglio direttivo: Bodrero, Enrico Castelli, Del Vecchio, Vittore Marchi, Carmelo Ottaviano, Sergio Panunzio, Giacomo Perticone, Giacomo Tauro ed Erminio Troilo, tutti severamente antidealisti e tutti impegnati nell’elaborazione di una dottrina fascista.
Tornato all’insegnamento universitario, come docente di etica nell’Università di Pavia, e sempre più convinto del contributo che avrebbe potuto dare al regime fascista, nel 1933 Orestano consigliò a Bodrero di inviare a Mussolini alcune note nelle quali erano riassunti i temi salienti della sua riflessione (ibid., p. 223). Per questo in occasione del III Congresso internazionale hegeliano, a Roma nell’aprile 1933, intensificò la sua battaglia sollevando la questione dei rapporti fra la filosofia tedesca e la cultura fascista e dichiarando l’estraneità dell’idealismo alla cultura del fascismo. Dopo questa discussione, che ebbe ampio spazio sulle riviste specializzate e sui giornali, Orestano si accreditò come uno dei più importanti intellettuali del regime e si accinse a presiedere l’VIII Congresso nazionale di filosofia, che si svolse a Roma nell’ottobre di quell’anno. Secondo molti studiosi il convegno ebbe un’importanza centrale nella storia della cultura italiana perché segnò la fine dell’egemonia idealistica e la vittoria del pensiero realista rappresentato dai cattolici e da autori come Orestano, che in quella sede mostrò i tratti salienti della sua proposta filosofica (Garin, 1966).
Già nel 1925, nel volume Nuovi principi, quando aveva abbandonato il neokantismo delle origini, Orestano aveva dichiarato che avrebbe superato il problema fondamentale della filosofia moderna, cioè «quello di aver ridotto tutto dentro la soggettività» (p. 50). I filosofi avevano negato il principio dell’oggettività della realtà e avevano ridotto l’individuo a un essere razionale, separato dalla vita empirica. Occorreva allora ripartire dal realismo, o superrealismo, come Orestano volle definire la propria filosofia, ossia dal problema della realtà che doveva essere impostato e affrontato a partire dal mondo dell’esperienza. Quindi, considerando quest’ultima nei termini di una sfera oggettiva e indipendente dal soggetto (Sciacca, 1997, p. 424), al congresso del 1933, annunciò che la filosofia poteva ormai «fornire le armi per liberarsi di falsi ontologismi e di falsi assoluti ereditati dal passato come immobili e intangibili» (Atti dell’VIII Congresso, 1934, p. 9).
In quella sede ribadì la sua concezione della soggettività: immaginava l’essere umano come un soggetto che esprime la propria identità sia attraverso il pensiero, sia mediante la percezione. Accusando gli idealisti di considerare gli individui semplici espressioni di pensiero, definì la percezione «un’attività sensoriale complicata necessariamente e inestricabilmente con funzioni intellettive inerenti alla nostra struttura mentale» e non «come semplice attività dei nostri sensi». Influenzato dalla psicologia sperimentale, sostenne che «percepire è anche un giudicare» e affermò che per trovare il legame fra la realtà vissuta dal soggetto e «i modi dell’essere in sé» occorreva guardare alle conquiste della scienza moderna (ibid., p. 23).
Proprio alla scienza fu dedicata la prima sessione dei lavori inaugurata dal presidente e animata dagli interventi di alcuni giovani intellettuali, tutti concordi nel sottolineare che l’idealismo italiano aveva impedito la costruzione di un rapporto positivo fra la scienza e la filosofia. La scienza moderna, secondo Orestano, aveva trasformato le categorie della logica aristotelico-scolastica perché aveva elaborato nuovi concetti.
A questo proposito notò: «Il più recente sviluppo [della scienza] ci autorizza a stabilire corrispondenze, ancorché simboliche […], effettive cioè costanti […] tra certi modi del nostro percepire e pensare e certi modi intrinseci di una qualche realtà in sé» (ibid., p. 25). Era un modo per affermare che i simboli utilizzati dalle scienze moderne hanno un significato ontologico perché, secondo quanto sosteneva Orestano, traducono la realtà in sé, o, come scrisse, «le relazioni che determinano la realtà» (ibid., p. 25).
Come è stato giustamente notato, negli anni Trenta, quando arrivò all’apice del successo, Orestano spiacque un po’a tutti: «agli idealisti che lo trovavano realista. Ai realisti che non potevano accettare la teoria della verifica sperimentale, ai fenomenisti e agli scettici per le aderenze noumenali della fenomenologia, ai logici matematici per il superamento della pura ricerca logica in una teorica dei nonsenso, ai mistici per l’esaltazione dei valori della scienza e della tecnica, ai teologi razionalisti per l’affermazione di un di più inanalizzabile dalla ragione». (Dollo, 1967, p. 379). Altri hanno sottolineato le ambiguità della sua riflessione (Sciacca, 1997, p. 425). Al di là del giudizio filosofico e dei limiti del suo pensiero, Orestano ebbe comunque la capacità di testimoniare la presenza di una filosofia che si contrappose all’idealismo di Gentile e che divenne egemone nell’Italia degli anni Trenta quando ormai il filosofo idealista non aveva più il ruolo che il regime gli aveva riconosciuto. Da questo punto di vista fu certamente rappresentativo di un periodo della storia della filosofia italiana.
Dall’inizio degli anni Quaranta si trasse in disparte, senza cercare riconoscimenti pubblici e sempre più interessato alla religione.
Morì a Roma il 20 agosto 1945 in seguito a un infarto.
Opere: I valori umani, Torino 1907; Nuovi principi, Roma 1925; Verità dimostrate, Roma 1931; Atti dell’VIII Congresso nazionale di filosofia. Roma 24-28 ottobre 1933, Roma 1934; Il nuovo realismo, Milano 1939. Tutti i suoi lavori sono confluiti nella Opera Omnia, in cinque voll. Padova 1960-1967.
Fonti e bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Istruzione superiore, fascicoli personale insegnante, II versamento, I serie, b. 108. Una bibliografia degli scritti di O. è in C. Ottaviano, Il pensiero di F. O., Palermo 1933; E. Garin, Cronache di filosofia italiana, Roma-Bari 1966, pp. 137-151 e passim; C. Dollo, Il pensiero filosofico di F. O., Padova 1967; M.F. Sciacca, La filosofia italiana nel secolo XX, Palermo 1997, pp. 422-425; La filosofia italiana di fronte al fascismo. Gli anni Trenta. Contrasti e trasformazioni, a cura di A. Vigorelli - M. Zanantoni, Milano 2000, pp. 15-36; A. Tarquini, Il Gentile dei fascisti. Gentiliani e antigentiliani nel regime fascista, Bologna 2009, pp. 220-223.