ORLANDI, Francesco
ORLANDI, Francesco. – Figlio di Stefano, nacque a Bologna il 23 giugno 1725.
Dal padre, come ricorda Giovanni Pietro Zanotti (1739), ricevette da giovanissimo la prima formazione artistica e fu certamente introdotto alla frequenza dell’Accademia Clementina, del cui corpo docente Stefano faceva parte. Ben documentato è infatti il percorso che Francesco maturò presso l’istituzione bolognese quale allievo della classe di architettura durante il quinto decennio del secolo, nei primi anni del quale era ancora attivo Ferdinando GalliBibiena.
Qui nel 1740 si aggiudicò il premio Marsili Aldrovandi di seconda classe con il progetto per la porta di un palazzo d’ordine dorico e la rispettiva esercitazione prospettica e ancora, nel 1741, quello di prima classe, di cui però è nota solo la tavola con una colonna ionica in prospettiva, tutti conservati presso il Gabinetto dei disegni e delle stampe dell’Accademia di belle arti di Bologna (Giumanini, 2000). Non sono invece più rintracciabili le prove grafiche che gli guadagnarono il premio di frequenza Fiori nel 1743 e nel 1744 (Id., 2001).
Nel 1751 fu acclamato fra i 40 membri ordinari dell’Accademia assumendo fin dall’anno successivo l’incarico dell’insegnamento di architettura, affidatogli anche per il 1755, il 1757, il 1759, il 1761, il 1763, il 1768; nel 1784 ricevette il prestigioso incarico di principe (Farneti, 1988). Fra gli impegni a cui assolse nella veste di accademico si ricorda la sua presenza, nel 1756, nella commissione chiamata a esaminare il progetto per il nuovo teatro pubblico di Bologna (Atti, I, 1710-1764, 2005, p. 211).
Appassionato di musica – risulta che suonasse il violino (Oretti, ms. B. 130) – di meccanica e di pirotecnica, dal punto di vista professionale si distinse quale pittore d’ornati e d’architettura nonché quale apprezzato scenografo, attivo a Bologna e in altri centri dell’Emilia, in Toscana e all’estero.
Degli interventi di maggiore respiro ricordati dalle fonti in ambito pittorico solo una parte è ancora rintracciabile. Inizialmente attivo come collaboratore del padre, lo affiancò, in particolare,nelle decorazioni a monocromo per la facciata della chiesa di S. Donato (1751), nell’attuale via Zamboni, e nelle pitture della galleria delle Statue di palazzo Aldrovandi, portate a compimento nel 1754.
Fra i primi incarichi autonomi si pone la collaborazione con Gaspare Bigari, figlio del più noto Vittorio Maria, nella decorazione dell’interno della chiesa di S. Andrea degli Ansaldi, detta anche delle Scuole (oggi distrutta), che era stata completamente rinnovata e decorata nel 1743 a spese dei parrocchiani. Parimenti perdute sono le pitture che realizzò nella navata della chiesa di S. Cristina, opera «molto bella e vaga» secondo la valutazione di Marcello Oretti (ms. B. 130), inaugurata nel 1764. A testimonianza delle sue capacità, in ambito bolognese rimangono gli opulenti ornati della cappella Boncompagni nella chiesa di S. Martino Maggiore, progettata da Alfonso Torreggiani nel 1753, e la finta architettura che si dipana intorno all’altare della cappella del SS. Sacramento (già Ramazzotti, poi Malvezzi) nella basilica di S. Petronio, menzionata dall’artista in una propria memoria raccolta da Oretti (ms. B. 95, c. 318).
Orlandi stesso ricorda inoltre le decorazioni pittoriche da lui eseguite per alcuni altari nella cattedrale di S. Pietro e nella chiesa di S. Nicola in strada S. Felice (gravemente danneggiata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale) nonché una serie di interventi di ambito civile: la decorazione di due camere nel palazzo del tesoriere Lorenzo Panzacchi in via S. Stefano, per il quale dipinse anche la cappella nel percorso porticato che risalendo il monte della Guardia conduce alla basilica della Madonna di S. Luca, e ancora una prospettiva ad affresco nel casino di Giacomo Mazzi fuori porta S. Isaia (ms. B. 95, c. 318). Lavorò inoltre a Pieve di Cento e a Cento dove decorò tre altari per le monache di S. Caterina; a Castel San Pietro dipinse tre altari nella chiesa di S. Maria Maggiore e uno in quella della Compagnia del Ss. Sacramento (ibid.) nonché due camere in casa Conti (Crespi, 1769).
All’inizio del settimo decennio si recò a Livorno al seguito di Antonio Galli Bibiena, con il quale collaborò nel 1761 all’allestimento del dramma di Marco Coltellini L’Almeria presso il teatro S. Sebastiano insieme ad Antonio Ceccarini e Giovanni Lapi. In questo stesso anno ricorda di aver dipinto nella città toscana una camera «in casa del Sig. Cristofalo Anglois inglese» (ms. B. 95, c. 318).
Nel rispetto della migliore tradizione bibienesca, nell’arco della seconda metà del secolo fu lungamente attivo come scenografo: con riferimento ai libretti superstiti (Sartori, 1990-94), si ricordano, a Bologna, le sue ripetute partecipazione alle iniziative del teatro Formagliari (nel 1759, nel 1768 e nel 1771) e la più sporadica collaborazione con i teatri Pubblico (1770 e 1795) e Zagnoni (1786). Al 1776 è documentata la sua attività per il teatro Pubblico di Reggio Emilia, dove, in occasione della fiera annuale, allestì con Paolo Dardani il dramma di Pasquale Anfossi Montezuma; di tale allestimento è documentata una delle scene (la Galleria) in uno schizzo conservato nel Gabinetto dei disegni e delle stampe della Pinacoteca nazionale di Bologna (inv. n. 1583). Secondo la sua testimonianza autografa, in quanto insegnante di architettura presso i collegi di S. Luigi e di S. Francesco Saverio, avrebbe anche lavorato, in data imprecisata, per il teatro dei Nobili di Bologna (ms. B. 95, c. 318).
Sempre impegnato come scenografo, anche se non è da escludere che nell’occasione abbia ricevuto ulteriori incarichi, nel corso dell’ottavo decennio del secolo effettuò ripetuti viaggi all’estero: nel 1774 e nel 1775 fu rispettivamente a Praga e a Dresda; in quest’ultima città, in particolare, soggiornò nuovamente nel 1780. Di tali viaggi si ha notizia grazie ad alcune lettere conservate presso l’Accademia di belle arti di Bologna e ad alcuni studi di scene conservati presso la Fondazione Giorgio Cini di Venezia (Collezione Certani, inv. nn. 31561, 31563) e il Gabinetto disegni e stampe di palazzo Rosso a Genova (inv. n. D 1764), tutti annotati dall’autore (Preiss, 1998; Medde, 2000).
Le sue doti di quadraturista ed esperto di prospettiva emergono soprattutto nell’unica opera certamente autografa, un acquerello in toni di grigio raffigurante un sontuoso atrio rappresentato in base a un fuoco centrale – proveniente dalla raccolta di Donald Oenslager (Oenslager, 1975) e attualmente conservato presso la Pierpont Morgan Library di New York; poiché l’artista vi si firma definendosi accademico clementino esso è databile a un periodo successivo al 1751. In base al confronto con questo lavoro, oltre alla tavola di analogo soggetto conservata presso la Fondazione Cini (collezione Certani, inv. n. 33311; Pigozzi, 1988), sono riferibili alla mano di Orlandi anche tre acquerelli policromi con prospettive d’architettura, storicamente riferiti a Giuseppe Galli Bibiena, di proprietà dell’Accademia di belle arti di Bologna (Medde, 2012).
Strettamente legata alla pratica della scenografia è anche la sua attività di progettista di apparati effimeri, allestiti soprattutto in occasioni di carattere religioso per le chiese di Bologna; si ricordano, in particolare, il teatro Sacro approntato in collaborazione con Carlo Vandi per la Pasqua del 1750 nella chiesa di S. Isaia e quello realizzato l’anno seguente, in occasione della medesima festività, per la chiesa (oggi scomparsa) di S. Tommaso del Mercato, con figure a rilievo di Domenico Piò (Oretti ms. B. 130).
Non si conoscono il luogo e la data di morte dell’artista, da fissare dopo il 12 gennaio 1804, quando il nome di Orlandi compare fra quelli dei clementini che non vennero aggregati alla nuova Accademia di età napoleonica (Atti, IV, 1789-1804, 2006).
Fonti e Bibl.: Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, ms. B. 95, f. 53:Nota delle operazioni in pittura fatte dal sig.r F. O. pittore di architettura bolognese scritte di sua mano, in M. Oretti, Vite di pittori, scultori e architetti in gran parte scritte da loro medesimi (seconda metà sec. XVIII), cc. 318 s.; Ibid., ms. B. 130: M. Oretti, Notizie de’ professori del disegno cioè pittori, scultori e architetti bolognesi e forestieri di sua scuola, c. 400 e cc. n.n.; [C.C. Malvasia], Le pitture di Bologna… dell’Ascoso Accademico Gelato (1686), Bologna 1766, pp. 106, 108, 160, 266, 273, 402; G.P. Zanotti, Storia dell’Accademia Clementina, II, Bologna 1739, p. 252; L. Crespi,Vite de’ pittori bolognesi non descritte nella Felsina pittrice, III, Roma 1769 p. 292; F. de Boni, Biografia degli artisti…, Venezia 1840, p. 722; D. Oenslager, F. O., in Stage design. Four centuries of scenic invention, New York 1975, pp. 106 s. n. 88; E. Landi, Stefano Orlandi (1681-1760), in il Carrobbio, VII (1981), p. 217; F. Farneti, I maestri dell’Accademia Clementina (1710-1803), in Accademia Clemen-tina. Atti e memorie, n.s., 1988, n. 23, p. 131; M. Pigozzi, F. Orlandi Atrio magnifico che introduce agli appartamenti reali, in Francesco Fontanesi 1751-1795. Scenografia e decorazione nella seconda metà del Settecento (catal.), a cura di M. Pigozzi, Reggio Emilia 1988, p. 106, n. 132; C. Sartori, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800,Cuneo 1990, I, nn. 937, 1543, 2237, 2614; II, 1991, nn. 7549, 8181; III, 1994, n. 10936; IV, 1991, nn. 16151, 16562, 17701; V, 1991, nn. 20040, 22005; P. Preiss, “… fatta in Praga 1774”: po stopách boloňského scénografa Franceska Orlandiho v Praze, in Umění, XLVI (1998), pp. 224-229; M.L. Giumanini, I premi Marsili Aldrovandi (1727-1803), Bologna 2000, pp. 40 s., 113 s.; S. Medde, F. O., in I Bibiena una famiglia europea (catal., Bologna), a cura di J. Bentini - D. Lenzi, Venezia 2000, p. 443; Id., F. O. Schizzi scenografici, ibid., pp. 403-410 n. 121; M.L. Giumanini, Studenti in arte. Il premio Fiori (1743-1803), Bologna 2001, pp. 29, 113; M. Danieli, in I grandi disegni italiani della Pinacoteca nazionale di Bologna, a cura di M. Faietti, Milano 2002, n. 57; Atti dell’Accademia Clementina, Verbali consiliari, a cura di S. Questioli - M. Boni - E. D’Agostino, I, 1710-1764, Bologna 2005, pp. 173, 174, 198, 213, 231, 265, 298, 329; III, 1782-1789, p. 125; IV, 1789-1804, con Indici generali, Bologna 2006, p. 600; S. Medde, in Accademia di belle arti di Bologna. Catalogo della quadreria, a cura di A. De Fazio, Rimini 2012, pp. 57-61 n. 12 a-c.