PAGANO, Francesco
PAGANO, Francesco. – Ignoti sono i termini di nascita e di morte di questo pittore documentato a Napoli nel 1457 e a Valencia dal 1472 al 1481. Verosimilmente nacque in area partenopea nel decennio 1430-40 e si formò nel milieu pittorico ispano-fiammingo della Napoli aragonese (Condorelli, 2008-09, pp. 366 s.).
Agli scarsi dati biografici certi si oppongono vari e discordanti tentativi della critica di ricostruirne l’attività. La prima attestazione (Carbonell, 2007-08, pp. 76 s.) lo vede membro nel 1457 a Napoli di una compagnia con due sconosciuti pittori locali, Jacopo Barreta e Paolo Burriello, e con Rafael Thomàs di Barcellona, attivo a Cagliari (1455), Napoli (dal 1456) e Perpignan (1463-82). In tempi e circostanze oscure (per Gómez-Ferrer, 2011, p. 234, già dopo la morte del Magnanimo nel 1458), si trasferì a Roma ed entrò nell’orbita del cardinale Rodrigo Borgia, futuro papa Alessandro VI, e forse decorò il suo palazzo romano (Sricchia Santoro, 2000; Condorelli, 2005, 2008-09). Nel giugno 1472 Borgia, legato a latere in Spagna, sbarcò a Valencia: con lui erano i pittori «mestre Francisco», «mestre Paullo», e «un altre qui vench ab ells qui dien mestre Riquart» (Company, 2006A, p. 411, doc. 187). Nessun dubbio sussiste sull’identificazione dei primi due con Pagano e con il reggiano Paolo da San Leocadio (1447-1520), mentre assai dibattuto è se il terzo corrisponda al siciliano Riccardo Quartararo (come ipotizzato da Bologna, comunicazione orale a Delogu, 1962, poi Bologna, 1977; e negato da Pugliatti, 1998 e Condorelli, 2001); un’altra fonte, il Dietari del Capellà d’Anfós el Magnànim (a cura di J. Sanchis Sivera, Valencia 1909, p. 65; Company, 2009, p. 48, n. 79), riporta l’arrivo «en lany MCCCCLXXI» di «dos maestres Pintors Florentins», due pittori dunque, ma potrebbe riferirsi ai soli poi reclutati, o essere impreciso come su anno e origine.
Devastata da un incendio nel 1469 la cappella maggiore, il Capitolo della cattedrale valenzana ricercò un artista pratico della tecnica ‘italiana’ dell’affresco, poco familiare ai pittori iberici: morto nel 1470 il primo incaricato, Niccolò Delli, e fallito il tentativo dei due artefici locali Pere (Joan) Rexach (Company, 2006B) e Antonio Canyçar (1471), furono ‘testati’ i pittori giunti con Borgia: «Riquart» eseguì un saggio nella sala della Confraternita, ma la prova fu superata da Pagano e Leocadio, autori dell’affresco con la Natività nella sala capitolare (1472) che, trasportato su tela nel 1899, si conserva in parte (Company, 1994 e 2006A,p. 412, doc. 193). Da allora non vi è più menzione di «Riquart», mentre Pagano e Leocadio ricompaiono ripetutamente: il saldo finale dei ben 3000 ducati d’oro loro versati si registra il 22 dicembre 1481, ultima attestazione di Pagano a Valencia (poi rientrato a Napoli per Camón, 1966, e Bologna, 1977, p. 184; a Roma, per Condorelli 2008-09, p. 368).
Nel contratto stipulato il 28 luglio 1472 Pagano e Leocadio si impegnavano a decorare il coro (inclusi chiave di volta, costoloni, pilastri e arco trionfale) e ad affrescare, nelle vele, coppie di Angeli riccamente abbigliati (Company, 2006A, pp. 415-417, docc. 2-3), e, più in basso, una «història» e figure di apostoli (un documento del 23 settembre 1476 la definisce Majestat, un’Ascensione di Cristo, o meno probabilmente un’Ultima Cena, cfr. Sanchis Sivera, 1909, pp. 151 s., n. 2; Marías, 2011, pp. 108 s., 117).
Il pagamento del secondo terzo dei lavori iniziò il 21 maggio 1474, quello dell’ultimo terzo il 28 marzo 1476 (ante quem per gli Angeli); Pagano, più anziano, raccoglieva gli introiti per conto di entrambi. Nel corso dei lavori, i due soci ebbero contrasti tra loro e col Capitolo, e a turno fecero testamento, si presume per malattia: Pagano il 25 giugno 1476 (si dichiara napoletano ma «habitant en Roma et de present en la ciutat de Valenza»; è celibe e non ha figli); due anni più tardi Leocadio, il 4 settembre 1478. In ambo i casi il contraente rimasto sano si impegnava a proseguire da solo, se necessario (Marías, 2011, pp. 118 s., il quale considera la decorazione conclusa nel 1478). Se tali documenti lasciano intendere una intercambiabilità dei due artefici, una nota del 23 settembre 1476 distingue invece le assegnazioni rimanenti: a Pagano i capitelli e la parte sottostante (i fusti delle colonne), a Leocadio la parte al di sopra, «ço es, los Apòstols e la Majestat ab los seraphins» (Company, 2006A, pp. 425 s., doc. 36). Tale distinguo ha portato alcuni studiosi (Post, 1933; Condorelli, 2005, 2006, 2008-09, 2011; Company, 2006A e 2009) a giudicare Pagano un mero decoratore e Leocadio l’autore delle parti figurali, mentre altri, nel valutare il ruolo di primus inter pares di Pagano risultante dall’insieme della documentazione, hanno rigettato tale interpretazione come riduttiva (Gómez-Ferrer, 2011; Marías, 2011; Sricchia Santoro, 2010).
Gli affreschi del coro valenzano furono obliterati dal rifacimento barocco (iniziato nel 1674); nel 2004 furono ritrovati, dietro la controsoffittatura, i dodici Angeli musicanti nella volta, poi restaurati (Pérez Garcia, 2006), e qualche frammento del Cristo in Maestà sottostante (Company, 2009, p. 55 n. 122). Dalle pose audaci e dinamiche, con vesti e nastri svolazzanti e strumenti concertanti, gli Angeli rinviano alla formazione ferrarese (Tura, Cossa, Roberti) e mantegnesca di Leocadio (Condorelli, 1963; Company, 2009); ma anche, pur nella coincidenza temporale, al vitalismo melozzesco disvelato nell’abside dei Ss. Apostoli a Roma (1472-74; Sricchia Santoro, 2010, p. 54). Altrettanto evidente l’affinità con le «impennate stilistiche di Liberale da Verona» (ibid., p. 58), la cui Sacra Conversazione in S. Maria Nova a Roma (1470-75 circa) fu evocata da Longhi (1963) a confronto con la Madonna del cavaliere di Montesa del Prado, oggi assegnata a Leocadio, talora senza escludere l’intervento di Pagano (Company, 2009, pp. 123 s.). Il milieu romano ebbe dunque un impatto decisivo sul pittore, che per Condorelli (2008-09) si formònella bottega di Antoniazzo Romano e potrebbe aver affrescato (2004) la Piattaiain palazzo Riario-Altemps (1477-81), già riferita a Melozzo e a Pedro Berruguete.
Assai dibattuta è la ricostruzione della restante attività di Pagano, in Spagna e in Italia. Rolfs (1910) ne ipotizza un’origine nobiliare e gli associa un pagamento del 21 ottobre 1489 di 8 ducati dalla Tesoreria aragonese a «Francesco da Napoli» per una «immagine fatta a similitudine del Duca di Calabria [Alfonso]». L’identificazione è stata ripresa da Thieme - Becker (1932), Bologna (1977) e altri; tuttavia le trascrizioni note del documento (Barone, 1884-85, e Filangieri, 1891) parlano di «Francesco cartaro», pagato l’8 settembre 1482 per «quattro trionfi e dieci paia di carte da gioco», una figura dunque difficilmente sovrapponibile a Pagano (Sricchia Santoro, 2000; Condorelli, 2008-09).
Il nome di Pagano è stato spesso accostato al Polittico di S. Severino (già nei Ss. Severino e Sossio a Napoli, oggi a Capodimonte), che fonde al più alto livello la lezione antonelliana con componenti iberiche e franco-provenzali: da Tormo y Monzò (1903); da Bologna (1955), il quale lo ha poi (1977 e 1989) riferito a Giovanni di Giusto e datato al 1482; da de Bosque, 1965 (pp. 226-228); Santucci, 1996 (pp. 185 s.); Sricchia Santoro (1986, pp. 99 s.), che lo ha anticipato ante 1472 (per le analogie, non stringenti, con la Natività valenzana e per l’influenza indubbia sul trittico di Angelo Antonelli a Furore, 1479), assegnando allo stesso arteficei poco studiati affreschi della cappella Piccolomini in S. Maria di Monteoliveto.
La mano di Pagano è stata inoltre ravvisata nella Resurrezione, oggi nel Museum of art di Filadelfia, parte di un retablo di Rodrigo de Osona il Vecchio, da Sricchia Santoro (1986, p. 107 n. 11); nel S. Michele di Orihuela (Museo diocesano), capolavoro di Leocadio (Company, 2009, pp. 147-152), da Buendía (1980) e Ávila (1988).
Su base stilistica, conoscendo il solo affresco della Natività – da lui creduto di Pagano e di Quartararo – Bologna (1977) ha raccolto (e datato) un corpus di opere napoletane post-valenzane, spiegandone le componenti ferraresi (fino a Lorenzo Costa) con l’ipotesi di un soggiorno di Pagano nella città estense e a Bologna intorno al 1485 con Leocadio.
In particolare, la tela con i Ss. Sebastiano e Caterina d’Alessandria (Roma, Galleria nazionale di arte antica in Palazzo Barberini), presumibile anta d’organo, di provenienza napoletana (da S. Efremo nuovo, eretta nel 1572), mostra analogie significative con l’affresco valenzano (negli scorti dei volti, nelle architetture, nell’ascendente ferrarese). Quindi o l’autore è lo stesso (Pagano anche per Sricchia Santoro, 2000, con datazione ante 1472; Navarro, 1987 e 1990; Santucci, 1992; Leone de Castris, 1997; Abbate, 1998) o meno plausibilmente Leocadio, se se ne ipotizza un soggiorno meridionale, o quantomeno deve aver conosciuto bene l’affresco valenzano o i suoi autori. Pugliatti (1998, p. 28) ha proposto Costanzo de Moysis e Quartararo, soci a Napoli nel 1491, anche per il confronto (Bologna, 1977, pp. 237 s.) tra la S. Agnese del polittico di Castelbuono di Quartararo e la S. Caterina Barberini: se il siciliano rivela nella sua opera componenti leocadiane (e iberiche), il pittore e medaglista «lombardo» Costanzo (Norris, 1984) per il suo curriculum ferrarese e la lunga attività napoletana appare il candidato sulla carta più plausibile per un’eventuale – ma non meno congetturale – attribuzione alternativa a Pagano del nucleo riunito a Bologna. Tale nucleo include il trittico, in cui agli ingredienti ferraresi si sommano quelli romani (l’affresco absidale di S. Croce in Gerusalemme), della Confraternita napoletana dei Sarti (1492 circa) con S. Michele arcangelo tra s. Giovanni Battista e s. Omobono, già assegnato ad Angiolillo Roccaderame (De Dominici, 1742-45), a Quartararo (Causa, 1960;Zeri, 1962), o a un anonimo (Abbate, 1998), autore secondo Naldi (1986) anche di una Crocifissione oggi a Capodimonte. Tra le altre opere spiccano poi i Ss. Giovanni Battista e Agostino della collezione Serra di Cassano a Napoli, e il Ritratto di giovane guerriero, già in collezione Beer a Budapest (prima dato ad Antonio Leonelli da Crevalcore). Se è Pagano l’autore – ciò che oggi non si può confermare né smentire – di questo esiguo ma eletto corpus (Natività di Valenza, tela Barberini, trittico dei Sarti, e le due appena citate), allora bisogna ammetterne la sorprendente parabola artistica dagli anni Cinquanta fino allo scorcio del secolo, e un ruolo di protagonista sulla scena meridionale.
Ancora Bologna (1977) gli ha accostato un’Andata al Calvario già sul mercato antiquario (1485 ca.), e il S. Michele arcangelo (coll. priv.) meglio riferito da Zeri (1962) a Quartararo. Il disegno delle tarsie di S. Angelo a Nilo (1485-90 ca.) gli è stato invece ascritto da Ferretti (1982) e confermato da Leone de Castris (1997) con l’aggiunta dell’arcaizzante Madonna col Bambino e i ss. Gregorio e Benedetto (Napoli, Museo civico di Castelnuovo, 1470 ca.), e di un S. Michele di ubicazione ignota.
L’attribuzione più problematica (Bologna,1977; Navarro,1987; Leone de Castris,1997; Donatone,1995), riguarda la Tavola Strozzi (Napoli, Museo nazionale di S. Martino), veduta di Napoli dal mare celebrativa della vittoria di Ischia sugli Angioini nel 1465, ritrovata nel 1901 a Firenze in palazzo Strozzi. Il banchiere Filippo nel 1473 commissionò a Benedetto da Maiano un «lettuccio» con spalliera «ritratovi dentro di prospettiva Napoli» come dono a re Ferrante (Del Treppo, 1994): una perduta tarsia lignea (Sricchia Santoro, 2000) di cui la Tavola è una versione pittorica. Questa, o il «lettuccio», o un’incisione, furono il modello per un perduto affresco ferrarese del 1485 (Franceschini, 1995). L’origine e la permanenza a Firenze, e lo stile, avvalorano la paternità di un autore fiorentino (R. Pane, 1979; G. Pane, 2009), identificabile con il pittore, miniatore, incisore e cartografo Francesco Rosselli (De Seta, 1988 e 2011).
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