PALPACELLI, Francesco (Franco)
– Nacque il 21 gennaio 1925 a Fiuggi da Pacifico, insegnante scolastico, e da Alessandrina Tosti.
Si trasferì in giovane età con la famiglia a Roma, in piazza Tuscolo, nel fabbricato costruito da Camillo Palmerini per le case popolari, che lui stesso avrebbe poi definito «molto interessante architettonicamente» (Cronaca biografica, in F. P. architetto, 2007, p. 7).
Nel 1945, conseguita la maturità presso l’Accademia di belle arti in via di Ripetta, trovò impiego al Ministero dell’agricoltura e foreste, rendendosi così autonomo economicamente, e si iscrisse alla facoltà di architettura.
Nel 1953 – con Gabriella Riccio, l’inseparabile compagna di una vita, sposata nel 1955 – visitò l’Inghilterra, prima tappa di una serie di viaggi di studio che intraprese lungo i paesi nordeuropei (Francia, Germania, Olanda, Danimarca, Svezia) per conoscere de visu i caposaldi dell’architettura moderna. In Finlandia fu più volte ospite di Alvar Aalto, che sarebbe rimasto per lui un punto di riferimento costante. Con spirito pionieristico compì trasferte anche in alcuni paesi dell’Europa dell’Est (Iugoslavia, Grecia, Ungheria e Romania).
Nel 1954 ottenne l’abilitazione per il disegno e cominciò a lavorare nelle scuole medie, esordio di un prolungato magistero didattico; nel 1957 vinse il concorso a cattedra per le scuole superiori e passò a insegnare nei licei artistici, garantendosi così il tempo necessario per coltivare la propria passione per l’architettura.
Nel 1955 discusse la tesi di laurea in composizione architettonica con Adalberto Libera, presentando un progetto per la sede dell’Accademia d’arte drammatica di Roma.
L’elaborato palesava l’influenza del maestro trentino nell’istanza di rendere attuale il classico attraverso il ricorso alle nuove tecnologie costruttive. Una grande calotta cementizia, innervata da un intreccio di costoloni e librata sopra un giro di pilastri sagomati con una entasi, copriva la cavea per assistere agli spettacoli, risolvendo l’intera composizione in una forma dal carattere potentemente unitario.
In seduta di tesi era presente, in qualità di membro esterno, Giuseppe Vaccaro, che, avendo apprezzato il lavoro e la personalità di Palpacelli, gli propose di entrare nel proprio studio. Lì conobbe l’ingegnere Sergio Musmeci, col quale avrebbe avviato un prolungato sodalizio professionale e instaurato una profonda amicizia corroborata da interessi e passioni comuni, come la botanica e l’astronomia. Anche il rapporto con Vaccaro si sviluppò in un solido sodalizio amicale (numerosi furono i viaggi che fecero insieme, in compagnia delle rispettive consorti) e in una proficua e prolungata collaborazione professionale. All’interno dello studio Palpacelli ricoprì ruoli sempre più importanti, dapprima nelle mansioni di semplice collaboratore, poi coadiuvando nella progettazione (quartiere residenziale di ponte Mammolo, Roma, 1957-62, e quartiere CEP in via della Barca, Bologna, 1957-62). Associato allo studio dal 1958, venne coinvolto direttamente nella redazione di importanti progetti come quelli per chiesa di S. Giovanni Bosco a Bologna (1958-67), per il centro direzionale lungo l’asse attrezzato di Roma (1963), per la chiesa della Madonna del Fuoco a Pescara (1964) e per l’aeroporto di Zahedan in Iran (1965).
Dopo la morte di Vaccaro fu Palpacelli a portare a termine il palazzo per la sede romana della Cassa di Risparmio in piazza Cavour (1966-68), in sostituzione di un isolato tardo-ottocentesco.
In questo intervento Palpacelli trasfigurò la sintassi dell’architettura umbertina e il tema del nicchione angolare di matrice neorinascimentale attraverso il ricorso a una tecnologia e un linguaggio dichiaratamente moderni (profilati metallici per la struttura e pannelli di calcestruzzo per la tamponatura), recuperando, attraverso la lezione di Franco Albini (concretata nell’edificio de La Rinascente in piazza Fiume), gli etimi barocchi dell’ambiente romano.
Desideroso di confrontarsi con temi impegnativi e stimolanti partecipò ai più importanti concorsi nazionali e internazionali, aprendo un proprio studio in piazza Galeria. Nel 1956 ottenne il III premio al Concorso per il museo, la biblioteca e la casa della cultura a La Spezia, dimostrando un’insolita attenzione per la scala paesaggistica. In quell’occasione conobbe Carlo Scarpa col quale instaurò un rapporto di reciproca stima e amicizia.
Con estrema accortezza nei confronti dell’ambiente antropizzato e dell’orografia, prefigurò un complesso insieme di corpi di fabbrica che dalle mura cittadine digradava a ventaglio verso il mare, così da ridurre al minimo le opere di sbancamento e non obnubilare la vista del castello di S. Giorgio e del suo bastione. Facendo propria la lezione di Aalto e l’istanza di umanizzazione del razionalismo, considerò la variabile psicologica e i modi stessi di percezione dello spazio; si prodigò nella sapiente amministrazione della luce solare e adottò specifiche misure per ottimizzare l’acustica all’interno dell’auditorium.
Nel 1956 si aggiudicò anche il IV premio al concorso per il Teatro dannunziano a Pescara.
Nell’ambito della pineta che aveva ispirato il vate prefigurò una struttura geometricamente complessa librata al di sopra della massa arborea, così da non frammentarne la continuità e non occludere la visione dell’orizzonte marino: un oggetto a reazione poetica astratto dal luogo, belvedere per la contemplazione meditativa e sofisticato strumento in grado di concentrare l’attenzione degli spettatori sull’evento teatrale; una machina teatrale perfetta, dotata di un palcoscenico a disco rotante per facilitare il cambio delle scene; un manufatto di grande valenza plastica e scultorea, un volume troncoconico rovescio e svasato dalla potente accezione struttiva (frutto della collaborazione con Musmeci).
Nel progetto di concorso per il politeama di Alessandria (1958) perseguì ancora una volta la limpidezza dell’articolazione volumetrica, enfatizzandola attraverso lo stesso espressionismo strutturale che innervava il palazzo del ghiaccio della Yale University di Eero Saarinen (1953-59).
Impostò l’organismo architettonico su una pianta a forma di conchiglia, così da garantire la massima fruizione dell’area disponibile, e concepì un sofisticato congegno strutturale. Una doppia serie di piloni esterni, inclinati e sagomati per rispondere agli sforzi di flessione, erano preposti a sorreggere la platea e l’inedita copertura paraboloide, che abbracciava unitariamente platea, scena lirica e foyer. Con la consueta attenzione risolse lo studio della visibilità e dell’acustica, adottando plafonature in filari di iuta. Facendo riferimento all’innovativo Total Theatre progettato da Walter Gropius per Ervin Piscator, concepì un centro adatto alle diverse forme di rappresentazione e d’incontro. Il progetto venne lodato da Bruno Zevi che lo presentò sulle pagine della sua rivista (Concorso per il teatro comunale di Alessandria, in L’architettura. Cronache e storia., n. 55, maggio 1960, p. 68).
Secondo la consuetudine invalsa nell’ambiente professionale romano che a cavallo degli anni Sessanta vide la nascita di numerosi studi associati, dal 1958 al 1963 avviò un’intensa attività progettuale nello studio di via Palestro 69 insieme agli architetti Giancarlo De Sanctis, Lino Liggini, Enrico Pesci (progetto per l’ampliamento della sede comunale di Frosinone, 1961; progetto per la nuova sede della pretura e dell’ufficio postale di Veroli, 1961; edificio della pretura di Ceccano, 1961; ospedale civile Pasquale Del Prete a Pontecorvo, 1962-66; stabilimento industriale per la fabbrica di elicotteri Agusta a Frosinone, 1963-65).
Nel 1959 vinse il concorso bandito dall’ACEA (Azienda comunale elettricità e acque) per il centro idrico della Cecchina, situato in via della Bufalotta, all’estrema periferia della Capitale, e destinato a rifornire d’acqua la zona nord di Roma. La struttura, con la quale nel 1964 si aggiudicò il premio regionale In/Arch (Istituto nazionale di architettura) per il Lazio, venne completata nel 1966 e fu lodata da Carlo Scarpa e da Lucio Passarelli.
Nello stesso anno ottenne il secondo premio al concorso per il centro idrico dell’Aurelio, prefigurando un astratto e totemico cilindro, sezionato obliquamente e connotato da una scansione cromatica tesa a dissiparne la presenza nell’indistinto spazio del cielo.
Nel 1961 ottenne il IV premio con il progetto di concorso per un centro idrico trilobato in zona EUR, dove estrinsecò il profondo interesse per il mondo naturale, e per botanica in particolare.
Nel 1963 venne scelto da Libera come assistente del corso di composizione architettonica; dopo l’improvvisa scomparsa dell’architetto trentino proseguì per un triennio l’attività didattica, prestando la propria collaborazione al corso di Ludovico Quaroni, per abbandonare poi la carriera universitaria. Su invito di Zevi dedicò all’opera di Libera una pionieristica analisi critica (A. Alieri - M. Clerici - F. Palpacelli - G. Vaccaro, Adalberto Libera (1903-1963), in L’Architettura cronache e storia, nn. 123-133, gennaio-novembre 1966).
Per il concorso del teatro comunale di Cagliari 1964 (IV premio) progettò una potente architettura ctonia, omaggio alla potenza tellurica dei vicini bastioni della Cittadella e memoria della più profonda anima sarda presente nel villaggio nuragico di Barumini, che aveva visitato in compagnia dell’archeologo Giovanni Lilliu, suo scopritore e massimo studioso.
Concepì il manufatto come un ciclopico tetto-giardino in diretta continuità con il parco circostante (un involucro in calcestruzzo alleggerito, articolato in una serie di catini per la raccolta delle acque piovane), vicino nelle intenzioni progettuali al concetto di piattaforma indagato da Jørn Utzon (Platforms and plateaus: ideas of a Danish architect, in Zodiac, 1962, n. 10, pp. 112-140).
Al pari di altri protagonisti della cultura architettonica romana, come Luigi Pellegrin o Maurizio Sacripanti, non ridusse mai il rapporto con le preesistenze ambientali e con la storia a una mera questione linguistica, con la riproposizione di forme stilistiche pregresse, ma intese questa relazione in termini apparentemente più vaghi, eppure più profondi.
Così al Concorso per la sede degli uffici e della biblioteca della Camera dei deputati (1967) presentò un’ardita proposta progettuale, aliena da mimetismi eppure profondamente legata al genius loci romano.
Rifiutando accenti storicistici e l’uso degli ordini architettonici, trovò nessi profondi con la cultura barocca, recuperando il turgore delle superfici, il valore della massa modellata, quasi scolpita. In piazza Montecitorio, accanto al palazzo liberty e ‘balneare’ di Ernesto Basile, prefigurò un possente solido a sezione tronco-piramidale rovescia conficcato nel terreno. La possente mole si apriva al proprio interno in un enorme invaso illuminato dall’asola ricavata al di sotto della copertura, contemperando la suggestione dell’invaso del Guggenheim Museum di Frank Lloyd Wright con la ricerca borrominiana della continuità strutturale, presente nella cappella Spada.
Nel 1967 aprì il proprio studio in via Giulia n. 16: di giorno operosa fucina, laboratorio dove sperimentare le soluzioni più ardite e avveniristiche, di sera animato cenacolo, luogo di incontro di intellettuali e di artisti come Marcello Avenali, Alfonso Gatto, Sergio Musmeci e Zenaide Zanini, Lino e Renata Monti, Carlo e Nini Scarpa (Onorina Lazzari), Toti Scialoia e Gabriella Drudi, Lorenza Trucchi.
Ebbe sempre un rapporto stretto e profondo con il mondo della cultura artistica, seguendo con passione gli sviluppi delle parabole creative di vari esponenti dell’avanguardia con i quali intrattenne stretti rapporti amicali: Martin Bradley, Pedro Cano, Romano Rizzato Lotto, Antonio Scordia, Guido Strazza.
Dal 1970 al 1977 collaborò al corso di ponti e grandi strutture, tenuto da Musmeci nell’Istituto di critica operativa fondato e diretto da Zevi. Nel 1978, Toti Scialoja gli affidò il ruolo di vicedirettore dell’Accademia di belle arti di Roma, carica che ricoprì fino al 1994. La stima di Zevi si risolse in una profonda amicizia e in varie occasioni lavorative: con lui redasse il piano regolatore di Fiuggi e su suo incarico curò l’allestimento di un gran numero di mostre all’interno di palazzo Taverna, sede storica dell’In/Arch.
Nel 1971 impostò il progetto di concorso per la costruzione di un centro pubblico governativo a Dar El Salam secondo una visione organico-espressionista, memore del Watergate realizzato da Luigi Moretti a Washington.
Ideò il fulcro simbolico della giovane nazione affrancata dal colonialismo occidentale in chiave antimonumentale, evitando ogni riferimento alle pregresse manifestazioni della cultura occupante. Prefigurò il complesso come una duplice concrezione rocciosa a individuare due piazze principali, corrispondenti al centro culturale (con i teatri e gli spazi espositivi) e al polo amministrativo (con il parlamento, gli uffici governativi e la sala conferenze). Rifuggendo lo scintillante lucore dell’International Style, selezionò i materiali reperibili in loco: pietra rosa della Tanzania per il selciato delle piazze, pietre e legno per gli interni. Ottemperò alle ragioni del cerimoniale, immaginando una scenografica rampa a ferro di cavallo per l’accesso diretto delle autorità, e, dimostrando un’autentica coscienza ambientalista, dispose gli uffici in modo tale che fossero all’ombra durante l’orario di lavoro.
L’interesse per la continuità della copertura innervò il progetto presentato al concorso per i teatri nazionali di Belgrado (1971), prefigurato come un manto traslucido a protezione degli invasi inferiori, un iridescente cristallo ospitante al proprio interno i volumi ellissoidali dei teatri e una serie di aerei spalti concepiti come luoghi d’incontro.
Nel 1973 vinse il concorso per il centro idrico ACEA di Vigna Murata a Roma, nel settore meridionale della città, che portò a termine nel 1989 e che fu molto apprezzato da Pellegrin.
Morì a Roma il 15 novembre 1999 a seguito di una caduta accidentale durante una visita di cantiere.
Quella di Palpacelli fu la figura leonardesca di un homo faber, animato da profondi e divaricati interessi – dalla botanica all’astronomia, dalla poesia all’arte e capace in virtù del proprio ingegno di mettere a punto straordinarie machinae architettoniche, oltre i consolidati indirizzi progettuali, oltre la norma, oltre le mode. Lontano da proclami e manifesti, dalle affermazioni di ordine teoretico e dalle polemiche, predilesse la cultura del fare, l’impegno concreto, adoperandosi con estrema serietà nella professione.
Altre opere e progetti: concorso per un quartiere ISES a Secondigliano, Napoli 1965; concorso per il nuovo palazzo di Giustizia, Pescara 1968; concorso per la nuova sede dell’Istituto tecnico industriale, L’Aquila 1969; villa Conti, Framura (Liguria) 1964-71; casa Ceschin, Frosinone 1967-75; progetto per un residence, Framura 1968; progetto per un residence e attrezzature turistico-commmerciali a Poggio Fiorito, Fiuggi 1969; concorso nazionale per il piano urbanistico di sistemazione dell’università, Cagliari 1971; unità residenziali, Frosinone 1972-74; centro teatrale polivalente di Udine 1974 (I premio); progetto di concorso per la Hall della Steel Mill Company, Teheran 1977; progetto per due torri tecnologiche, Teheran 1978; concorso per un centro parrocchiale ad Acilia (Roma) 1993; progetto per la riqualificazione del Borghetto Flaminio, Roma 1995.
Fonti e Bibl.: P. Carbonara, Concorso nazionale per un teatro all’aperto a Pescara, in L’architettura. Cronache e storia, n. 35, settembre 1958, p. 325; Concorso per il teatro comunale di Alessandria, ibid., n. 55, maggio 1960, p. 68; Concorso nazionale per il teatro comunale di Cagliari, ibid., n. 123, gennaio 1966, p. 590; Catal. Bolaffi dell’architettura italiana 1963-1966, Torino 1966, pp. 436 s.; Centro idrico di Vigna Murata, ibid., n. 409, novembre 1989, p. 812 s.; L. Pellegrin, Roma Eur, centro idrico polivalente dell’Acea, ibid., n. 425, marzo 1991, pp. 166-177; F. P.: romanticismo organico (catal.), a cura di M. Falconi - V. Piscitelli, Roma 2001; S. Bianchi - Z. Dreher - J. Vagi, F. P. (catal.), Roma 2004; M. Locci, L’architettura di F. P. Polarità Emittenti-captanti, Roma 2005; G. Muratore - A. Lazzaro, F. P. architetto, Milano 2007; si veda inoltre http://www.francopalpacelli.it che fornisce l’archivio personale dell’architetto messo a disposizione dalla moglie (con bibl. completa).