RUGGIERO, Francesco Paolo
– Nacque il 4 aprile 1798 a Napoli da Pietro, medico e professore della Reale Università degli studi di Napoli, e da Matilde Sancia.
All’età di ventuno anni conseguì il primo grado di approvazione alla facoltà di lettere e filosofia presso l’Ateneo di Napoli, per poi laurearsi in giurisprudenza. Al contempo, frequentò la scuola privata del letterato Basilio Puoti, studioso della lingua italiana che, seguendo la dottrina purista, educò i giovani allo studio dei classici antichi e dei trecentisti. Nella scuola, Ruggiero conobbe gli intellettuali con i quali sarebbe stato al centro della vita culturale della città negli anni seguenti: i fratelli Michele e Saverio Baldacchini, Giuseppe Ferrigni, Giuseppina Guacci Nobile, Antonio Ranieri (amico intimo di Giacomo Leopardi), il repubblicano Giuseppe Ricciardi e il liberale Luigi Settembrini.
Negli anni Trenta e Quaranta Ruggiero fu uno degli avvocati di maggiore successo del foro napoletano. La sua ascesa avvenne nella fase dei cambiamenti epocali che succedettero alla dominazione napoleonica, quando l’emanazione dei codici giuridici su ispirazione di quelli francesi e l’abolizione della feudalità crearono numerose controversie legate all’applicazione del diritto. Tra il 1830 e il 1847 diede alle stampe otto pubblicazioni di argomento giurisprudenziale, se non relative alle cause che aveva direttamente difeso. A tal proposito, ricevette particolare notorietà la sua pubblicazione riguardante il processo per la successione al patrimonio del cittadino Cesare Volpicelli. La causa aveva già suscitato l’interesse degli esperti, ma Ruggiero ne amplificò la popolarità, dedicandole una pubblicazione incentrata su una corrispondenza fittizia, che ebbe lo scopo di chiarire meglio le questioni tecniche di fondo. La sua fama avrebbe raggiunto comunque l’apice negli anni appena precedenti alla rivoluzione del 1848, quando fu chiamato a difendere lo Stato nella famosa causa della ferreria della Mongiana. La causa fu di notevole interesse patrimoniale per il Regno, poiché i ricorrenti rivendicavano la proprietà del complesso siderurgico della Calabria Ultra, dichiarandosi discendenti di Cesare Fieramosca, scudiero di Carlo V che aveva in effetti ricevuto in dono la ferreria e i relativi boschi dallo stesso imperatore.
All’attività professionale (ivi incluso l’insegnamento privato dell’economia ai giovani), Ruggiero accompagnò un intenso impegno culturale e filantropico, inserendosi negli ambienti cautamente riformistici che iniziarono a fiorire nella capitale con l’avvento al trono di Ferdinando II. Collaborò infatti assiduamente a Il Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti, rivista scientifica con spiccata propensione divulgativa diretta da Giuseppe Ricciardi. Fra il maggio del 1832 e l’agosto del 1833 occupò provvisoriamente la direzione del periodico, a causa dell’arresto di Ricciardi accusato di cospirazione. Con Giuseppina Guacci Nobile si impegnò, inoltre, in un progetto volto alla realizzazione di asili per l’infanzia, destinato alle classi povere della capitale. Si interessò quindi alle teorie pedagogiche di Johann Heinrich Pestalozzi. Nel 1841, insieme agli amici e agli esponenti colti della società napoletana, fondò la Società per gli asili infantili, istituzione che, grazie ai finanziamenti privati e a un contributo del governo, nacque per sovrintendere alla fondazione sia di asili infantili, sia di scuole di avviamento alle arti e ai mestieri nella capitale.
Dopo la sollevazione autonomistica della Sicilia del 12 gennaio 1848, Ruggiero fu uno dei primi esponenti del liberalismo nel Regno delle Due Sicilie a incoraggiare l’avvio della rivoluzione, formulando il testo di una delle tre petizioni che i cittadini sottoscrissero affinché Ferdinando II concedesse la costituzione. Durante la rivoluzione, egli ricoprì l’incarico di ministro degli Affari ecclesiastici nel terzo governo costituzionale, subentrando, il 14 aprile, all’ex mazziniano Luigi Dragonetti. Il 6 aprile, Dragonetti aveva annunciato la nomina di una giunta laica con il compito di elaborare un nuovo codice ecclesiastico, che avrebbe modificato il concordato stipulato dalla S. Sede con il Regno delle Due Sicilie nel 1818. La riforma del concordato aveva rappresentato una questione non secondaria nella prospettiva degli ambienti liberali napoletani, poiché il patto del 1818 aveva significato il ritorno opprimente alle antiche prerogative della Chiesa, cancellate grazie alla rivoluzione del 1799 e poi al Decennio francese. Ruggiero cercò dunque di adoperarsi affinché l’iniziativa del suo predecessore si concretizzasse, fronteggiando le resistenze del clero napoletano. In particolare, quando l’arcivescovo di Napoli Sisto Riario Sforza si scagliò contro la riforma equiparandola allo scisma di Lutero, egli replicò, senza temere ripercussioni dalle più alte gerarchie ecclesiastiche, accusandolo di atteggiamenti oscurantisti e ‘medievali’. Il 10 maggio, dopo poche settimane dall’inizio del mandato, fu tuttavia lui stesso a interrompere il percorso di riforma, rassegnando le dimissioni. La decisione giunse per le differenze emerse nel confronto politico con gli altri componenti del governo a proposito del ruolo del Regno nella prima guerra d’indipendenza. Se fin dallo scoppio del conflitto il movimento liberale aveva fatto pressioni affinché lo Stato borbonico partecipasse alla guerra con il numero maggiore possibile di uomini e mezzi, Ruggiero si ostinò a manifestare l’idea che il Regno dovesse sì partecipare alla guerra, ma a condizione che, in caso di vittoria, Ferdinando II venisse incoronato re d’Italia. Sulla posizione pesò senza dubbio la preoccupazione per il ruolo da protagonista che il Piemonte sabaudo stava guadagnando, timore condiviso dallo stesso sovrano.
Candidato ed eletto alla Camera dei deputati nella tornata del 18 aprile 1848, Ruggiero prese parte attiva alle riunioni preparatorie e informali che i deputati del Parlamento napoletano organizzarono nelle giornate del 13 e del 14 maggio, in vista dell’inaugurazione ufficiale delle sedute prevista per il 15. Come molti esponenti di parte moderata, si trovò suo malgrado ad assistere ai tragici fatti del 15 maggio. Durante la giornata, le frange estreme del movimento radicale, accompagnate da studenti e da alcuni comparti della guardia nazionale, tentarono di imporsi per trasformare il Parlamento in Assemblea costituente, mentre una parte residuale del movimento si mobilitò per rovesciare la monarchia e instaurare la repubblica. Il tentativo, inizialmente del tutto pacifico e nato proprio in seno alle riunioni alle quali lo stesso Ruggiero partecipava, sfociò nella costruzione delle barricate e nello scontro a fuoco tra le truppe reali e la popolazione civile, in cui quest’ultima ebbe la peggio.
Il 16 maggio, Ruggiero fu chiamato a comporre il primo governo postrivoluzionario, in qualità di ministro delle Finanze, assumendo ad interim anche l’incarico di ministro di Grazia e Giustizia. Le sue cure andarono alle classi indigenti della popolazione, ai lavoratori manuali e agli agricoltori. Senza rinnegare i principi della libertà di produzione e di commercio, in sede di Consiglio dei ministri espresse l’idea che lo Stato avrebbe dovuto comunque sostenere i ceti sociali più esposti ai pericoli del libero mercato, sovvenzionando i mezzi di produzione o stanziando dei fondi per i lavori pubblici. Il 5 febbraio 1849 propose inoltre al Parlamento un importante progetto di legge destinato a razionalizzare i criteri di assegnazione delle ‘pensioni di grazia’. Il progetto, bloccato dallo scioglimento definitivo delle Camere il 13 marzo, avrebbe potuto arginare la discrezionalità con cui il re era uso ricompensare la fedeltà di funzionari, impiegati e militari al regime borbonico, allentando anche i legami personalistici che intercorrevano sovente tra l’apparato amministrativo e la corte.
Il 7 agosto 1849 Ruggiero fu destituito. La rimozione segnò l’incrinarsi della sua parabola politica. Sull’onda delle politiche repressive attuate da Ferdinando II anche a mezzo di processi sommari, nella stessa estate del 1849 egli venne coinvolto, insieme a buona parte dei deputati eletti il 18 aprile 1848, nel processo per i fatti del 15 maggio. Fuggì quindi in Toscana. Nel 1852 venne poi condannato alla pena di morte per attentato contro la sicurezza interna dello Stato. Diversamente dai liberali napoletani che si rifugiarono a Torino, a Genova o che ripararono all’estero, egli visse l’esperienza dell’esilio in solitudine, lontano dalla mobilitazione contro i Borbone e a favore dell’unificazione italiana. La sua emarginazione politica fu voluta dai liberali napoletani, i quali giudicarono la sua accettazione del ministero delle Finanze nel primo governo postrivoluzionario come un vero e proprio tradimento della causa liberale.
A tal proposito, nel 1849 Giuseppe Massari lo giudicò come uno dei più tenaci avversari dell’unificazione italiana, capace di accettare, il 16 maggio, «un portafoglio tinto di sangue cittadino» (Massari, 1849, p. 122). Nel 1850, Ferdinando Petruccelli lo definì addirittura «occulto affiliato» del re e della corte (Petruccelli, 1850, p. 97). Nel 1856, Pier Silvestro Leopardi lo accusò, ancora, di essere stato uno degli agenti del «partito» reazionario che provocarono i fatti del 15 maggio per «schiudersi la via ad un seggio ministeriale più stabile» (Leopardi, 1856, p. 450), mentre nelle lettere di Alessandro Poerio del 1848, pubblicate postume da Vittorio Imbriani, era definito per la stessa ragione «infamissimo» (Alessandro Poerio, 1884, p. 112).
Nel 1860, in seguito alla conquista del Regno da parte di Giuseppe Garibaldi, Ruggiero tornò a Napoli. Alle elezioni del 1865 si candidò nella sua città natale come deputato. Pur essendo stato un fervido sostenitore di Garibaldi, del quale apprezzò il sacrificio politico disinteressato, si collocò su posizioni temperate per poi rifluire su un autonomismo napoletano di stampo conservatore. Eletto quindi deputato nella X legislatura del Regno d’Italia (1867-70), vi esercitò tuttavia un contributo trascurabile, dovuto alla posizione fortemente critica elaborata nei confronti del processo di unificazione nazionale e al ruolo subordinato che a suo avviso vi assunse il Mezzoggiorno. Dedicò i suoi ultimi anni all’attività di giureconsulto.
Tra le cause di maggiore rilievo: la difesa dei greci cattolici romani contro i greci scismatici e la difesa del Comune di Napoli contro lo Stato italiano sulla questione della proprietà del lido del mare che costeggia la città. Le pubblicazioni relative a queste cause erano dottissime, intrecciando l’erudizione storica e il gusto per la discussione interpretativa cui Ruggiero dovette la sua fama negli anni del regime borbonico.
Si spense il 31 dicembre 1881 nella sua residenza di campagna a Resina, località del Napoletano, fiaccato dalla «lunga età» e da «un male cronico» (Jannuzzi, 1882, p. 79).
Sposato con Margherita Barsottini, ebbe due figli, Leonardo e Matilde.
Scritti e discorsi. Dell’ampia produzione di Ruggiero si segnalano: Per Francesca Della Camera. Confutazione del sistema de’ signori Volpicelli, Vasquez, De Rubertis, e Fiano nella successione al defunto Cesare Volpicelli, Napoli 1830; Seconda allegazione in difesa del real Corpo di artiglieria per le ferrerie di Mongiana le miniere ed i boschi delle Calabrie Ultra contro le domande dei pretesi successori di Cesare Feramosca, Napoli 1846; Discorso del ministro delle finanze letto alla Camera de’ deputati nel presentare la compilazione del lavoro dello stato discusso del 1849, Napoli 1849; Lettera di Francesco Paolo Ruggiero intorno all’elezione del deputato del Quartiere S. Ferdinando, seguita da un discorso sulle cause delle presenti condizioni dell’erario pubblico dello stesso autore, Napoli 1866; Che il lido del mare che lambisce la città di Napoli è proprietà del Demanio Pubblico e non del Comune, Napoli 1867; Intorno al dritto dei greci cattolici romani di rivendicare la parrocchia greca di Napoli usurpata dai greci scismatici, II ed. corretta e accresciuta, Napoli 1870; Catalogo di una scelta biblioteca da vendere nella quale sono da notare molti esemplari di non comune bellezza assai ben conservati, I-II, Napoli 1873; Un articolo di un’allegazione. In materia di ricompensa di avvocato, Napoli 1879.
Fonti e Bibl.: Napoli, Società napoletana di storia patria, Fondo F.P. R., Carte private e volume XXVI B 2, Rapporto del ministro delle finanze al consiglio dei ministri, s.d.
Statuti della Società per gli asili infantili della città di Napoli e regolamenti interni approvati col Real rescritto de’ 22 maggio 1841, Napoli 1841; Lettera dell’Eminentissimo Cardinale Arcivescovo di Napoli al Ministro degli Affari Ecclesiastici, in La Scienza e la Fede. Raccolta religiosa, scientifica, letteraria ed artistica che mostra come il sapere umano renda testimonianza alla religione cattolica, XV, Napoli 1848, pp. 318-325; Lettera del Ministro degli Affari Ecclesiastici al Cardinale Arcivescovo di Napoli, e Risposta fattagli da quell’Emo Porporato, ibid., pp. 383-385; G. Massari, I casi di Napoli dal 29 gennaio 1848 in poi. Lettere politiche, Torino 1849, passim; F. Petruccelli, La rivoluzione di Napoli nel 1848, Napoli 1850, passim; P.S. Leopardi, Narrazioni storiche di Pier Silvestro Leopardi con molti documenti inediti relativi alla guerra dell’indipendenza d’Italia e alla reazione napolitana, Torino 1856, passim; R. Bonghi, La vita e i tempi di Valentino Pasini, Firenze 1867, passim; S. Jannuzzi, Commemorazione di F.P. R. letta all’Accademia Pontaniana nella tornata del 2 luglio 1882, Napoli 1882; Alessandro Poerio a Venezia. Lettere e documenti del 1848 illustrati da Vittorio Imbriani, Napoli 1884, passim; G. Paladino, Il quindici maggio 1848 in Napoli, Milano 1920, ad ind.; A. Capone, L’opposizione meridionale nell’età della destra, Roma 1970, ad ind.; U. Dotti, Il Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti (1832-1834), Roma 1970, ad ind.; V. Mellone, Dopo i fatti napoletani del 15 maggio 1848. Vicende giudiziarie ed indagini di Alta Polizia a confronto, in Rivista storica italiana, CXXV (2013), 2, pp. 497-550; Ead., La circolazione delle opere europee a Napoli tra richieste locali e proposte di Vieusseux, in Giovan Pietro Vieusseux. Pensare l’Italia guardando all’Europa, a cura di M. Bossi, Firenze 2013, pp. 304-315.