Patrizi, Francesco
Filosofo e letterato (Cherso, Pola, od. Croazia, 1529 - Roma 1597). Cominciò i suoi studi a Cherso, perfezionandoli a Venezia, Ingolstadt e infine a Padova, dove ebbe tra i suoi maestri Bernardino Tomitano e Francesco Robortello; a Padova fu presidente della Congrega degli studenti dalmati e pubblicò i suoi primi scritti. Dopo un soggiorno nel suo paese, stampò nel 1558, a Ferrara, l’Eridano, poemetto in lode degli Estensi; a Venezia, nel 1560, pubblicò i dieci dialoghi Della historia, notevole rivendicazione del valore teoretico e dell’importanza politica della scienza storica. Dopo un periodo di lunghi viaggi, che lo portarono più di una volta a Cipro e in Spagna e gli consentirono di conoscere e acquistare numerosi manoscritti di autori antichi, nel 1578 fu invitato da Alfonso II d’Este a insegnare filosofia nell’univ. di Ferrara. Il periodo ferrarese fu per P. tra i più fecondi: pubblicò i suoi studi strategici, poetici, letterari, matematici, filosofici. Restò a Ferrara fino al 1592, quando, divenuto pontefice Clemente VIII, fu chiamato nell’univ. di Roma, dove insegnò filosofia platonica fino alla morte, nonostante l’ostilità dell’ambiente culturale. Strenuo difensore del platonismo attaccò aspramente le tesi dell’aristotelismo nelle Discussiones peripateticae (ed. parziale: Venezia 1571; completa: Basilea 1581), in cui riecheggia la tesi già sostenuta dai primi platonici cristiani, da Agostino, dallo pseudo-Dionigi e da Ficino, secondo la quale la filosofia platonica sarebbe più vicina al cristianesimo di quella aristotelica. La maggiore opera filosofica di P. è la Nova de universis philosophia, pubblicata a Ferrara nel 1591 e soggetta a procedimento inquisitoriale a partire dal 1592, quindi messa all’Indice, nel 1597, donec corrigatur. Articolata in quattro parti, intitolate Panaugia, Panarchia, Pampsychia, Pancosmia, è costruita attorno all’idea che l’Universo derivi da Dio per diffusione, in una gerarchia decrescente di perfezione che a partire dall’Uno e Bene, prima lux, si diffonde nello spazio, dando origine alle forme e ai corpi, secondo una prospettiva emanatistica e neoplatonizzante che recupera temi della metafisica della luce e rivela anche echi dello Zodiacus vitae di Palingenio Stellato. Profondo conoscitore del greco, P. ebbe accesso a un corpus di scritti degli autori platonici antichi che non si limitava alle traduzioni e ai commentari ficiniani: tradusse quindi lo pseudo-Giovanni Filopono nonché alcuni scritti di Proclo; accettò l’autenticità degli opuscoli attribuiti a Ermete Trismegisto, pubblicandone alcuni; diede alle stampe gli Oracoli caldaici attribuiti a Zoroastro (1593), lesse Antioco di Ascalona, Cicerone, Ammonio Sacca, Boezio e Agostino. Fu sostenitore del ritorno a quella prisca philosophia – incarnata da pii philosophi quali Ermete Trismegisto, Platone, Plotino – che sembrava anticipare le verità del cristianesimo e sintetizzare aspirazione alla conoscenza e alla esperienza religiosa. Tra gli altri scritti di P. sono da ricordare: La militia romana di Polibio, di Tito Livio e di Dionigi Alicarnasseo da F.P. dichiarata (1583); Della nuova geometria libri XV (1587); Paralleli militari (1594).