PICCOLOMINI, Francesco
– Nacque a Siena il 12 ottobre 1582 (il 22 secondo lo stile comune) da Lelio, signore della Triana, e da Agnese Piccolomini di Castiglioncello.
Appartenne dunque a un ramo della famiglia che diede alla Chiesa due papi: Enea Silvio Piccolomini (Pio II) e Francesco Todeschini-Piccolomini (Pio III).
Come suo fratello maggiore, Girolamo, entrò nella Compagnia di Gesù il 26 gennaio 1600. Domenico Brunacci lo descrive come «giovane di gran garbo e spiritosissimo» (Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, Vitae, 158, c. 45) e sin dalla gioventù molto devoto. Nel 1611 studiò teologia dopo aver concluso il corso di umanità e professò i quattro voti il 14 maggio 1617 a Roma (Ital. 6, cc. 238-239). Al Collegio Romano, dove incontrò il cistercense Ferdinando Ughelli e il confratello Juan de Lugo, insegnò poi come professore di logica (1615 e 1616, 1618 e 1619), fisica (1616 e 1617), metafisica (1620 e 1621), etica (1621-23), teologia scolastica (1623-26). Tra i suoi scolari ebbe Luigi Confalonieri, s. Juan Berchmans (morto prematuramente, del quale Piccolomini recitò l’orazione funebre, santificato da Leone XIII nel 1888) e un altro futuro generale dei gesuiti, Giovanni Paolo Oliva.
Francesco Piccolomini scrisse una Indipeta nella quale dichiarava di mettersi nelle mani del generale «con pronta e deliberata volontà di partirmi per quelli desiderati Paesi [dell’India] anche hoggi, se così ordinasse, scalzo, e senza assegnamento alcuno per affaticarmi a gloria di Dio, e salute di così bisognosi fratelli cohere di anch’essi con noi altri del Paradiso» (Fondo gesuitico 732, c. 69 nuova numerazione: 100); il generale Muzio Vitelleschi non esaudì la sua richiesta di andare in missione e lo nominò invece suo segretario nel dicembre 1625.
Furono quelli anni complessi per la Compagnia, perché la proliferazione dei collegi e la mancanza di personale preparato in maniera adeguata resero necessario procedere a una riorganizzazione interna. In quel periodo sorsero inoltre conflitti di tipo ‘nazionale’: la Sicilia, ad esempio, nel 1626 era stata divisa in due province, orientale (Messina) e occidentale (Palermo). Nonostante fossero stati gli stessi padri a perorare presso Vitelleschi tale divisione, già nel 1629 iniziarono una serie di lamentele così che nel 1631 il segretario Piccolomini venne inviato nell’isola (27 novembre 1631 - 22 settembre 1632) come visitatore per decidere sull’opportunità di riunire le due province. In questa occasione venne accompagnato da Giovanni Paolo Oliva e, nel corso della missione, si mostrò attento nel punire ogni forma di dissidenza, stigmatizzando in particolare l’eccessiva attenzione alle cose temporali dei predicatori e l’esorbitante numero di fratelli coadiutori, per lo più rozzi e poco istruiti. Turbolenta era la situazione di Messina, tanto nella casa professa quanto nel collegio, specie per la presenza di troppi gesuiti originari del luogo – del prefetto agli studi Melchior Belli si dice essere «troppo messinese» (Sic. 184, I, c. 44v) – «onde son nati molti difetti di carità, ombre e diffidenze, e molte inosservanze di regole […] sicché è stato necessario licenziare alcuni e altri penitentiarli o con noviziati, o con levarli da studi, et applicarli a uffici de fratelli» (cc. 44v-45r). Il suo parere finale fu che le due province dovessero essere riunite, così che il 19 gennaio 1633 Vitelleschi scrisse «una premurosa lettera […] comandando la riunione delle due province in perpetuo, di cui fece esecutore fedele il nuovo provinciale, il p. Pompilio Lambertenghi» (Sic. 184 I: Divisione della Sicilia, c. 13).
Rientrato a Roma fu rettore del Collegio romano (1632-35), quindi provinciale di Roma (1635-38), Milano (1638-42), Napoli (1643-46), Venezia (1647-50). Morto Vitelleschi, nonostante avesse il favore di Urbano VIII, del quale fu anche confessore, non riuscì a essere eletto nell’VIII Congregazione generale, che scelse invece Vincenzo Carafa. Il 21 dicembre 1649 successe infine a Carafa: la IX Congregazione generale (13 dicembre 1649 - 23 febbraio 1650) lo elesse (con 59 voti su 80) ottavo preposito generale della Compagnia di Gesù.
Nonostante la sua lunga carriera accademica Piccolomini non fu uomo di lettere, e poche sono le testimonianze dei suoi scritti. Forse la sua unica opera degna di questo nome fu un commentario sopra il viaggio del popolo d’Israele (Christiana Peregrinatio, Israelitica Vestigia relegens ab Aegypto in Palestina) rimasto però manoscritto. Egli fu soprattutto uomo di azione e anche durante i pochi mesi del suo generalato le testimonianze scritte riguardarono aspetti del governo, che mostrano come avesse fatto tesoro della sua lunga esperienza sul campo nelle diverse province: il 28 ottobre 1650 scrisse una lettera a tutta la Compagnia dal titolo De utilitate et necessitate exsecutionis al fine di sollecitare la messa in atto delle decisioni prese durante la IX Congregazione generale, fra cui l’estensione delle punizioni ai perturbatores interni che tentavano di agire con appoggi esterni per la creazione di nuove province e l’estensione a dieci anni, esclusi gli studi, del requisito necessario alla professione dei quattro voti. Altrove si occupò di invitare i professori di filosofia e teologia ad astenersi dall'insegnare tesi relative ad aspetti controversi come l’immobilità del firmamento e il moto diurno della Terra, guardandosi bene però dal dichiararle errate scientificamente. Fu ugualmente impegnato nella trattativa per il rientro dei gesuiti a Venezia anche se morì prima di vederne l’esito positivo (1657).
Piccolomini soffriva di calcoli renali e la regina madre di Francia Anna d’Austria lo aveva invitato a recarsi Oltralpe per curarsi (Vitae 158, c. 25, Lettera da Parigi del 4 maggio 1651); la malattia però si acuì e morì «come un santo martire» (Vitae 158: Brunacci, c. 45v) a Roma il 17 giugno 1651.
Il confratello Valentino Mangioni, che ascoltò la sua confessione in punto di morte, dichiarò come fino alla sua dipartita, avvenuta fra atroci dolori, Piccolomini avesse «conservato illibato et intero il fiore della castità verginale del corpo e dell’anima» (Testimonio del p. P. fatto dal p. Valentino Mangioni, in Lettere edificanti, 1906, p. 329); su questo punto si costruì molto dell’immaginario intorno alla purezza della figura di Piccolomini, come attesta anche il numero elevato di copie in più sedi di questo documento. Questa presunzione di santità è attestata anche da una testimonianza della venerabile serva di Dio Bernardina Bonori di Borgo San Sepolcro, la quale testimoniò di avere avuto una visione circa la gloria celeste di Piccolomini (Come l’anima del P. Francesco Piccolomini fu veduta gloriosa in Cielo, in Archivum Romanum Societatis Iesu, Vitae, 158, c. 46). Nella lettera del gesuita segretario e poi generale Goswinus Nickel, circolata dopo la sua morte, è descritto come persona di «vivido ingenio, acerrimo iudicio, fœlici memoria, magno animo, eximia prudentia, rara in rebus Societatis experientia» (c. 22).
Fonti e Bibl.: Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, Vitae, 158: Elogia Prœpositorum Generalium, p. F. P.: cc. 16-86; Fondo gesuitico, 554, cc. 145, 1-8; 657, cc. 641-667: Instructio pro studiis superioribus iussu C. Gen. IXæ confecta et missa a R.P.N. F. P. P.G.; 732, f. 69; Congr. 20e, cc. 100-102v, 244-248; 21, c. 250; Rom. 153, c. 181; Sic. 184, cc. 40-60: Conto essatto delle persone, cose temporali e spirituali di Sicilia (relazione di F. P.); Inst. 180, c. 8: Responsa ad dubia… circa… paupertate del p. Muzio, risposta del p. P., Napoli, 6 agosto 1650, cc. 20-23: F. Piccolomini, Circularis de remediis contra defectus circa paupertatem, 1651; Gall. 38, cc. 80-81: Id., Epistula circularis ad tuendam integram pauperatem, Roma, 30 gennaio 1651; Ad omnes Provinciales et Visitatores appendix ad epistola de paupertate…, Roma 10 aprile 1651 (praesertim de paupertatem missionum); c. 81: Id., Quomodo cum iis qui ad aliam religionem transire voluerunt agendum sit, 29 aprile 1651 (riprende la lettera del 18 novembre 1617 di M. Vitelleschi); cc. 82-82v: Ad omnes Prov. Franciæ pro vitandis variis defectibus scripturarum quæ Romam mittetur; Ital. 74, cc. 103-104: Lettera circolare del P. F. P., 9 ottobre 1650, sui defetti che si commettono nello scrivere lettere tanto nelle lettere private quanto nella corrispondenza d’uffizio con il P. Generale (anche in Aust. 19, cc. 334-335; Rom. 4, I, cc. 128-129v); Ital. 6, 238-239; Ital. 76 I: Litteræ soli Generali, c. 337rv: Lettera del prov. F. P., Napoli, 4 giugno 1644; Neap. 204: Storia della Compagnia di Napoli, 1646-1649, passim; Sic. 10 II, cc. 495v-496, 487v, 500, 501, 501v, 504rv, 506rv, 507v, 508; 184, I, cc. 40-60v: Visita di Sicilia del p. P.; Roma, Biblioteca nazionale, Stampati con note manoscritte, 12.1.A.19, 1603-1604: Dedica di Cristoforo Clavio a F. P.: “F. P. Ex dono auctoris”.
F. P., in N. Southwell, Bibliotheca Scriptorum Societatis Iesu, Roma 1676, pp. 243 s.; G.A. Patrignani, Menologio di pie memorie di alcuni religiosi della Compagnia di Gesù, II, Venezia 1730, pp. 117-121 (la data di morte è riportata erroneamente come 1655 anziché 1651); N. Galeotti - A.van Westerhout, Ritratti de' prepositi generali della Compagnia di Gesù…, Roma 1748, pp. n.n.; G. Canestrini, Giudizi degli statisti d’Italia intorno al dominio temporale de’ Papi, in Nuova Antologia di scienze, lettere ed arti, III (1866), p. 230; F. P., in C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, VI, Bruxelles-Paris 1895, coll. 699s.; G. Olmi, I Senesi d’una volta, Siena 1889, p. 560; Lettere edificanti dei padri della Compagnia di Gesù nella provincia romana, Roma 1906, pp. 324-329 (P. Tacchi Venturi, Testimonio del p. Valentino Mangioni sopra le singolari virtù del p. Gen. F. P., 21 aprile 1906); An Historical Note, in Woodstok Letters, LX (1931), pp. 316-319 (trad. inglese della lettera di G. Nickel del 1651); P., F., in Synopsis historiae Societatis Jesu, Leuven 1950, col. 196; R.G. Villoslada, Storia del Collegio Romano dal suo inizio (1551) alla soppressione della Compagnia di Gesù (1773), Roma 1954, pp. 297s., 322, 324, 327, 329, 332; A. De Ferrari, Casati, Paolo, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXI, Roma 1978, p. 266; G.V. Signorotto, Il rientro dei gesuiti a Venezia: la trattativa (1606-1657), in I Gesuiti e Venezia. Momenti e problemi di storia veneziana della Compagnia di Gesù, a cura di M. Zanardi, Padova 1994, pp. 395, 398; M. Colpo, F. P., in C.E. O’Neill - J.M. Dominguez, Diccionario Histórico de la Compañía de Jesús, II, Roma-Madrid 2001, pp. 1629-1630; A.I. Lima, Architettura e urbanistica della Compagnia di Gesù in Sicilia: fonti e documenti inediti secoli XVI-XVIII, Palermo 2001, p. XXVIII; E. Colombo, Convertire i musulmani: l’esperienza di un gesuita spagnolo del Seicento, Milano 2007, p. 9.