PIGNATELLI, Francesco
PIGNATELLI, Francesco. – Nacque a Napoli il 6 febbraio 1652 da Giulio, marchese di Cerchiara, principe di Noja e duca di Monteleone e Terranova, e da Beatrice Carafa, figlia di Giovanni duca di Noja (feudo diverso da quello del genero), sposata in terze nozze il 27 marzo 1638.
Da un primo matrimonio con Zenobia Pignatelli, sua zia, Giulio aveva avuto il primogenito Fabrizio; da un secondo matrimonio, con Clarice di Capua, non aveva avuto figli; dall’ultimo matrimonio, quello con Beatrice Carafa, prima di Francesco nacque Nicola, che fu viceré di Sardegna e di Sicilia. Senza esserne nipote diretto, Francesco Pignatelli ebbe legami di parentela con Antonio Pignatelli, poi papa Innocenzo XII, il cui nonno Marzio, marchese di Spinazzola, era fratello del bisnonno Giulio, marchese di Cerchiara.
Pignatelli entrò tredicenne tra i chierici regolari teatini di Napoli. Si vestì da novizio in S. Paolo Maggiore (1665), dove ebbe per maestro Leonardo Duardo, nipote del più celebre e omonimo zio giurista. Fece professione religiosa il 18 febbraio 1669 nelle mani del preposito generale Pietro Nobilione in S. Paolo Maggiore, ma destinato all’altra comunità cittadina dei Ss. Apostoli, di cui era preposito lo zio Carlo. Terminato il corso di studi nella comunità dei Ss. Apostoli, dove nel 1674 era già sostituto lettore prima ancora di ricevere il diaconato, fu ordinato sacerdote (1675). Passò poi a insegnare prima a Roma, nella casa di S. Silvestro a Monte Cavallo (o al Quirinale), e in seguito a Mantova (mai a Madrid, come taluni biografi hanno erroneamente riferito).
Carlo II di Spagna lo propose a Innocenzo XI per l’episcopato. Eletto arcivescovo di Taranto il 27 settembre 1683, fu consacrato il 3 ottobre seguente dal cardinale Carlo Pio di Savoia, assistito da Giuseppe Bologna, arcivescovo di Benevento, e da Gregorio Giuseppe Gaetani d’Aragona, arcivescovo titolare di Neocesarea in Ponto.
Un anno dopo l’arrivo a Taranto, l’arcivescovo indisse la visita pastorale. Una lunga vertenza giurisdizionale lo oppose al principe di Grottaglie, Giovanni Cicinelli, obbligandolo a richiedere l’intervento della S. Sede e del nunzio a Madrid per ottenerne l’allontanamento dal paese. Non minore impegno pose nel controllo del clero di Martina Franca che, appoggiato dal barone locale, rivendicava autonomia nei confronti dell’arcivescovo e della Curia diocesana (1688-94). Ad altro scontro di giurisdizione portò l’arresto di un tenente spagnolo per conto dell’Inquisizione romana, con immediati interventi presso le nunziature di Napoli e Madrid (1698). Ampliò il Palazzo arcivescovile, eresse una cappella dedicata alla Madonna nella cattedrale, dotò di preziosi arredi l’altare della cappella di S. Cataldo, completò la costruzione del seminario avviata dal confratello suo predecessore Tommaso Caracciolo, fece infine decorare la chiesa di S. Francesco con un artistico soffitto. Si servì di Gian Vincenzo Gravina come procuratore a Roma.
Da Innocenzo XII, pur poco disponibile a promuovere parenti, Pignatelli fu inviato nunzio apostolico in Polonia (27 marzo 1700) e nominato assistente al soglio (16 aprile 1700). Lavorò tra i ruteni, ovvero le popolazioni slave cristiane di rito bizantino residenti a occidente della linea Dvina-Dnepr e facenti parte dello Stato polacco-lituano, e si adoperò per sanare il cosiddetto scisma dei ruteni, ottenendo così l’obbedienza a Roma da parte del vescovo russo della Livonia, regione baltica intorno al golfo di Riga, Joseph Szumlanski, che fece professione di fede nelle mani dell’arcivescovo-primate di Gniezno, il cardinale Augustyn Michał Stefan Radziejowski, il 6 giugno 1700. A nome di Clemente XI sostenne a Leopoli il collegio pontificio per armeni e ruteni, già impostato dai teatini nel 1665 e all’epoca diretto dal francese Louis-Marie Pidou.
Durante il pontificato di Innocenzo XII, Pignatelli non divenne cardinale, come era stato sino ad allora consueto per i parenti del papa. Nella Curia romana si riteneva che all’origine di tale scelta vi fosse un impegno preconclave assunto da Antonio Pignatelli con i cardinali francesi, che consideravano il nipote filoimperiale e perciò loro potenziale avversario.
Al termine della soddisfacente missione diplomatica in Polonia, Pignatelli fu richiamato a Roma da Clemente XI, che alla morte del cardinale Giacomo Cantelmo Stuart lo trasferì alla guida dell’arcidiocesi di Napoli (19 febbraio 1703), di cui prese possesso per procura, facendosi rappresentare dal canonico Gennaro d’Auria (6 maggio 1703). Da Varsavia, il 19 maggio 1703 inviò la sua prima lettera pastorale al clero e al popolo di Napoli, redatta da Gian Vincenzo Gravina.
Nel concistoro segreto del 17 dicembre 1703 Clemente XI lo creò cardinale prete del titolo dei Ss. Marcellino e Pietro. Lasciata la Polonia, il 24 dicembre, sulla via di Roma, ricevette a Loreto la berretta cardinalizia dal nipote del pontefice, Annibale Albani. Giunse a Roma il 6 gennaio 1704, dove il 10 gennaio seguente ebbe il cappello cardinalizio in forma pubblica.
Si trattenne ancora quattro anni a Roma al servizio della S. Sede, partecipando alla vita pubblica cittadina. Ufficialmente non entrava in diocesi per i difficili rapporti giurisdizionali con l’autorità civile venutisi a creare a Napoli e nella vicina arcidiocesi di Sorrento, ma di fatto in attesa del cambio di governo al vertice del Viceregno. Il viceré di Napoli, infatti, sospettava dei sentimenti politici del nuovo arcivescovo, essendo il fratello Nicola, duca di Monteleone, sostenitore del partito filoaustriaco.
Pignatelli entrò a Napoli soltanto il 15 giugno 1707.
Confermò come vicario generale il canonico d’Auria, che era anche superiore della Congregazione diocesana delle apostoliche missioni. Pose grande cura nello scrutinio degli ordinandi. Rese obbligatori gli esercizi spirituali annuali per i parroci in tempo di quaresima, nella cappella dell’episcopio. Vigilò sulla formazione e sulla selezione dei confessori. Per il seminario riportò in vigore le regole del cardinale Ascanio Filomarino. Interrompendo poi il rettorato di Pietro Marco Gizzio, ne affidò per circa sette anni la responsabilità a Carlo Maiello, futuro segretario dei brevi di Benedetto XIII e arcivescovo titolare di Emesa. Per equità tra i membri del capitolo, autorizzato da Benedetto XIII (breve del 18 aprile 1725), dotò di adeguata prebenda ciascun canonicato della cattedrale. Vigilò con assiduità sui monasteri femminili, riferendone sistematicamente nelle relazioni per le visite ad limina, e pretese che i sacerdoti a essi addetti fossero tutti della sua giurisdizione e i confessori non avessero meno di quarant’anni. Represse le spese eccessive dei monasteri, specialmente in occasione delle monacazioni, proibendo l’accesso dei musici anche in tempo di feste solenni.
Già mentre era a Roma, nel 1705, dispose la visita pastorale dell’arcidiocesi, facendosi coadiuvare dai canonici Francesco De Martino e Ilario Protospataro. Un anno dopo l’ingresso, nel 1708, cominciò di persona la visita, che durò vari anni. Sostenne l’azione missionaria delle congregazioni diocesane; per ospitare le convertite della missione cittadina del 1710 fondò il conservatorio dei Ss. Gennaro e Clemente alla Duchesca, nel 1712 diede regole al conservatorio dei Sette Dolori di recente fondazione al vico Lava, nel 1724 incoraggiò i pii operai di Carlo Carafa nella complessa fondazione del conservatorio dei Ss. Giuseppe e Teresa.
In continuità con i predecessori, si preoccupò di richiamare il clero locale a più severe norme di comportamento con un importante Editto dell’onesto e consumato vivere di tutti i chierici (1721). Scelse come segretario del clero il pio canonico Pietro Casimiro Del Duce, che poi fu pure vicario per le monache. Affidò la direzione degli studi nel seminario allo storico sammaritano, il canonico Alessio Simmaco Mazzocchi, già professore di Sacra Scrittura nell’Università napoletana, e per le scuole del seminario commissionò la traduzione del Portoreale.
Nell’aprile 1723, da parte del vicario generale di Napoli Onofrio Montesoro, vescovo emerito di Castellaneta, si svolse il processo contro Pietro Giannone e lo stampatore Niccolò Naso per la mancata autorizzazione alla stampa della Istoria civile del Regno di Napoli. Per i buoni uffici del benedettino Giovanni Battista De Miro e dell’abate Biagio Garofalo, sollecitato per lettera da Vienna il 2 ottobre 1723, Pignatelli assolse Giannone, che tuttavia non poté evitare la condanna già sanzionata il 1° giugno dalla congregazione dell’Indice.
Nel 1725 celebrò il giubileo. Nella Pentecoste del 1726 convocò l’ultimo sinodo diocesano dell’età moderna, non senza contrasti giurisdizionali con le autorità civili: affidò l’intervento introduttivo al sacerdote Tommaso Fajenza, professore di teologia e diritto canonico nel seminario e predicatore di cartello, e ne fece pubblicare gli atti a Roma per aggirare la censura vicereale.
Nella chiesa francescana di S. Diego all’Ospedaletto diede vita alla Congregazione dell’improvvisa morte per l’assistenza ai moribondi (1729). Sostenne il sacerdote ebolitano Matteo Ripa nella fondazione e dotazione del Collegio dei cinesi (1729) della congregazione della Sacra Famiglia di Gesù Cristo per la formazione di studenti provenienti dalle missioni asiatiche, e lo incoraggiò a scriverne la storia; nell’ottobre 1707 partirono per la Cina i primi missionari della congregazione, imbarcatisi in Inghilterra. Con piena intesa, si valse della collaborazione di Alfonso Maria de’ Liguori, prima che questi lasciasse il presbiterio diocesano per fondare la congregazione del Ss. Redentore. Affidò ai cisterciensi lucani la chiesetta di S. Gennaro sulla collina del Vomero (1712), luogo legato alla memoria della traslazione delle reliquie del santo patrono. Inaugurò la chiesa di S. Maria della Colonna, annessa al conservatorio dei poveri di Gesù Cristo (1715). Consacrò la chiesa dei pii operai di S. Nicola alla Carità (1716), la cui facciata era stata ammodernata su progetto di Francesco Solimena.
Nel 1734, nel momento di passaggio dal Viceregno austriaco al ricostituito Regno autonomo, Pignatelli, insieme con il fratello Nicola, giocò un delicato ruolo di mediazione. Il 10 maggio accolse nella cattedrale di Napoli Carlo di Borbone, figlio di Filippo V di Spagna, a cui rese visita ufficiale il 15 successivo nella sua nuova funzione di sovrano.
Pignatelli curò qualche restauro della chiesa romana dei SS. Marcellino e Pietro, di cui era titolare. A Napoli non fu da meno nella cura del patrimonio artistico. Fece restaurare l’oratorio di S. Maria del Principio nella basilica di S. Restituta (1716) e abbellì la cattedrale: dotò l’altare maggiore di un paliotto argenteo, fece proseguire la sistemazione della navata con tele di Luca Giordano e Francesco Solimena, fece realizzare nuovi ambienti a servizio del collegio dei Quarantisti e, negli ultimi anni di episcopato, fece riprodurre da Alessandro Viola i ritratti dei vescovi e arcivescovi suoi predecessori sulle pareti della sacrestia maggiore; nel testamento destinò fondi specifici per la cattedrale, integrati e utilizzati dal successore, il cardinale Giuseppe Spinelli.
Per conto del Capitolo vaticano incoronò la Madonna della Purità in S. Paolo Maggiore (1724) e l’Immacolata del monastero di Suor Orsola Benincasa (1733).
Non lesinò attenzioni ai teatini, che gli offrirono collaborazione pastorale e gli dedicarono le Lettere scritte dal glorioso s. Andrea Avellino (Napoli 1731-32). Quando si recava a Roma, era solito fermarsi in S. Silvestro a Monte Cavallo (o al Quirinale); vi si trovava di certo il 18 maggio 1712, quando fu creato cardinale il confratello e compagno di studi Giuseppe Maria Tomasi.
Preso possesso del titolo cardinalizio dei Ss. Marcellino e Pietro l’11 febbraio 1704, Pignatelli passò all’ordine dei vescovi, con la sede, in successione, di Sabina (1719), Frascati (1724), Porto e Santa Rufina (1725). Fu decano del Sacro Collegio, pur rinunziando alla sede di Ostia dopo la morte del cardinale Fabrizio Paolucci (12 luglio 1726). In quanto cardinale vescovo di Frascati, fu invitato al concilio Romano del 1725, nel quale si fece rappresentare dal canonico Michele Giura.
Da cardinale, partecipò ai conclavi del 1721, del 1724 e, con riluttanza, del 1730. In quello del 1721, quando sembrava candidato credibile al soglio pontificio perché sostenuto dal partito degli zelanti, la Spagna pose il veto alla sua elezione.
Morì a Napoli il 5 dicembre 1734 e fu sepolto nella chiesa teatina dei Ss. Apostoli, nella cappella della Ss. Concezione, da lui fatta erigere su disegni di Ferdinando Sanfelice per valorizzare l’immagine dell’Immacolata a cui era devoto il teatino Francesco Olimpio.
Una Epistola pastoralis Francisci Pignatelli, archiepiscopi Neapolitani, Romae 1703, opera di Gian Vincenzo Gravina, fu inserita nella sua Nuova raccolta di opuscoli, Napoli 1741, pp. 164-171. A nome di Pignatelli è anche l’opuscolo Ragioni incontrastabili per chiarire la verità, ed il gran torto, che se gli farebbe, se ancora si volesse persistere nella pretenzione mai più intesa, intorno alla processione del glorioso san Gennaro, s.n.t. (di 56 pagine).
Fonti e Bibl.: Diversi, e distribuiti in vari fondi, sono i documenti su Pignatelli conservati nell’Archivio segreto Vaticano (tra gli altri si segnala una Relazione intorno alla vita di Francesco Pignatelli, in Barb., 69). A Roma, Archivio generale dei teatini, Mss., 51, si conserva una Storia del cardinale D. Francesco Pignatelli di Luigi Guarini (1854). A Taranto, Archivio storico diocesano, voll. 14 (1684-86); 15 (1696-1700) sono gli atti delle visite pastorali compiute in diocesi. Ampia documentazione anche a Napoli, Archivio storico diocesano; la relazione per la vista ad limina del 1730 è stata pubblicata in Le relazioni ad limina dell’arcidiocesi di Napoli in età moderna, a cura di M. Miele, in Campania sacra, XLII (2011), pp. 283-299.
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