PUCCI, Francesco
PUCCI, Francesco. – Nacque a Firenze il 3 settembre 1463 da Cosimo di Silvestro e da Camilla di Antonio Cambini; dal matrimonio nacque anche una figlia, Dianora.
La famiglia non apparteneva al grande casato dei Pucci, bensì ai Pucci cosiddetti ‘del chiassolino’, dal locale dove vendevano vino nel popolo di S. Lorenzo. Lo zio materno Andrea fu discepolo di Cristoforo Landino e autore di volgarizzamenti, oltre che uomo di fiducia dei Medici.
Probabilmente alla sua influenza si deve l’avviamento di Pucci agli studi. Fu allievo di Poliziano nel primo corso tenuto nello Studio, nel 1480-81, su Stazio e Quintiliano, come si inferisce da una lettera dello stesso Poliziano a Filippo Beroaldo del 1° aprile 1494 in cui il maestro ricorda l’allievo allora già stabilitosi a Napoli (Poliziano, 1533, c. 167r). Molto probabilmente seguì anche i due corsi successivi (sulla Rhetorica ad Herennium, 1481-82, e sulle Bucoliche di Virgilio e gli Idilli di Teocrito, 1482-83).
Di un passaggio a Roma si ha notizia da una lettera di Bernardo Michelozzi, che lì lo raggiunse, databile grazie all’accenno al corso su Persio appena iniziato da Poliziano e interrotto per un sospetto di peste: la data del corso è incerta, ma dovrebbe risalire alla primavera del 1483.
A Napoli Pucci era certamente il 12 agosto 1486.
In quel giorno scrisse due lettere all’amico Michelozzi: la prima (Martelli, 1963, pp. 231 s.) affabile e serena, la seconda, poco dopo («Vix scripsi superiorem epistolam cum subito affertur nuntius horribilis…»), esprime il profondo turbamento per l’arresto improvviso di Antonello Petrucci, il segretario di Ferdinando I d’Aragona caduto in disgrazia (la riproduzione anastatica dell’autografo in De Marinis, 1947, IV, tav. 311; la trascrizione in De Marinis, 1952, I, pp. 254 s.). Petrucci è detto «meum Mecoenatem», «herum immo vero patrem» e Pucci si dispera che l’evento metta a repentaglio la posizione che egli aveva conseguito in tre anni di soggiorno nella città («triennii labores tedia difficultates unius horae momentum abstulit»).
L’arrivo a Napoli deve perciò risalire alla seconda parte del 1483.
Nel 1487 descrisse allo zio Andrea con toni di sobria commozione la morte di Petrucci (11 maggio; ed. in Santoro, 1948a, pp. 87-89). Pare dunque certo che Pucci al suo arrivo a Napoli abbia goduto della protezione di Petrucci e per suo tramite sia stato introdotto nella corte aragonese. Legami con la famiglia – i figli di Antonello, Giannantonio (giustiziato poco dopo il padre) e Giovan Battista (chierico) – si ricavano dai Carmina pucciani, tra i quali ve ne è anche uno per le nozze della figlia di Antonello, Laura, con un Giordano Orsini. Non è noto quale motivo abbia spinto Pucci a trasferirsi a Napoli, ma la scelta è da ricondurre al contesto dell’intenso dialogo culturale che intercorreva tra Firenze e il Regno, incoraggiato da Lorenzo de’ Medici e da Ferdinando I.
L’uscita di scena di Petrucci non comportò effetti negativi per Pucci. Nello stesso 1487 gli fu affidato, con lo stipendio di 40 ducati annui, l’insegnamento di retorica nello Studio (le lezioni iniziavano il 1° ottobre), che tenne fino alla chiusura nel 1494 a seguito della discesa di Carlo VIII nel Regno. Il 31 dicembre 1490 scrisse una lettera entusiasta al Poliziano a proposito dei Miscellanea da poco usciti a stampa (Firenze, A. Miscomini, 19 settembre 1589) e che egli leggeva in compagnia di Baccio Ugolini; Poliziano rispose affabilmente, compiacendosi dell’insegnamento che l’ex allievo professava a Napoli.
Secondo i rotuli degli Ufficiali dello Studio di Firenze (in Verde, 1973, I, pp. 339, II, pp. 260 s.) Pucci fu condotto a insegnare poetica e retorica nella sede pisana per l’anno accademico 1489-90, per un anno fermo e uno a beneplacito, con stipendio di 100 fiorini, ma la condotta non andò in porto (sul rotulo si legge «Non rediit, Neapoli degens»). La condotta fu rinnovata per un anno nel 1491-92 (Pucci «plures annos publice Neapoli legit», ibid., II, p. 261) per la sede di Firenze e questa volta Pucci accettò l’incarico poiché gli furono pagate le terzierie (le rate del salario versate ogni quattro mesi).
Perciò l’insegnamento cui si riferisce Poliziano nella citata lettera a Beroaldo del 1494 («dein vero in eadem schola etiam professor», Poliziano, 1533, c. 167r) è da collocare in questo momento e non, troppo precocemente, tra lo studentato e l’approdo a Napoli, secondo quanto si legge nella maggior parte della bibliografia.
Tuttavia, di tale magistero fiorentino non si hanno ulteriori testimonianze e resta un episodio oscuro della biografia di Pucci, anche perché confligge con la testimonianza di una lettera del 4 marzo 1492, con cui Ferdinando I sollecitò il suo ritorno da Firenze e dalla quale risulta che gli era stata concessa una licenza di tre mesi per visitare il padre e i parenti e ne erano già trascorsi quattro. Dalla lettera risulta che Pucci ricopriva l’ufficio di livrero mayor della Libreria Aragonese, che risulta incompatibile con un lungo soggiorno all’estero: «considerato lo officio havite ad casa nostra de governare li libri – scrive Ferdinando – non pate che steate longo tempo absente ve confortamo ad retornare lo piu presto porrite ali nostri servicii» (Codice Aragonese, 1868, p. 49; la sollecitatoria fu inviata a Marino Tomacello, oratore presso Lorenzo de’ Medici, con l’incarico di consegnarla nelle mani del destinatario).
Per le mansioni di bibliotecario ricevette lo stipendio di 100 ducati l’anno. Conservò verosimilmente l’ufficio sotto Alfonso II e Ferdinando II, anche se per quel periodo i documenti mancano, e lo deteneva il 1° febbraio 1498, quando l’ultimo sovrano aragonese Federico confermò la provvisione, e ancora nel dicembre del 1500, quando lo confermò nel possesso di alcuni beni siti nel territorio di Marigliano concessigli dal duca di Ariano Alberigo Carafa, e il 27 aprile 1501, quando stabilì che alcuni benefici, una volta divenuti vacanti, fossero assegnati a lui.
Tra gli incarichi affidati a Pucci fu quello di precettore di un figlio bastardo di Ferdinando, Alfonso, che, rientrato dall’Egitto dopo undici anni di assenza dal Regno, fu fatto vescovo di Chieti. Per tale ufficio percepì lo stipendio di 8 scudi al mese. Alla morte di Ferdinando I (28 gennaio 1494) fu prescelto per pronunciare l’orazione funebre, perduta, in S. Domenico Maggiore.
Perduta è anche l’orazione per il giurista Antonio D’Alessandro (morto il 26 ottobre 1499); restano quelle per il medico Silvestro Galeota (morto l’8 novembre 1488), per il re d’Ungheria Mattia Corvino (pronunciata in S. Domenico il 5 maggio 1490; è trasmessa dal codice 101-4 della Biblioteca capitolare di Toledo, esemplare di dedica spedito da Pucci alla vedova Beatrice d’Aragona) e per il nobile Francesco Minutolo (morto circa nel 1491). Tre orazioni furono lette da Marsilio Ficino, che le lodò in una lettera ad Andrea Cambini del 5 giugno 1489.
La fedeltà di Pucci agli Aragona è testimoniata dalla epistola a Marino Caracciolo del 17 luglio 1495, tramandata dal manoscritto Lucca, Biblioteca capitolare, 555, appartenuto a Felino Sandeo, con il titolo apocrifo De rebellione Neapolis a Carolo Francorum rege ad regem Aragoniae Ferdinandum, che narra la ribellione contro i francesi e il ritorno di Ferdinando II in città. Nella fase terminale della monarchia Pucci svolse pure compiti cancellereschi. Nella cronaca del cronista contemporaneo Notar Giacomo (cit. in De Marinis,1952, I, pp. 186 s.) il 28 settembre 1497 risulta cancelliere di Federico in occasione della condanna del principe di Salerno Antonello Sanseverino, passato ai francesi quando Carlo VIII era disceso nel Regno e sconfitto da Federico.
Dopo la partenza di Federico dal Regno (2 ottobre 1501), Pucci fu per qualche tempo, prima del marzo 1504, arrendatore dei diritti e degli introiti della città e del contado di Nola. Entrò quindi al servizio del cardinale Luigi d’Aragona, che era tornato a Roma dalla Francia nell’agosto del 1503 per partecipare al conclave seguito alla morte di Alessandro VI. Nel 1506 era con lui a Roma. Poiché non si hanno notizie per gli anni precedenti, è probabile che abbia preso gli ordini sacri in questo periodo. Forse grazie ad Aragona ottenne un arcidiaconato nella Chiesa di León, cui seguì, prima del 23 marzo 1512 (data dell’ultima lettera a Michelozzi, in Martelli, 1963, p. 237), un canonicato in S. Maria del Fiore a Firenze, per rinuncia di Ugolino Martelli, vescovo di Lecce.
Morì a Roma il 24 agosto 1512 e fu sepolto in S. Onofrio.
Probabilmente il discepolo Antonio Seripando, che gli succedette nel ruolo di segretario di Aragona, dettò la solenne iscrizione della lapide. I Collectanea in epistolis Ciceronis ad Atticum nel manoscritto London, British Library, IB, 19603 recano in calce la nota «Liber Antonii Seripandi, munus morientis Francisci Pucci amici optimi».
Il radicamento di Pucci nella cultura napoletana è dimostrato dalle numerose menzioni che si trovano di lui nelle opere di letterati contemporanei. Ne dà un primo elenco Erasmo Percopo (1894, p. 390): Giano Anisio, Iacopo Sannazaro, Francesco Galateo, Girolamo Carbone, Giovanni Tommaso Filocalo, Pomponio Gaurico. Con Giovanni Pontano i rapporti non furono immuni da dissensi, per via della lontananza dell’umanista napoletano dalla nuova filologia di Poliziano, ma Pucci è introdotto come interlocutore nell’Aegidius, è menzionato per tre volte nel De sermone per le sue battute salaci, gli è dedicato l’hendecasillabum II, 9 ed è elogiato in II, 25.
Pucci svolse un’importante opera di collegamento tra l’Umanesimo fiorentino e l’ambiente culturale aragonese, in cui introdusse il metodo della nuova filologia appreso alla scuola di Poliziano. Il manoscritto V.F.2 della Biblioteca nazionale di Napoli comprende materiale diverso collegabile direttamente a lui e alla sua scuola. Vi sono contenute delle Collectaneae super primum Rhetoricorum ad Herennium (cc. 31r-56r), una Collectanea in epistolis Ciceronis ad Atticum (cc. 63r-112v). Le Enarrationes in Priapeis (cc. 115r-131r), come risulta da una nota vergata a c. 112v, sono gli appunti tratti da Seripando durante le lezioni nel 1501; poiché a quella data lo Studio napoletano era chiuso, sarebbero il frutto di corsi tenuti da Pucci privatamente.
Sotto il titolo apocrifo di Spicilegium (cc. 134r-222r) sono conservati appunti autografi di natura critico-filologica sulla Naturalis historia di Plinio, che potrebbero essere stati iniziati dopo la pubblicazione delle Castigationes Plinianae di Ermolao Barbaro (Roma, E. Silber, 24 novembre 1492-13 febbraio 1493), quando Pucci potrebbe avere avuto il desiderio di verificare le proposte emendatorie di Barbaro sul codex regius (oggi diviso tra Parigi, Bibliothèque nationale, Lat., 6798 e Oxford, Bodleian Library, Auct. T.1.27), databile al XII secolo, il più antico codice di Plinio presente nella Biblioteca Aragonese, segnato già nel cosiddetto Inventario A, del 19 gennaio 1481. Il lavoro su Plinio è legato a una consultazione assidua del codex, nel quale Pucci distingue continuamente tra la mano del copista e quelle dei correttori o possessori successivi. Il codex si allontanò da Napoli tra la fine del 1489 e la primavera successiva, richiesto da Poliziano a Firenze per essere collazionato con l’incunabolo in suo possesso, e vi fece ritorno dopo l’aprile del 1490. Altre tracce dell’impegno filologico sull’opera pliniana si trovano in un esemplare postillato del primo volume dell’edizione di Giovan Battista Palmario (Venezia, B. Benalio, ca. 1497; Napoli, Biblioteca nazionale, S.Q.XVI.I.12). Entrambi i contributi si fermano prima del IX libro. Nel suo commento Pucci privilegia la lezione del codex, che tendenzialmente accoglie quando sembra migliore, altrimenti registra quelle di altri studiosi o anche sue proposte, ma senza avventurarsi in congetture azzardate se la lezione del codice antico è soddisfacente. Preferisce piuttosto accompagnare il testo con annotazioni non filologiche, di contenuto storico, antiquario o anche con riferimenti alla propria esperienza personale, dimostrando in ciò di avere assimilato il magistero di Poliziano, che aveva allargato l’indagine filologica oltre la restitutio del testo alla comprensione del contesto storico e culturale.
Postille di Pucci risalenti all’ottobre del 1489 – forse il suo primo lavoro filologico – si leggono sull’esemplare dell’edizione delle Epistolae di Plinio il Giovane curata da Giuniano Maio (Napoli, M. Moravo, 1476) conservato a Firenze, Biblioteca Riccardiana, Edizioni rare, 351. Più tarde postille sono presenti nel Catullo, Tibullo, Properzio edito a Reggio Emilia nel 1481 (tip. A. de’ Mazali - P. Odoardo) segnato Edizioni rare, 372. Quelle su Properzio sono il risultato della collazione eseguita nel 1502 sul codice conservato a Roma da Berardino Della Valle, che fu esaminato da Poliziano nel 1484 e che Della Valle donò in seguito ad Alfonso II e questi a Pontano. Le annotazioni sui tre poeti latini furono tenute in grande considerazione; copie circolarono a Firenze nei primi decenni del XVI secolo e alimentarono la discussione filologica nei decenni successivi.
Adnotationes in Gellium anteriori al 1505 sono nell’esemplare dell’edizione Brescia, B. De Bonini, 1485 nella Nazionale di Napoli segnato S.Q.X.E.17; Adnotationes in Martialem nell’esemplare dell’edizione Roma, stampatore del Silio Italico, 1470 ca., nella stessa biblioteca segnato S.Q.X.F.33.
I Carmina di Pucci sono conservati nei codici V.F.2 della Biblioteca nazionale di Napoli (cc. 16r-29v); F.109 inf. della Biblioteca Ambrosiana di Milano (cc. 77r-90v); 45.C.17 della Biblioteca Corsiniana di Roma (c. 108v); almeno una parte è anteriore all’estate del 1487, quando furono inviati a Firenze allo zio Andrea affinché, se giudicati degni, li mostrasse al Poliziano.
Lettere, orazioni e Carmina si leggono in Santoro, 1948a, pp. 85-135 (su cui si veda Perosa, 1949), che soppianta l’edizione Di Martino, 1923, basata sul solo ms. Ambrosiano, ignota a Santoro e consultata da Perosa, 1949, oggi assai rara.
Fonti e Bibl.: A. Poliziano, Opera, I, Lugduni 1533, cc. 167r, 171r-179r; S. Salvini, Catalogo cronologico de’ canonici della chiesa metropolitana fiorentina, Firenze 1782, p. 72; Codice Aragonese o sia lettere regie, ordinamenti ed altri atti governativi de’ sovrani aragonesi in Napoli…, a cura di F. Trinchera, II, Napoli 1868, pp. 48 s.; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edifici di Roma, V, Roma 1874, p. 298 n. 829; E. Percopo, Nuovi documenti su gli scrittori e artisti dei tempi aragonesi, in Archivio storico per le provincie napoletane, XIX (1894), pp. 390-409; S.P. Di Martino, Intorno a F. P. umanista fiorentino in Napoli, Napoli 1920; F. Calonghi, Marginalia (a proposito della adnotatio pucciana sopra un esemplare della seconda aldina di Catullo, Tibullo e Properzio), in Miscellanea Pandiani, Genova 1921, pp. 97-114; S.P. Di Martino, Le poesie latine edite e inedite di F. P. umanista fiorentino vissuto a Napoli nel Quattrocento, Vallo della Lucania 1923 (recensione di E. Percopo, in Rassegna critica della letteratura italiana, XXIX (1924), pp. 267 s.); R. Filangieri di Candida, L’età aragonese, in Storia della Università di Napoli, Napoli 1924, p. 190; M. Santoro, Uno scolaro del Poliziano: F. P., Napoli 1948a (recensione di A. Perosa, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, XVIII (1949), pp. 258-263, poi in Id., Studi di filologia umanistica, a cura di P. Viti, III, Roma 2000, pp. 346-352); Id., Postilla al mio ‘Pucci’, in Stoa, IV (1948b), p. 96; T. De Marinis, La biblioteca napoletana dei re d’Aragona, I, Milano 1952, pp. 186 s., 254-257, tav. 64, IV, 1947, tav. 311; Mostra del Poliziano nella cappella Medicea Laurenziana: manoscritti, libri rari, autografi e documenti (catal.), a cura di A. Perosa, Firenze 1954, pp. 16-18; M. Martelli, Lettere inedite di F. P. ‘librero major’ nella biblioteca aragonese, in La Bibliofilia, LXV (1963), pp. 225-238; P.O. Kristeller, Iter Italicum, II-VI, London-Leiden 1967-1992, ad ind.; Nuovi documenti per la storia del Rinascimento, a cura di A. Perosa - T. De Marinis, Firenze 1970, pp. 250-258; A. Verde, Lo Studio fiorentino (1473-1503). Ricerche e documenti, I, Firenze 1973, pp. 339, 345, II, 1973, pp. 260 s., III, 1, 1977, pp. 25, 310 s., IV, 1, 1985, p. 416, IV, 2, 1985, p. 768, IV, 3, 1985, pp. 1042 s., V, 1994, p. 473; M. Santoro, La cultura umanistica, in Storia di Napoli, IV, 2, Napoli 1974, pp. 355-358, ill. 68-71; B. Richardson, P., Parrasio and Catullus, in Italia medioevale e umanistica, XIX (1976), pp. 277-289; J.L. Butrica, Pontanus, Pocchus, Petreius and Propertius, in Res publica litterarum, III (1980), pp. 5-9; V. Fera, Un laboratorio filologico di fine Quattrocento: la “Naturalis historia”, in Formative stages of classical traditions: latin texts from antiquity to the Renaissance, proceedings of a conference held at Erice... 1993, a cura di O. Pecere - M.D. Reeve, Spoleto 1995, pp. 452-464; C. Vecce, Postillati di Antonio Seripando, in Parrhasiana II. Atti del II Seminario di studi su manoscritti medievali e umanistici della Biblioteca nazionale di Napoli… 2000, a cura di G. Abbamonte et al., Napoli 2000, pp. 53-64 passim; L. Ferreri, L’influenza di F. P. nella formazione di Aulo Giano Parrasio. Con particolare riguardo alla riflessione sui compiti e i fini della retorica, in Valla e Napoli. Il dibattito filologico in età umanistica. Atti del convegno internazionale, Ravello... 2005, a cura di M. Santoro, Pisa 2007, pp. 187-221; E. Guerrieri, Franciscus Puccius, in C.A.L.M.A. Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), a cura di M. Lapidge - F. Santi, III, 5, Firenze 2011, pp. 531-535; Angelo Poliziano e dintorni. Percorsi di ricerca, a cura di C. Corfiati - M. De Nichilo, Bari 2011 (in partic. M. De Nichilo, Poliziano e Pontano: una polemica a distanza, pp. 29-54 passim; C. Corfiati, Un corrispondente fiorentino da Napoli: F. P., pp. 65-102); C. Corfiati, Lettori della Naturalis Historia di Plinio a Napoli nel Rinascimento, in La Naturalis Historia di Plinio nella tradizione medievale e umanistica, a cura di V. Maraglino, Bari 2012, pp. 269-276.