RACIOPPI, Francesco
RACIOPPI, Francesco. – Nacque a Moliterno, presso Potenza, il 5 ottobre 1862 da Giacomo, storico e politico liberale, e da Vincenza Giliberti. Era il primo di tre figli: il fratello Antonio fu impiegato al ministero dei Lavori pubblici e la sorella Evelina sposò il medico genovese Vittorio Ascoli.
Il 29 agosto 1903, nei pressi di Salisburgo, Racioppi sposò Elisabetta Ellmer, nata in Ungheria il 3 settembre 1874.
Nella città natale Racioppi trascorse gli anni dell’infanzia; come il padre seguì il prozio, l’abate Antonio Racioppi, per gli studi presso il liceo Vittorio Emanuele di Napoli, città nella quale a vent’anni si laureò in giurisprudenza e conseguì il diploma dottorale di avvocato. Raggiunse i genitori a Roma, dove si fece apprezzare dal ministro Francesco Genala che lo volle come segretario al Gabinetto dei Lavori pubblici. Mantenne quell’incarico anche con l’avvento di Giovanni Nicotera. Nominato ispettore amministrativo dell’Ispettorato delle Ferrovie, optò per l’ufficio di segretario al Consiglio di Stato.
Il 10 dicembre 1894 Racioppi venne presentato agli studenti dell’Ateneo romano dal senatore, presidente di sezione del Consiglio di Stato, Giuseppe Saredo.
Nella prolusione al corso libero di diritto costituzionale affrontò un tema che fu oggetto di suoi successivi interventi: la confusione tra Camere e popolo che altera il sistema parlamentare del governo rappresentativo (La libertà civile e la libertà politica, 1895, p. 83). Racioppi parlò di un eccesso di semplificazioni che avrebbero corrotto il modello ‘ideal-liberale’ e della confusione tra le Camere, ovvero un mero «organo, una parte, per quanto nobilissima, del complicato sistema del Governo», con il popolo, ovvero «il tutto» (Nuovi limiti e freni nelle istituzioni politiche americane, 1894, p. 83).
Racioppi intendeva il popolo come un complesso di relazioni varie che «rispecchiano realmente le condizioni della società. I parlamenti invece sono espressioni di partiti, specchio esclusivo di maggioranze, dipendenti da pressioni che vengono dall’alto o dal basso, suscettibili di corruzione» (Cammeo, 1905, p. 13). La seconda semplificazione denunciata da Racioppi fu la riduzione della società da organismo complesso «d’aggregazioni vive, di relazioni stabili, di gruppi spontanei» a «semplice moltitudine d’individui isolati, come un polviscolo d’atomi disciolti, che si può disporre a mucchietti come si vuole» (Nuovi limiti, cit., pp. 84 s.).
Racioppi fu un sostenitore del suffragio universale, «la forma naturale e necessaria della democrazia moderna» (La libertà civile, cit., p. 88). Intese l’evoluzione democratica come soluzione liberale «perché più di ogni altra è favorevole alla libera e responsabile azione di tutti» e non eclettica: «una scelta empirica fra le due opposte tendenze, di cui l’una farnetica l’abolizione dello Stato, e l’altra vuol confondere Stato e Società». Racioppi la considerò una soluzione che avrebbe permesso «tutte le più radicali forme della democrazia» e soprattutto un amplissimo sviluppo della funzione del giudice (p. 93).
Anche l’incontro con Luigi Luzzatti fu determinante per la sua formazione e la sua carriera. Alla fine del 1895, quando si trasferì da Padova a Roma per tenere l’insegnamento di diritto costituzionale, Luzzatti ebbe l’occasione «di stimare sempre più quel giovane pieno di valore e di modestia» tanto da volerlo accanto nelle lezioni (L. Luzzatti, prefazione a Commento allo Statuto del Regno, I, 1901, rist. 1909, p. VII). Il maestro lo sollecitò a occuparsi della storia delle dottrine costituzionali e in effetti la produzione scientifica di Racioppi si segnala per le pubblicazioni sulle esperienze costituzionali europee, americane e asiatiche.
Risale al 1890 lo studio sull’Ordinamento degli Stati liberi d’Europa, seguito nel 1892 dalla pubblicazione sull’Ordinamento degli Stati liberi fuori d’Europa.
In entrambi i lavori Racioppi adottò il punto di vista dell’americano John William Burges, autore nel 1893 di Political science and comparative constitutional law, ovvero uno studio ricognitivo e comparativo dei testi costituzionali e non l’effettività delle dinamiche costituzionali. Fu convinzione di Racioppi che certezza e tutela giuridica alle libertà civili dipendessero dall’esistenza di una costituzione nel senso formale della parola (Commento allo Statuto del Regno, cit., p. 195). Di tutt’altra specie reputò lo Statuto albertino, una Carta del secolo delle costituzioni politiche, quando l’esigenza era quella di un governo rappresentativo e dell’unificazione politica (p. 201). Sebbene le costituzioni liberali fossero state edificate «piuttosto come barriere al passato, come programmi ed abbozzi, anziché come leggi e compiute ed applicabili in sé stesse» (Il potere giudiziario nel governo costituzionale, 1900, p. 22), non ritenne ciò una motivazione valida per rinunciare alla difesa giuridica. Alla conferenza del Circolo giuridico romano denunciò che per quanto modesto potesse essere il contenuto di una costituzione, se alcuni limiti vi erano scritti andavano rispettati e fatti rispettare (p. 16).
Le parole pronunciate debbono essere intese alla luce degli eventi di quell’anno, ovvero la vicenda delle misure repressive adottate per decreto dal governo Pelloux, provvedimento annullato con la sentenza della prima sezione della Corte di cassazione di Roma il 20 febbraio 1900. La suprema Corte ribadì tuttavia la legittimità dei decreti-legge che per Racioppi, al contrario, peccavano di legittimità costituzionale.
Il problema di fondo, irrisolto, rimaneva il modo in cui veniva considerato il potere giudiziario nel sistema delle istituzioni libere (pp. 31 s.). Racioppi intese il giudiziario espressione diretta della sovranità, dunque un potere la cui missione era di «mantenere rispettati da tutti i limiti giuridici». Imputò l’errore alla Francia, in particolare alle dottrine di Rousseau e Montesquieu, «entrambe ai danni della funzione giudiziaria». Racioppi accusava Rousseau di confondere la sovranità con le sue manifestazioni, e l’affermazione di un solo potere come una sola ‘volontà’: il potere legislativo. Montesquieu, invece, guardò solo agli organi che esercitano i tre poteri dello Stato, e non ammise «che il Giudiziario potesse ingerirsi a pronunziare sulle violazioni di limiti commesse dagli altri poteri» (pp. 25 s.; Commento allo Statuto del Regno, III, 1909, pp. 416 s.). L’esempio proposto da Racioppi era, invece, l’Inghilterra dove la costituzione «è intessuta di sentenze ed è quasi opera dei giudici» (Il potere giudiziario, cit., p. 14). Sul continente europeo si fece l’errore di credere che fosse sufficiente la garanzia del «reciproco buon volere dei poteri pubblici e l’educazione del popolo» (p. 33) mentre altrettanto fondamentale doveva essere la garanzia giuridica del cittadino nei confronti dell’esecutivo.
Racioppi sostenne che la libertà necessita del doppio presidio: quello politico con le elezioni e i parlamenti; e quello giuridico, cioè un sistema complesso di controlli di difesa delle libertà civili nei confronti del governo (pp. 31 s.). Ebbe come punto di riferimento il sistema costituzionale degli Stati Uniti, in particolare l’istituto del «sindacato dei giudici sulla costituzionalità delle leggi» (p. 15) del quale auspicò l’introduzione anche in Italia per dare certezza e tutela alle libertà civili. Aderì all’approccio metodologico, fondativo della moderna giuspubblicistica, proposto da Vittorio Emanuele Orlando e prese parte come redattore alla rivista Archivio del diritto pubblico e dell’amministrazione italiana fondata nel 1902 da Luzzatti e Orlando. In tal senso andò anche il progetto di scrivere un vero e proprio trattato sullo Statuto albertino, ovvero il Commento allo Statuto del Regno. Nel 1901 riuscì a pubblicare il primo volume (Dal preambolo all’art. 23, a Roma) e ottenne per concorso la cattedra all’Università di Cagliari.
L’opera completa uscì postuma per la morte prematura di Racioppi. L’autore materiale, l’amico e collega Ignazio Brunelli, portò a compimento il progetto utilizzando gli appunti sparsi di Racioppi: pubblicazioni, conferenze, prolusioni e soprattutto l’insegnamento.
Nel redigere il Commento, Brunelli volle essere fedele alla scuola di Orlando ma senza rinunciare all’autonomia di pensiero dell’amico. Sebbene il metodo fosse senz’altro giuridico, e sebbene avesse accolto l’idea che la scienza del diritto pubblico è un sistema di principi che si formano attraverso un processo storico e logico, il metodo di Racioppi prendeva le distanze dall’appartenenza alle scuole e dagli eccessi dei giuristi tedeschi, che facevano dell’elemento giuridico un elemento divino. Il diritto costituzionale di Racioppi prendeva in considerazione gli aspetti politici, morali, economici e sociologici, nonché tutte le fonti giuridiche, soprattutto quella giurisprudenziale, che considerava la forma più alta di manifestazione della vita del diritto. Racioppi colse lucidamente i nodi giuridico-politici, le tendenze in atto e precorse il proprio tempo.
Morì a soli 43 anni, il 7 febbraio 1905 a Cagliari.
Opere. Sulla rappresentanza proporzionale. Studio, Roma 1883; Ordinamento degli Stati liberi d’Europa, Milano 1890; Ordinamento degli Stati liberi fuori d’Europa, Milano 1892; Nuovi limiti e freni nelle istituzioni politiche americane, Milano 1894; La libertà civile e la libertà politica. Prolusione al corso libero di diritto Costituzionale tenuta all’Università di Roma il 10 Dicembre 1894, in Archivio di Diritto Pubblico, V (1895), pp. 81-95; La formazione storica degli Stati, Palermo 1896; Forme di Stato e forme di Governo, Roma 1898; Il potere giudiziario nel governo costituzionale. Conferenza detta al Circolo Giuridico di Roma la sera del 30 gennaio 1900, Roma 1900; Commento allo Statuto del Regno, I, Roma 1901 (ristampato nel 1909); Il sindacato giudiziario sulla costituzionalità delle leggi, in La legge. Monitore giudiziario e amministrativo, XLV (1905), pp. 705-726; Commento allo Statuto del Regno, I-III, Torino 1909 (con I. Brunelli; riprodotto in http:// documenti.camera.it/bpr/20819_testo_ completo_vol1.pdf).
Fonti e Bibl.: F. Cammeo, L’opera scientifica di F. R. Discorso Commemorativo letto dal Prof. Federico Cammeo nella R. Università di Cagliari, il 29 giugno 1905, s.l. 1905 (https://archive.org/ stream/, 17 gennaio 2016); C. Bersani, R. F., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi et al., II, Bologna 2013, pp. 1644 s.; M. Stronati, Quis custodiet custodem? Il potere giudiziario del governo costituzionale nel “Commento allo Statuto del Regno”, in Giustizia penale e politica in Italia tra Otto e Novecento. Modelli ed esperienze tra integrazione e conflitto, a cura di F. Colao - L. Lacchè - C. Storti, Milano 2015, pp. 411-427; V. Valinoti Latorraca, Monografia storica della città di Moliterno, Modugno s.d., pp. 385-387.