FAVI, Francesco Raimondo
Nacque il 6 luglio 1749 a Novoli, allora sobborgo di Firenze, da Giuseppe e Maddalena Niccoli (Firenze, Archivio d. Curia arcivescovile, Registro battesimi, Chiesa S. Maria a Peretola 1741-77, c. 64). Scarse sono le notizie sui suoi studi e la sua preparazione specifica; ma sulla sua formazione e carriera ebbe decisiva influenza lo zio, abate Raimondo Niccoli, che dal 1767 era segretario della legazione toscana a Parigi.
Nei primi anni '70 il Niccoli, che aveva importanti relazioni, chiamò presso di sé il nipote e gli fu guida preziosa, introducendolo non solo negli ambienti diplomatici, ma anche nei circoli politici e culturali parigini più importanti e innovatori. Le sue entrature permisero al F. di avere il primo incarico ufficiale, come agente della Repubblica di Ragusa, forse fin dal 1774 e prorogatogli sino all'ottobre del 1780. Nell'ottobre 1777, in procinto di partire per la Toscana, il Niccoli ottenne di essere supplito dal nipote (Archivio di Stato di Firenze, Segreteria e Ministero Affari Esteri, f. 919, Affari spediti da SAR, 1778, inserto Niccoli, segretario di legazione alla Corte di Francia).
Fu questo l'inizio della lunga carriera del F. come diplomatico toscano. Inoltre, il Niccoli gli passò l'incarico di fornire informazioni all'arciduca Ferdinando di Asburgo Lorena, governatore della Lombardia, compito che gli era stato richiesto quando appariva sempre più probabile l'intervento francese a fianco dei ribelli americani contro la Gran Bretagna. Per circa un anno egli sostituì lo zio, dando buona prova delle sue capacità. Continuò a prestare la sua opera per il granduca Pietro Leopoldo anche dopo il ritiro definitivo del Niccoli dal servizio (13 dic. 1779) finché, il 9 sett. 1780, fu ufficialmente nominato agente a Parigi. Pochi giorni dopo chiese di poter accettare ancora l'incarico di agente di Ragusa, che gli fu riconfermato sino all'estate del 1783. Nel 1782 cominciò anche ad occuparsi delle commissioni particolari per il duca Alberto Casimiro di Sassonia-Teschen e per la moglie di questo, l'arciduchessa Maria Cristina d'Asburgo Lorena, governatori dei Paesi Bassi austriaci. L'anno successivo la Repubblica di Ragusa gli conferì la nomina ad incaricato di affari che le autorità toscane gli consentirono di accettare, ritenendo che non potessero sorgere cause di incompatibilità tra i due uffici. Il cumulo di questi incarichi non doveva essere troppo remunerativo se, il 10 dic. 1783, il F. inviava a Firenze una supplica che, peraltro, cadde nel vuoto, per ottenere un aumento di provvigione (per la carriera del F. fino al 1784 cfr. ibid., inserto F. F., Agente di SAR in Parigi).
Oltre gli inevitabili rapporti con il mondo della diplomazia, il F. aveva stabilito, fin dal suo arrivo a Parigi, vari contatti con personalità di grande rilievo nella vita politica, economica e culturale, incontrate in quei salotti nei quali era stato introdotto dallo zio, sempre impegnato a propagandare a Parigi le riforme leopoldine, operando da trait d'union tra i riformisti toscani e i sostenitori del movimento fisiocratico francese. Frequentò così il salotto della duchessa d'Enville, protettrice dei philosophes, dove erano accolte personalità come G.-L. Leclerc de Buffon, J. Delille, R.-J. Turgot, J.-B. D'Alembert, e i maggiori rappresentanti del movimento fisiocratico come F. Quesnay, V. Mirabeau, P.-S. Du Pont de Nemours; ed ebbe pure stretti rapporti con uomini di scienza e con alcuni adepti della loggia massonica Les Neuf soeurs, legata agli ambienti intellettuali che avanzavano un vasto programma riformatore ispirato alle idee fisiocratiche ed allo spirito scientifico del tardo illuminismo. Non a caso, a tale loggia appartennero anche alcuni scienziati toscani giunti a Parigi negli anni '70, come Giorgio Santi e Giovanni Fabbroni, i quali, dei resto, erano molto vicini al Favi. Anzi, i rapporti tra il Fabbroni e A. Court de Gébelin, uno dei venerabili della loggia e direttore del Musée de Paris, furono tenuti, negli anni successivi, proprio da lui; e, durante la permanenza a Parigi del Fabbroni, nacque quella sua affettuosa amicizia col F., testimoniata da una lunga corrispondenza e bene espressa in una lettera a Thomas Jefferson, dell'8 luglio '85: "L'amico Favi è la persona più cara che io abbia al mondo, dopo la moglie mia e mio fratello. Voi lo avete trovato amabile per ogni riguardo, e degno di essere il primo amico per tutti quanti lo conoscono. Egli è modesto, riservato, discreto, prende interesse per la causa altrui, e par fatto apposta per rendere servigio a tutti. Basti per il suo elogio il dirvi che è amato e stimato dal suo Sovrano, benché da molti anni non abbia veduto la di lui presenza, e ne sia trecento leghe lontano" (la corrispondenza Favi-Fabbroni è conservata a Filadelfia presso l'American Philosophical Society, BF 113). E un giudizio non dissimile sul conto dei F. è pure espresso in una memoria di Filippo Mazzei allo stesso Jefferson (The papers…, VII, pp. 387 s.).
La corrispondenza con il Fabbroni è interessante sia per i riferimenti alle personalità conosciute e frequentate dai due, come François de la Rochefoucault, la duchessa di Rohan-Chabot, la duchessa d'Enville, Joseph-Jérôme Lalande e Court de Gébelin, sia perché conferma i rapporti stabili tra il mondo intellettuale e scientifico parigino e quello fiorentino, negli ultimi decenni del secolo. Proprio per il tramite del F. giunsero a Firenze le nuove pubblicazioni scientifiche più significative, nonché esemplari botanici. strumenti, disegni e progetti meccanici di notevole interesse per le accademie, i musei ed altri istituti fiorentini. Inoltre, forse più che dai dispacci alle autorità toscane, emerge dalla corrispondenza l'attenzione del F. per la rivoluzione americana e la sua simpatia per gli "insorti". Del resto, negli anni 1784-85, egli si trovò a negoziare un trattato di amicizia e di commercio tra i rappresentanti delle ex colonie e la Toscana che, nella prima fase delle trattative, fu bloccato dalla clausola che gli Americani intendevano introdurvi a danno della Gran Bretagna; e il F., nonostante desiderasse la conclusione del trattato, riconobbe realisticamente che tale clausola sarebbe stata "onerosa" per il Granducato (Arch. di Stato di Firenze, Segreteria e Ministero Affari Esteri, Appendice, Toscane. Correspondance de sa Lègation à Paris, f. 7, 1780-86). I negoziati furono poi ripresi, ma non giunsero a concludersi perché erano ormai scaduti i poteri concessi dal Congresso a Jefferson ed era probabile che non gli sarebbero stati rinnovati, prima dell'elezione di un nuovo Congresso (ibid., f. 8, 1787-93).
Il F. ebbe, dunque, l'opportunità di vivere a Parigi, in un momento di grandi fermenti politici e sociali e di sviluppi scientifici e culturali di notevole rilievo, tipici degli anni che precedettero la Rivoluzione francese. I rapporti formali alle autorità toscane e le più spontanee e preoccupate lettere al Fabbroni documentano la sua attenzione per i problemi economici che travagliavano la Francia e per il loro progressivo aggravarsi, nel corso degli anni '80, sino ed oltre la convocazione degli Stati generali. Vi si parla delle crisi ricorrenti dovute alla penuria del grano e di altri generi di prima necessità, all'aumento delle imposte, al ristagno del commercio, agli innumerevoli fallimenti che ne derivarono ed all'inutilità dei rimedi ai quali erano via via ricorsi i vari ministri (Ibid., Segreteria e Ministero Affari Esteri, f. 2336, Carteggio ordinario del Ministro di SAR alla Corte di Francia F. Favi). Anche degli eventi rivoluzionari fu spettatore consapevole e critico, come mostrano i dispacci inviati dall'89 al '93 (Ciuffoletti, Parigi-Firenze...). Certo essi rivelano la mentalità di un "riformista illuminato", fiducioso nella bontà delle riforme, ma solo quando siano disposte da una salda autorità. E si comprende come il F. giudicasse negativamente l'avvento di un governo "assembleare" che, se pure in teoria avrebbe potuto "fare la felicità" della Francia, in effetti aveva prodotto "più inconvenienti di tutti gli altri", perché, mentre indeboliva il potere centrale, non sapeva esprimere forze realmente costruttive, diviso com'era tra gruppi in aspro contrasto, un clero e una nobiltà tenaci difensori dei propri privilegi e un terzo stato che pretendeva "troppo".
Riforme come quelle della Municipalità e del sistema giudiziario avevano solo frantumato l'autorità costituita, senza creare un nuovo ordine, e provocato malcontento e conflitti forieri di più profondi e radicali sconvolgimenti. Come si vede, i giudizi del F. erano, nella sostanza, sulla stessa linea delle Reflections on the Revolution in France di Edmund Burke, di cui egli, nel dicembre del 1790, inviò a Firenze una copia della versione francese. Poi, sempre più, sottolineò il conflitto tra il popolo che andava assumendo il potere effettivo e gli organi rappresentativi, e l'insuperabile opposizione tra i diversi partiti e gruppi politici dai quali sarebbero derivati solo "delirio" e "turbolenze". Notava come la progressiva spoliazione delle prerogative regali favorisse il rapido trionfo delle idee repubblicane; scorgeva nella incauta fuga del re un ulteriore fomento dell'estremismo rivoluzionario; e riteneva che la teoria del "complotto aristocratico" così abilmente diffusa fosse il più efficace strumento di mobilitazione popolare. La situazione politica precipitava, così, verso la guerra, dalla quale sarebbero derivati "mali infiniti", il primo dei quali fu, per lui, la destituzione del re che segnò la fine dell'Assemblea costituente ed apri la via all'estrema radicalizzazione della lotta politica: "La Révolution du 10 août a renversé tout à fait la Monarchie et la Constitution établie par l'Assemblée Constituante, et qui n'a pas duré long temps. II va se former un gouvernement républicain démocratique, mais comme il est possible qu'il puisse subsister long temps, il faut s'attendre à une troisième révolution, dont la secousse sera peut étre plus terrible que les autres ...".
Senza mai indugiare nella descrizione di fatti di sangue o delle stragi, il F. denunciava il clima generale d'illegalità e di terrore che dominava la capitale; riteneva, tuttavia, che la Francia repubblicana non sarebbe mai stata soggiogata dai suoi avversari, "attesa l'energia che dimostra e le risorse che ha per difendersi. La necessità della difesa le dà realmente del coraggio e la Nazione è d'accordo per difendersi".
La guerra tra la Francia e l'Impero determinò l'alloritanamento da Parigi dell'ambasciatore cesareo, che vi rappresentava anche il Granducato di Toscana. Così il nuovo granduca, Ferdinando III, l'11 ag. 1792, nominò il F. incaricato di affari (Arch. di Stato di Firenze, Depositeria generale. Appendice, f. 921, Ruolo dei provvisionati dei vari dipartimenti di Stato). Di lì a poco iniziò il periodo più difficile per la politica toscana di neutralità che Ferdinando III intendeva in ogni modo mantenere, conservando le relazioni diplomatiche anche con la Francia repubblicana. Ma la crescente pressione inglese, sostenuta dalla flotta che, il 22 luglio 1793, entrò nel porto di Livorno, rese sempre più insostenibili l'atteggiamento neutrale e i rapporti tra la Toscana e il governo repubblicano. L'8 ottobre, l'inviato britannico a Firenze presentò un ultimatum che imponeva l'allontanamento del rappresentante francese. Il granduca fu costretto a cedere. Il F., che ancora a metà agosto aveva smentito ogni proposito di allontanare il ministro francese, non ricevette la lettera inviatagli da Firenze l'11 ottobre, per avvisarlo del mutamento della politica toscana, ed apprese solo dai giornali la notizia della interruzione della neutralità. Richiese il passaporto e lasciò Parigi, prendendo la via per i Paesi Bassi. Passò poi in Svizzera, donde inviò il suo ultimo rapporto, il 20 marzo 1794.
Dopo le vittorie francesi della seconda metà del '94, il governo toscano decise di ripristinare le relazioni diplomatiche con la Francia, e, a tale scopo, inviò a Parigi prima il conte Francesco Saverio Carletti e poi Neri Corsini. Anche il F. tornò a Parigi, con il nuovo incarico di segretario di legazione, ottenuto il 22 dic. '95 (Arch. di Stato di Firenze, ibid.). Dopo il richiamo del Corsini (gennaio '98), egli restò a rappresentare la Toscana come incaricato interino di affari, sino all'arrivo del nuovo plenipotenziario, Luigi Angiolini (Ibid., Segreteria e Ministero Affari Esteri, Appendice..., f. 20, 1798-99). Un anno dopo, nonostante la sempre ferma intenzione di mantenere la sua neutralità, la Toscana fu occupata dalle truppe francesi e, il 27 marzo, il granduca dovette lasciare Firenze. La legazione toscana a Parigi fu chiusa. Seguì l'"insorgenza" aretina e la breve occupazione austriaca della Toscana che si concluse, dopo Marengo, con il ritorno dei Francesi. Nel 1801 la Toscana fu assegnata come Regno di Etruria all'infante Lodovico di Borbone - Parma; Così il 24 settembre il F. fu ripristinato nella carica di segretario di legazione, con l'ordine di trattenersi a Parigi, sino a nuove disposizioni (Ibid., Segreteria e Ministero Affari Esteri, f. 944, Affari spediti da S. M., Protocollo 1 e 2, 27 agosto-31 ott. 1801).
Per il F. iniziava una nuova fase della sua carriera, a fianco prima di Averardo Serristori, ministro plenipotenziarlo e, dalla primavera del 1803, dell'ambasciatore spagnolo J. N. de Azara che rappresentava anche il Regno di Etruria (ibid., ff. 2374, 2375).
La sua attività fu quella di un solerte esecutore, incaricato soprattutto di preparare memorie per il ministro degli Esteri francese per presentare le condizioni gravissime delle finanze toscane: e cioè l'enormità del debito pubblico, la diminuzione delle rendite, conseguente alla cessazione del commercio con l'estero, le imposizioni straordinarie che gravavano sulle proprietà, l'impossibilità quindi di provvedere al mantenimento delle truppe francesi e la richiesta di diminuirle. Dopo la partenza del Serristori, il F. riprese ad inviare propri rapporti che documentano, insieme, il permanere dei durissimi gravami sulla Toscana e il rifiuto francese di attenuarli, nel momento in cui ormai si profilava la ripresa dei grande conflitto europeo. Ma da questi rapporti risulta pure la costante e accesa ammirazione del loro autore per il "valore", il "genio" e la "fortuna" di Napoleone, nonché la sua incondizionata fiducia nel destino storico della Francia che, sotto la nuova guida, si avviava a dominare la politica europea ed a ristabilire un nuovo ordine. Sicché non meraviglia che, quando fu soppresso l'effimero Regno di Etruria e la Toscana venne annessa all'Impero, egli scrivesse di volere "tributare l'omaggio della sua perfetta sottomissione, fedeltà e rispetto all'Imperiale governo francese", assicurando la propria "venerazione per l'augustissimo Sovrano, sotto il di cui felice dominio è passata l'Etruria". E, insieme con il suo ultimo rapporto (16 febbr. 1808), inviò a Firenze anche una incisione che riproduceva il quadro di J.-L. David, L'incoronazione di Napoleone (ibid., ff. 2376 e 2377, Carteggio col segretario di legazione a Parigi F. Favi, 1803-1804 e 1805-1807).
Nel 1809 il F. fu collocato a riposo ed ottenne una magrissima pensione (Ibid., Depositeria generale. Appendice, f. 1110, Pensioni assegnate in Toscana dal Governo Francese), del tutto inadeguata al lungo servizio ed alle sue gravi condizioni di salute. Visse amaramente gli ultimi anni della sua vita, orinai quasi del tutto cieco, inviando suppliche per ottenere un aumento dei suoi emolumenti (Ibid., Amministrazione del debito pubblico, f. 196, Registro dei pensionati... ; f. 199, Suppliche dei diversi pensionati...).
Morì a Firenze il 29 apr. 1823 (Ibid., Stato civile toscano, f. 10752, Morti di Firenze 1823, n. 836).
Fonti e Bibl.: Oltre alle fonti citate si vedano sempre in Arch. di Stato di Firenze, Segreteria e Ministero Affari Esteri. Appendice, ff. 6-24, le minute del carteggio ordinario della legazione con Firenze e, in parte, anche del carteggio diplomatico, per gli anni 1776-1807. Pietro Leopoldo, Relazioni sul governo della Toscana, a cura di A. Salvestrini, I, Firenze 1969, p. 63; The papers of Thomas Jefferson, a cura di J. P. Boyd, VII, Princeton 1953, pp. 387 s., 430, 437 s., 533, 561 s., 649; VIII, ibid., pp. 104-110, 187-195, 205, 260 s.; IX, ibid. 1954, pp. 26, 45 s., 280; R. Ciampini, Un osservatore italiano della Rivoluzione francese. Lettere inedite di Filippo Mazzei al re Stanislao Augusto di Polonia, Firenze 1934, p. 44; Id., La caduta della monarchia 1792. In appendice: lettere inedite degli ambasciatori toscano e piemontese ai loro sovrani, Bologna 1934, pp. 14 s., 45, 48, 136, 144 s., 251-254; A. D'Addario, I giudizi di due diplomatici toscani sulla Rivoluzione francese del 1789, in Rassegna storica del Risorgimento, LXI (1954), pp. 325-333; A. Pace, Benjamin Franklin and Italy, Philadelphia 1958, ad Indicem; M. Mirri, Per una ricerca sui rapporti fra "economisti" e riformatori toscani. L'abate Niccoli a Parigi, in Annali dell'Istituto G. G. Feltrinelli, II (1959), p. 65; R. Pasta, Scienza politica e rivoluzione. L'opera di Giovanni Fabbroni (1752-1822) intellettuale e funzionario al servizio dei Lorena, Firenze 1989, ad Indicem; Z. Ciuffoletti, Parigi-Firenze 1789-1794. Dispacci del residente toscano nella capitale francese al governo granducale, Firenze 1990; Id., Parigi-Firenze. La Rivoluzione francese nei dispacci del segretario della Legazione toscana nella capitale francese. 1784-1794, in Parigi-Firenze 1789. La Toscana e la Rivoluzione francese. Atti del Convegno di studi "Il Vieusseux", III (1990), 9, pp. 13-22; C. Ceccuti, La Toscana neutrale davanti a Napoleone, ibid., pp. 23 s.