RICCIARDI, Francesco
RICCIARDI, Francesco. – Nacque a Pistoia nel 1474, quasi certamente in agosto (dal libro dei Battezzati della Cattedrale consta che fu battezzato il giorno 20, nella cappella di S. Maria fuori le Porte, oggi basilica della Madonna dell’Umiltà). Figlio di un modesto fornaio, Pietro di Filippo, e di Filomena di maestro Antonio Carfantoni, Ricciardi era però discendente di una delle famiglie più importanti della Pistoia tardomedievale.
I Ricciardi erano una delle tredici case magnatizie elencate negli statuti del 1330, la cui potenza e la cui ricchezza erano perlopiù derivate dal possesso fondiario (a Vergiole, donde provenivano, a sud della città, e altrove nel contado). Nel XIV secolo espressero personaggi di spessore come Zampa di Lese, amico e sodale di Cino da Pistoia, Baronto di Truffa e Bonifacio, detto Fazzino, che era stato nominato senatore di Roma da Urbano V. Ma alla fine del Quattrocento avevano ormai perduto gran parte della loro importanza economica e politica.
La Vacchetta – oggi segnata Pistoia, Biblioteca Forteguerriana, Acquisti e doni, 7 – nelle cui ultime pagine Ricciardi vergò i suoi Ricordi storici è una delle fonti privilegiate per definire entità e dislocazione topografica di un patrimonio familiare che, soprattutto lungo il Trecento e certamente entro il 1427, doveva essere stato di cospicue dimensioni. Ciò è confermato dalle annotazioni di Iacopo di messer Bartolomeo (cui inizialmente appartenne quel libro di conti) e poi di Baronto di messer Bonifacio: fra le cospicue compravendite di terreni, case e bestiame, spiccano anche le numerose abitazioni nella città di Pistoia, nelle cappelle di S. Pier Maggiore e di S. Vitale.
Della prima formazione di Ricciardi e della sua più generale vicenda biografica non rimangono moltissime notizie, nonostante l’interesse che l’erudizione pistoiese del secondo Ottocento e del primo Novecento aveva mostrato nei suoi confronti, già a partire dagli affondi che gli aveva riservato Enrico Bindi nel 1847. Avviato ben presto dal padre allo stesso mestiere di fornaio, il giovane Ricciardi mostrò tuttavia una buona propensione per lo studio, anche se il suo profilo culturale dovette rimanere complessivamente modesto, al di là delle divergenti opinioni al proposito di Bindi e di Pietro Vigo; Emanuele Cutinelli-Rendina lo annovera fra i cronisti di media cultura mercantile.
Difficile da chiarire è l’origine del soprannome Ceccodea, ricorrente nei suoi ricordi e con il quale egli era noto e conosciuto in città: non si può escludere che potesse avere a che fare con il nome della nonna paterna Dea Fabbroni, quasi a voler significare la vicinanza e l’affetto per questa figura della famiglia, tanto da giustificarne l’appellativo di «nipote della Dea».
Entrò al servizio della Signoria fiorentina, stando alle annotazioni dei Ricordi, il 14 luglio 1496, mostrando buone qualità militari nella presa di Buti; fu impegnato anche nell’occupazione della torre di Stampace a Pisa del 10 agosto 1499 e in quella di Livorno di pochi giorni successiva. Visse abbastanza defilato le aspre contese che, negli anni di trapasso fra Quattro e Cinquecento, divisero la sua città, con le lotte fra le fazioni dei Panciatichi e dei Cancellieri, anche intorno al controllo della carica di spedalingo di S. Gregorio. Di Ricciardi e della sua attività rimangono tracce sporadiche nella documentazione dell’inizio del XVI secolo: ricevette, il 15 settembre 1502, l’incarico dall’Opera di S. Iacopo di fare il pane delle elemosine, poi riconfermato l’anno successivo e così ancora nel 1510 e nel 1512, all’insegna di una significativa continuità di mestiere. Ricciardi ebbe anche una qualche parte, seppur non di primissimo piano, nella vita politica della sua città: fu imborsato nel 1519, nel 1521 e nel 1526 per la carica di gonfaloniere.
Francesco Ricciardi fu un artigiano con la passione per la scrittura e la memoria storica. Le sue origini familiari, una discreta condizione economica e una cultura media gli consentirono, dall’età di 17 anni, di redigere i Ricordi storici, riferibili al periodo compreso fra il 1494 e il 1500. L’opera, relativamente modesta sul piano quantitativo e per respiro storiografico, tutta condotta sul filtro autobiografico del ricordo vissuto o udito in prima persona, si inserisce in un filone ampio e di grande fortuna, dopo la stagione umanistica, caratterizzato da scritture minori, prevalentemente in volgare, nelle quali temi dominanti erano quelli del «vivere civile e del buon governo». Si trattava di opere di memorialistica, assai numerose in Toscana e soprattutto a Firenze, in cui il collante etico e politico assumeva spesso il motore primo del discorso e la ragione stessa di un affondo nella memoria che privilegiava gli eventi rispetto alla riflessione e all’interpretazione.
I Ricordi, anche se di taglio più pragmatico rispetto a testi cronistici pur essenziali come quelli dei fiorentini Buonaccorso Pitti, Bartolomeo Cerretani o Giovanni Rucellai, risentirono del clima successivo alla fine del regime mediceo del 1494 e della crescente instabilità degli assetti istituzionali. Per buona parte rivolti alle vicende interne di Pistoia e alle discordie fra le principali fazioni cittadine, essi contengono anche accenni agli equilibri politici fra i maggiori Stati della penisola e non solo (l’operato di Carlo VIII, i rapporti fra Firenze e le città del dominio, le relazioni fra Milano, Venezia, Napoli e il Papato). Questi ultimi aspetti sono osservati da un punto di vista periferico e filtrati da una cultura mai troppo sensibile alla grande politica e all’influsso dei classici; ma non manca un procedere proverbioso che concede lodi a Francesco Gonzaga e sferza la condotta di Girolamo Savonarola.
Della scrittura memorialistica di Ricciardi non va sottovalutato il forte impeto religioso, che permea una gran parte della sua cronichetta e privilegia fra i suoi ricordi il miracoloso sudore della Madonna della Umiltà del 17 luglio 1490 (sulla cui immagine sarebbe poi sorta la basilica mariana avviata da Ventura Vitoni e terminata da Giorgio Vasari). La stessa sensibilità fece sì che l’autore dedicasse uno spazio importante al pellegrinaggio a Loreto. Non a caso egli vergò nella parte alta di quasi tutte le pagine del manoscritto più antico il termine Yhesus.
Dei Ricordi, editi una prima volta nel 1882 da Pietro Vigo (F. Ricciardi, detto Ceccodea, Ricordi storici dal 1494 al 1500, Bologna), e quindi nel 1934 da Alfredo Chiti (Ricordi storici di Francesco Ricciardi detto ‘Ceccodea’, Pistoia), si conservano due manoscritti (ambedue conservati nella Biblioteca Forteguerriana di Pistoia), che ricevettero un diverso trattamento filologico dai due editori, ma meriterebbero un’adeguata cura per districarne paternità, precedenze e affidabilità. Dei due, quello sicuramente più antico, e con ogni probabilità autografo, reca la segnatura A.29 e occupa, con andamento inverso alle scritture contabili, le quindici carte finali di una Vacchetta già appartenuta a Baronto di messer Bonifacio Ricciardi, con annotazioni dal 1380 al 1427. L’altro manoscritto, appartenuto alla famiglia Tolomei, e oggi segnato Acquisti e doni, 7, costituisce un codicetto, in quarto, ben ordinato e vergato da un’unica mano in una scrittura libraria, di matrice latamente umanistica, con l’aggiunta dei titoletti dei capitoli, degli stemmi delle famiglie Ricciardi, Puccini, Bentivoglio e del Comune di Pistoia e con qualche aggiunta marginale di mano diversa.
Morì a Pistoia l’11 gennaio 1533, secondo quanto viene riportato negli Stati dei Sepolti di San Domenico: «Francesco Ricciardi alia Cechodea morì addì 11 di gennaio 1533 [...] Sotterrossi nella sepoltura de’ Ricciardi».
Fonti e Bibl.: Pistoia, Archivio vescovile, Battezzati della Cattedrale, II.B, 1, (1471-1481); Stati antichi, Sepolti di S. Domenico, II.A, 12 rosso, 1 (1500-1564) (B.49, 5); E. Bindi, Di F. R. e de’ suoi ricordi storici dal 1494 al 1500. Ricordi filologici e letterari, IV (1847), pp. 49-58; E. Cochrane, Historians and historiography in the Italian Renaissance, Chicago-London 1981, pp. 163-177; W. Connell, La città dei crucci. Fazioni e clientele in uno stato repubblicano del ’400, Firenze 2000, pp. 149-177; E. Cutinelli-Rendina - J.J. Marchand - M. Melera-Morettini, Dalla storia alla politica nella Toscana del Rinascimento, Roma 2005, pp. 79 s.; M. Bruschi, Le prediche sopra Ezechiel propheta di fra’ Girolamo Savonarola: un esemplare ‘pistoiese’ postillato e censurato, Pistoia 2008, p. 18; P. Gilli, Il discorso politico fiorentino nel Rinascimento e l’‘Umanesimo civile’, in Firenze e la Toscana. Genesi e trasformazioni di uno stato (XIV-XIX secolo), a cura di J. Boutier et al., Firenze 2010, pp. 255-257.