RONCIONI, Francesco
– Nacque a Pisa il 23 settembre 1789 dal conte Angiolo e da Dorotea Agostini della Seta.
La dimora dei conti Roncioni era il palazzo sul lungarno Mediceo, dove Francesco viveva insieme alle sorelle Teresa, Maddalena e Isabella. Altra residenza della famiglia era la villa di Pugnano, fattoria quattrocentesca trasformata definitivamente in villa già nel corso del Cinquecento e che durante il Settecento assunse l’aspetto attuale.
Ultimo esponente di una delle famiglie pisane di più antica nobiltà, nel 1806 vestì l’abito di cavaliere dell’Ordine di S. Stefano e fu educato presso l’istituto della Carovana, dove rimase fino al 1809. Formatosi in un ambiente familiare colto e illuminato, fu attento alla conservazione delle memorie della famiglia: fra il 1815 e il 1819 fece regestare dall’archivista Giovan Battista Coletti le oltre millecinquecento pergamene presenti nel suo archivio e progettò di ricercare e raccogliere quelle delle antiche famiglie pisane, rispettabili ma prive ormai del patrimonio. Dopo la morte del padre nel 1812 e la militanza nell’armata napoleonica, si pose alla guida della consistente azienda agraria ereditata: circa 400 ettari di terreni compresi fra il Valdarno e la valle inferiore del Serchio; un’altra proprietà era la fattoria di Stibbio, nei pressi di San Miniato, la cui vendita nel 1823 costituì la base per gli investimenti e le innovazioni realizzati poi a Pugnano.
Imprenditore agricolo innovatore, Roncioni portò significativi e importanti cambiamenti nelle sue terre, introducendo l’allevamento di bestiame stabulato e conferendo alla gelsibachicoltura, già presente a Pugnano, un carattere moderno.
Fra il 1826 e il 1828 il podere dell’Olmo, attiguo alla villa, fu trasformato in una cascina gestita interamente con manodopera salariata e con bestiame acquistato ad Airolo, in Svizzera. La località possedeva le condizioni ideali per questo impianto: le numerose sorgenti garantivano abbondanza d’acqua per i prati artificiali e la vicinanza del mercato cittadino di Pisa assicurava lo smercio rapido di prodotti quali il latte e il burro. Allevamento di bovini da latte, produzione di burro e formaggio e contemporaneo allevamento di maiali, furono i caratteri essenziali della cascina di Pugnano. La cascina fu dismessa nel 1837 e le vacche da latte furono vendute al pubblico incanto.
Nel 1826 entrò in funzione la bigattiera e costituì una novità per quanto riguarda la realizzazione di grandi bigattiere nel granducato. Nella costruzione dell’edificio furono impiegati i lavoratori della fattoria, i mezzadri e le maestranze locali. Costruita e condotta secondo i canoni raccomandati dai più illustri bacologi del tempo, dei quali Vincenzo Dandolo fu uno dei maggiori sostenitori e propagatori, fu il coronamento di oltre due anni di lavori e il risultato delle spoliazioni subite da numerosi palazzi pisani. L’architetto Alessandro Gherardesca concepì e progettò la bigattiera come arredo peculiare del parco romantico della villa: l’aspetto di antica abbazia, con bifore, rosoni, cuspidi e statue di terracotta, non lasciava certo supporre la reale destinazione dell’edificio. Al di là dell’aspetto esteriore, la bigattiera possedeva i parametri igienico-funzionali raccomandati per allevare in modo razionale il baco da seta. La conduzione dell’allevamento, poi, fu del tutto nuova: la presenza di personale formato presso illustri bacologi garantì la tenuta di ‘giornali di bigattiera’, dove si annotarono dati significativi per una gestione razionale dell’allevamento. Inoltre, l’impiego degli uomini nella conduzione della bigattiera fu rilevante, almeno nei primi anni di esercizio: fenomeno del tutto nuovo in un settore dove la cura dell’allevamento del baco era affidata da secoli alle sole donne e dove la presenza degli uomini si caricava di significati negativi. Nel corso degli anni successivi la presenza femminile crebbe in modo consistente, ma alla manodopera maschile furono sempre affidati i compiti più delicati, quali la nascita e le prime età dei bachi da seta.
Nel febbraio del 1828 Roncioni ebbe una figlia naturale, Luisa Gabriella Egeria, legittimata nel 1834; nello stesso anno divenne socio corrispondente dell’Accademia dei Georgofili e la sua fattoria fu meta di due corse agrarie, menzionate dal Giornale agrario toscano.
Nel 1831 costituì a Livorno la Compagnia mineralogica detta ‘del Bottino’, che sfruttava un giacimento di piombo argentifero presso Seravezza; la Compagnia fu sciolta per fallimento nel 1837.
Fra il 1831 e il 1832 Roncioni strinse duraturi legami con la ginevrina Matilde Calandrini, promotrice dell’istruzione infantile e degli asili aportiani a Pisa insieme a Luigi Grassi; nell’autunno del 1832 presso la sua villa di Pugnano lo stesso Roncioni ospitò la prima scuola della Calandrini e la sostenne finanziariamente. La scuola attirò l’ostilità delle autorità che l’anno seguente ne disposero la chiusura.
Fra il 1832 e il 1833 figurò fra gli affiliati alla carboneria, ma dopo il 1833 non fu più menzionato in nessun rapporto o cronaca; a suo carico rimase soltanto un processo, subito nel 1832 insieme ad Augusto Grassi, per l’aggressione e gli insulti al balì Cosimo Andrea Samminiatelli. Nelle terre di Pugnano, comunque, si continuò a fare propaganda liberale, con la diffusione de Il Precursore da parte dell’agente di fattoria Alamanno Frizzi.
Durante la sua vita Roncioni effettuò numerosi viaggi: dopo l’esperienza al seguito dell’armata napoleonica nel 1813 a Lione, nel 1828 e nel 1829 si era recato nella Confederazione Elvetica per l’acquisto del bestiame. Nella primavera del 1836 compì un vero e proprio viaggio agrario attraverso la Francia e la Svizzera, del quale tenne un diario.
Già priore, Roncioni divenne gonfaloniere di Pisa nel dicembre 1840, poi riconfermato per il triennio successivo.
Buon amministratore, molto attento al sociale, durante il suo gonfalonierato si prodigò per continuare il riassetto urbano già progettato e in parte realizzato fin dalla fine del Settecento. Particolarmente sensibile al pubblico decoro della sua città, affrontò l’annosa questione della costruzione di una nuova pescheria. Il progetto, troppo ambizioso e costoso per la comunità, non trovò però realizzazione durante il suo mandato. L’esondazione del fiume Serchio, avvenuta nella notte fra il 15 e il 16 gennaio del 1843, vide Roncioni alla presidenza della deputazione provvisoria prima e permanente poi per soccorrere gli alluvionati. Un’analoga commissione si formò l’anno successivo in seguito all’esondazione dell’Arno. Nello stesso periodo propose la costruzione di un ospizio per porre rimedio alla piaga della mendicità.
Lontano dalla politica coeva, dopo aver terminato il suo mandato di gonfaloniere Roncioni tornò a occuparsi a tempo pieno delle terre cercando di concentrare la proprietà intorno ai nuclei principali di Pugnano e di Pettori, presso Cascina, dove mantenne la conduzione mezzadrile, con l’unica eccezione della cascina, dove fu impiegata manodopera salariata.
Nel gennaio del 1857 fu promotore insieme al professor Pietro Cuppari, a Giovanni Sbragia e a Roberto Lawely, dell’Associazione agraria del compartimento pisano, finalizzata a incoraggiare la coltura del gelso e l’allevamento del baco da seta con premi in denaro per le famiglie coloniche e per i proprietari.
In quel periodo si diffuse anche in Toscana, fino ad allora ritenuta immune, la pebrina: comparsa in Francia negli anni Quaranta dell’Ottocento, questa epizoozia particolarmente grave cambiò completamente il modo di allevare il baco da seta. La pebrina comparve a Pugnano durante il raccolto del 1858: in seguito alla diffusione di questa malattia non fu più possibile produrre il seme bachi all’interno dell’azienda, ma si dovette ricorrere a quello proveniente dalle aree immuni, avvalendosi dell’opera dei semai, i commercianti di seme bachi, facendo aumentare i costi e i rischi connessi all’allevamento. Intanto la figlia Luisa Gabriella Egeria, rimasta vedova nel 1848 di Raffaello Pistoi, dal quale aveva avuto la figlia Giorgina, sposò in seconde nozze l’avvocato Luigi Camici di Lucca. Nel 1859 Roncioni le donò tutti i suoi beni e concesse al genero il proprio cognome, poiché egli era l’ultimo discendente della famiglia. Il 30 aprile 1864, con Giovanni Chiesa e Alamanno Frizzi, costituì la Società dei bachi da seta per fare fronte ai rischi e alle spese dell’acquisto del seme bachi.
Proprietario attento e interessato ai progressi e alle novità della tecnica, acuto osservatore e sperimentatore di nuovi metodi e colture, per tutta la vita intrattenne rapporti e contatti con Giovan Pietro Vieusseux, Raffaele Lambruschini, Cosimo Ridolfi, Silvestro Centofanti, Matilde Calandrini, la famiglia Scoti di Pescia ed Enrico Poidebard.
Morì a Pugnano il 17 luglio 1864.
Fonti e Bibl.: L’archivio Roncioni ha subito negli anni alterne vicende: nel 1912, dopo una lunga trattativa, il nucleo più antico fu acquistato dall’Archivio di Stato di Pisa; la parte restante, custodita nella villa di Pugnano, fu notificata nel 1964 e acquistata dalla soprintendenza per l’Archivio di Stato di Pisa soltanto nel 1999. È stato così possibile ricongiungere i due spezzoni in un’unica sede, ma manca ancora un riordino archivistico delle due parti.
Per la vita e l’opera di Roncioni: Archivio di Stato di Firenze, Catasto della Toscana, Rapporti di Stima, 853; Archivio di Stato di Livorno, Acquisti e doni, dono Campani, carte Franco, 13; Archivio di Stato di Pisa, Acquisto Roncioni e Acquisto Roncioni - Appendice; Auditore del Governo - serie politica, 30, 33, 203; Camera Comunitativa, 1063; Campioni del catasto toscano, comunità di Cascina, Pisa, S. Giuliano; Comune, div. E 33; Comune, div. F 22, 95, 99, 161; Fiumi e Fossi, 2791; Processi di provanze di nobiltà dell’ordine di S. Stefano, 168; R. Ruota di Pisa, 993; Sottoprefettura di Pisa, 47; Calci (Pisa), Archivio privato Ruschi, Minuta di proposte di una associazione agraria del compartimento pisano, 27; Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Carteggio Lambruschini, 18, 53; Carteggio Vieusseux, 100, 1-7; 113, 122; Pisa, Biblioteca universitaria, Carte Roncioni, 390566.
V. Dandolo, Storia dei bachi da seta, governati con i nuovi metodi, Milano 1819; Id., Del governo dei bachi da seta, Milano 1824; A. Gherardesca, La casa di delizia, il giardino e la fattoria, progetto seguito da diverse esercitazioni architettoniche del medesimo genere, Pisa 1826; R. Lambruschini, Di una nuova bigattiera del signor Cavaliere Roncioni, in Giornale agrario toscano, I (1827), pp. 387-397; Corsa agraria, ibid., V (1831), pp. 207-242; S. Nistri - D. Rizzi, Manuale pratico per coltivare i gelsi, Padova 1835; G. Moretti, Sui gelsi e sui bachi da seta, Milano 1839; F. Gera, Il trattore da seta, ossia l’arte di svolgere i bozzoli, Venezia 1844; Proposta di un’Associazione agraria nel Compartimento di Pisa, in Giornale agrario toscano, XXXI (1857), pp. 86-88; R. Lambruschini, Intorno al modo di custodire i bachi da seta, Firenze 1858; C. Ridolfi, Lezioni orali di agraria, Firenze 1858; Guida per allevare i bachi da seta, composta a cura del conte G. Freschi dietro i propri esperimenti, Milano 1858; Programma dei premi proposti dall’Associazione Agraria del Compartimento Pisano, in Giornale agrario toscano, XXXII (1858), pp. 110 s.; C. Studiati Berni, Breve storia intorno ad alcuni dati numerici relativi al raccolto dei bozzoli avanti il 1858, in L’Agricoltura italiana, L (1878), pp. 651-658; M. Luzzati, Le origini di una famiglia nobile pisana: i Roncioni nei secoli XII e XIII, in Bullettino senese di storia patria, s. 3, XXV-XXVII (1966-1968), pp. 60-118; C. Zanier, Alla ricerca del seme perduto. Sulla via della seta fra scienza e speculazione (1858-1862), Milano 1993, ad ind.; R. Tolaini, Filande, mercato e innovazioni nella industria serica italiana. Gli Scoti di Pescia (1750-1860), Firenze 1997, ad ind.; E. Insabato, Appunti per una geografia delle fonti private per la storia delle dimore storiche pisane, in Le dimore di Pisa. L’arte di abitare i palazzi di un’antica Repubblica Marinara dal Medioevo all’Unità d’Italia, a cura di E. Daniele, Firenze 2010, pp. 273-284.