ROSASPINA, Francesco
– Nacque a Montescudo (Rimini) il 2 gennaio 1762 nella parrocchia dei Ss. Biagio e Simeone da Giovan Battista, notaio, e da Luigia De Bonis. Il fratello Giuseppe (1763-1832), più giovane di un anno, fu valente incisore ma meno noto di Francesco.
Da una sua breve memoria autobiografica (Cappi, 1843, p. 410), si apprende che durante la sua infanzia fu costretto a cambiare residenza diverse volte con la famiglia a causa dell’impiego del padre, fino al 1769-70, quando questi si trasferì a Bologna al tribunale criminale della città (noto come tribunale del Torrone). Piuttosto scarse sono le notizie circa l’infanzia e la prima formazione, che pervengono ancora da lui: durante la frequentazione delle Scuole pie a Bologna, nel vano intento paterno di fargli acquisire una formazione umanistica, egli narra di aver esordito da autodidatta iniziando a esercitarsi con il disegno imitando stampe popolari e devozionali, frontespizi, vignette, capilettera, prodotti in gran numero nelle botteghe di stampatori e librai allora gravitanti nella piazza del Paviglione. Antonio Bolognini Amorini (1842, p. 7) pone nella bottega di Antonio Nerozzi, verso la seconda metà degli anni Settanta, il suo apprendistato nelle tecniche calcografiche tradizionali del bulino e dell’acquaforte, alle prese con l’incisione decorativa e devozionale basata su stilemi della tipografia arcadica e barocca.
Le rare testimonianze di questa fase sono conservate in tre album nella Raccolta Piancastelli (Forlì, Biblioteca comunale), il più antico dei quali riporta la data 1778 (Bernucci - Pasini, 1995, pp. 16 s.). Per suo conto, nel medesimo periodo, Rosaspina produsse anche alcune ‘miscellanee’ disegnate a penna, di cui si è persa ogni traccia, che incontrarono il gusto del pubblico procurandogli piccoli guadagni e un certo apprezzamento nell’ambiente della nobiltà cittadina.
Al 1779 si fa risalire uno dei primi lavori di rilievo, le vignette per il poema Giornata villereccia. Poemetto in tre canti, ossia l’Asinata di Clemente Bondi (presumibilmente nella ristampa di Felice Carmignani di Parma). Nell’anno successivo si collocano le antiporte dei ritratti di Suor Maria Camerani, dal disegno di Giuseppe Soleri, e Don Bartolomeo Maria dal Monte, dal disegno di Luigi di Giuseppe Grossi (ristampata nel 1845), eseguite con l’acquaforte a granito, moderna tecnica d’incisione che Rosaspina adottò ampiamente a partire da questo periodo sull’esempio delle stampe di Francesco Bartolozzi, ch’egli poté visionare e studiare nelle collezioni nobiliari messe a sua disposizione dai connaisseurs (Jacopo Alessandro Calvi e Marcello Oretti, Carlo Bianconi, Massimiliano Gini e Lodovico Savioli) e dalle famiglie bolognesi Spada, De Boni, Hercolani.
Diversi nomi del milieu bolognese si ricavano dai biglietti da visita eseguiti in questi anni, come quello del marchese Sicinio Spada, per il figlio del quale Rosaspina incise vignette e finalini (Per le nozze del marchese Paolo Spada con la contessa Caterina Bianchini, Bologna 1784). L’opportunità di aggiornamento sui modelli della grafica riproduttiva più moderna delle scuole italiane ed europee, unita alla sua particolare sensibilità, lo affrancò in un breve torno d’anni dall’eclettismo settecentesco di gusto rocaille.
Nel 1783 Rosaspina cominciò a incidere stampe più impegnative di propria iniziativa, con il sostegno logistico dapprima dell’editore-libraio Antonio Landini (da segnalare Fides, dal dipinto del Guercino, su disegno dell’amico Giovanni Battista Frulli, poi trasformata in Santa Lucia) e successivamente anche del conte Massimiliano Gini (Lodovico Inig, come soleva firmarsi anagrammando il cognome), che favorì molto i suoi esordi facendolo lavorare con lui quasi in esclusiva fino al 1790. L’attività intrapresa con quest’ultimo nell’arco di un decennio fu particolarmente feconda, sia sotto il profilo formativo e culturale, attraverso lo studio e la copia di disegni di artisti famosi delle più importanti collezioni emiliane, sia sotto il profilo tecnico, con l’apprendimento della moderna acquatinta e delle tecniche di resa tonale. Queste, unite al tratto libero dell’acquaforte, meglio traducevano l’acquerellatura del disegno mediante l’uso di coperture multiple (Madonna col Bambino, dal disegno di Antonio Gionima, acquatinta e vernice molle, rame presso l’Istituto centrale per la grafica di Roma; Fiorani, 1989, pp. 133-142). Oltre alla Raccolta di disegni originali di Mauro Tesi [...] pubblicati da Lodovico Inig calcografo in Bologna del 1787, prove magistrali furono le due raccolte dei disegni del Parmigianino: Disegni originali di Francesco Mazzola (s.d.), e Celeberrimi Francisci Mazzola Parmensis graphides (1788), composte rispettivamente da quattordici e ventiquattro incisioni.
Fin da queste prime prove l’opera di Rosaspina rivela il rigore scientifico dell’epoca neoclassica attraverso una razionale ricerca di strumenti e metodi sofisticati tesi alla resa perfetta dell’illusione del disegno (ad esempio l’uso di lastre più grandi del foglio che evitano il segno della matrice; Imolesi Pozzi - Verfasser, 2005, pp. 18 s.). Ma anche nell’impiego della tradizionale tecnica del bulino Rosaspina seppe fornire grande prova di versatilità. Notevoli risultano i due Cupidi in pendant, eseguiti nella cerchia intellettuale favorita da Gini: il primo tratto dal dipinto di Marcantonio Franceschini, di proprietà del conte Lodovico Savioli, il secondo dal Guercino, con dedica al conte senatore Ferdinando Marescalchi, della collezione di Gini, che li pubblicò rispettivamente nel 1787 e 1789 in una prima versione (il secondo stato, senza cornice e titolo in greco, fu per i tipi Franchetti e Crescini di Parma; Davoli - Panizzi, 2012, pp. 124).
La nomina ad accademico e alla prima cattedra d’incisione all’Accademia Clementina, avvenuta il 12 settembre 1789, contribuirono plausibilmente a segnare la fine del rapporto lavorativo tra Rosaspina e il conte Gini (già La Maddalena da Guido Cagnacci del 1790, con la quale vinse il Premio Curlandese per l’intaglio, fu edita da Landini). Nel 1790 rifiutò l’invito del direttore dell’Accademia di Napoli, Vincenzo Corazza, a incidere le opere del Museo di Capodimonte.
Dal folto carteggio di Rosaspina (Bernucci - Pasini, 1995, p. 76) si ricava che l’apertura negli anni Novanta verso l’ambiente parmense con i lavori di traduzione dei capolavori del Correggio e del Parmigianino fu agevolata dai contatti con il padre francescano Ireneo Affò, prefetto regio della Biblioteca di Parma, cominciati nel 1785 per la pubblicazione dell’edizione Basinii Parmensis poetae opera praestantiora (1794), incidendo all’acquaforte l’affresco di Piero della Francesca, Sigismondo Malatesta in preghiera davanti a S. Sigismondo (su disegno di Francesco Albèri; t. II) e sei tavole tratte dalle miniature del manoscritto quattrocentesco di Basinio (t. I). È probabile che Affò abbia anche intessuto per lui le relazioni divenute presto amicali con il tipografo Giovan Battista Bodoni e il pittore Giuseppe Turchi (ospitato a Bologna da Rosaspina nel 1792), che tanta influenza avrebbero avuto sulla sua arte e sulla sua carriera. Testimonianza ne sono i due ritratti, di grande intimismo poetico, di Affò (1791) e Bodoni (1792), realizzati all’acquaforte e granito su disegno di Turchi. Fu con quest’ultimo che Rosaspina, condividendo l’ammirazione per il Correggio, meditò l’ambizioso progetto di incidere tutte le opere del maestro nel monastero di S. Giovanni Evangelista, trovando sostegno nell’abate Andrea Mazza. Dopo le prime due incisioni, San Giovanni (1794) e la Deposizione (1802), il progetto si arenò a causa della malattia di Turchi, delle vicende politiche e di altri lavori che Rosaspina portava avanti parallelamente, soprattutto la riproduzione dei dipinti bolognesi della quadreria del marchese Giacomo Zambeccari. Per questi eseguì il finissimo S. Francesco da un’opera attribuita a Domenichino (1792) e L’Apparizione dei tre angeli ad Abramo di Ludovico Carracci (1794), che gli decretarono grande successo e ne consacrarono l’entusiastica passione per il Seicento bolognese.
Il 1794 fu per Rosaspina un anno particolarmente intenso. Nella primavera sposò la bolognese Maria Lotti, dalla quale ebbe quattro figli (Vaccolini, 1843, p. 202), di cui sono noti tre nomi: Enrichetta – moglie dell’incisore correggese suo allievo Giuseppe Asioli, da cui nacque Giuseppe (1817-1877), incisore e pittore di vedute –, Raffaele, che si diplomò ingegnere civile a Roma nel 1820, e Virginia (1799-1806). Grazie ai buoni uffici dei padri Mazza e Affò, il 16 giugno di quell’anno Rosaspina ottenne di visitare la Camera della badessa affrescata dal Correggio nel monastero di S. Paolo a Parma, fino ad allora inaccessibile per la clausura, e di eseguirne i disegni con i pittori Francisco Vieira, Gaetano Calliani e Biagio Martini per tradurli in incisioni pubblicate in volume da Bodoni (Camera di S. Paolo dipinta in Parma dall’immortale pittore delle Grazie...). I trentacinque rami incisi al lapis e con la nuova tecnica della litografia, di cui Rosaspina fu antesignano in Italia, accompagnati dalla descrizione di Giovanni Gherardo De Rossi (in italiano, francese e spagnolo), videro la luce solo nel 1800 in conseguenza degli sconvolgimenti politici. Contestualmente Rosaspina portò avanti con Bodoni altri due progetti: Le più insigni pitture parmensi indicate agli amatori delle belle arti, sessanta tavole incise all’acquaforte disegnate da Vieira, anch’esse pubblicate più tardi nel 1809 a causa delle requisizioni francesi, e gli Scherzi poetici e pittorici, brevi poesie di De Rossi, illustrate da quaranta incisioni tratte da soggetti d’invenzione dell’artista portoghese José Teixeira Barreto.
L’invasione delle truppe napoleoniche nel 1796 interruppe bruscamente il sodalizio parmense. Tuttavia, Rosaspina non fu colto impreparato: a Bologna fece parte di un gruppo di nobili e artisti filofrancesi con ideali democratici, aperti alle novità del Neoclassicismo europeo e all’utilità politica e sociale dell’arte, come Felice Giani, Pelagio Pelagi, Mauro Gandofi, Giacomo Rossi, Vincenzo Martinelli e il conte Ferdinando Marescalchi, con il quale in questo periodo infittì le relazioni (Preti Hamard, 2005, pp. 81 ss.).
È probabile che in tale contesto avessero inizio le celebri «conversazioni iemali della sera nel suo studio» (Cappi, 1843, p. 412), dove gli allievi più giovani si esercitavano nel disegno mentre altri leggevano (note anche da un’incisione di Giulio Tomba su disegno perduto di Giani).
Durante il periodo napoleonico Rosaspina fu molto attivo nell’insegnamento, nella produzione artistica e nella politica. Nel 1797 fu nominato membro del Consiglio dei seniori incaricato di redigere l’inventario delle opere d’arte da proteggere dalle requisizioni, mentre il governo della Repubblica Cisalpina lo volle professore d’intaglio nell’Accademia felsinea. Egli accettò anche l’incarico di insegnare per quattro mesi all’anno presso l’Accademia di Mantova, dov’era stato già invitato nel 1792. Nel novembre 1801 fu scelto per rappresentare l’Accademia delle arti alla Consulta di Lione, recandosi in quella città e successivamente a Parigi.
Qui, soggiornando quattro mesi con Giuseppe Longhi, Andrea Appiani e Giuseppe Bossi, che certamente lo coinvolsero nell’interesse al gusto neoclassico, ebbe modo di visitare gli atelier e le collezioni più importanti di stampe, di entrare in contatto con gli incisori Johann Georg Wille e Charles-Clément Bervic, di conoscere Jacques-Louis David, Antoine-Jean Gros e François Gérard, e di verificare il disegno della Deposizione del Correggio sul dipinto originale requisito dai francesi, tratto a Reggio Emilia da una copia di Agostino Carracci della collezione Trivelli (Vallardi, 1830, p. 88).
Al suo rientro (1802) fu subito coinvolto nella commissione per l’istituzione di due Accademie nazionali di belle arti volute dalla Repubblica italiana con sedi a Bologna e Milano.
Con l’appoggio di Marescalchi, nel 1804 Rosaspina iniziò l’incisione della Danza degli amorini di Francesco Albani, lavoro lungamente protrattosi fino al 1812 a causa di varie traversie (Preti Hamard, 2005, pp. 84 s.), e che può considerarsi tra i suoi capolavori per la delicata trama segnica dell’acquaforte. L’anno seguente, in occasione del viaggio a Milano per partecipare alla nomina di Napoleone a re d’Italia, Rosaspina accettò da Longhi di condividere il lavoro incisorio dei Fasti Napoleonici di Appiani eseguiti per la decorazione pittorica del Palazzo reale (oggi perduta), impresa licenziata nel 1811 e condotta con l’aiuto del fratello Giuseppe, di Giuseppe Benaglia e di Michele Bisi (trentacinque tavole incise quasi tutte dai Rosaspina per il compenso straordinario di 91.620,66 lire italiane). Non era la prima volta ch’egli affrontava il tema napoleonico: suoi un Ritratto di Napoleone (1800) a ricordo dell’aggregazione di questi all’Istituto di scienze di Bologna e la grande acquaforte del Giuramento dei Sassoni a Napoleone dal dipinto di Pietro Benvenuti.
Gli anni che seguirono furono segnati dalla perdita di famigliari e di amici più stretti: nel 1811 morì la moglie, seguita due anni dopo da Bodoni, al quale Rosaspina dedicò un ritratto derivato da Appiani e usato in antiporta al Manuale tipografico del cavaliere G.B. Bodoni (Parma 1818) e L’apoteosi di Bodoni, tratta dal disegno di Bossi (1818). Egli continuò l’attività incisoria fino agli anni Trenta – su commissione dell’editore Gian Mario Artaria di Vienna incise Il Giudizio Finale da Rubens (1825-27) e partecipò a La Reale Galleria di Torino illustrata da Roberto d’Azeglio con il San Pietro e il Figliuol prodigo del Guercino e all’Imperiale e Regia Galleria Pitti di Luigi Bardi (1836-38) – per poi dedicarsi quasi esclusivamente al disegno nell’ultimo decennio, a causa di sopravvenuti problemi agli occhi.
L’impresa che maggiormente segnò gli ultimi venti anni della sua attività fu la raccolta della Pinacoteca della Pontificia Accademia di Belle Arti in Bologna (sei incisioni all’anno per un totale di settantadue, di cui ventisei di sua mano, uscite a dispense fino al 1830). Per il progetto, da lui interamente finanziato, Rosaspina si occupò della scrittura dei testi e dei disegni dai dipinti da lui selezionati, incisi all’acquaforte con il fratello, il cognato Asioli e i migliori allievi della sua scuola: Giulio Tomba, Antonio Marchi, Gaetano Guadagnini. Fin dai primi fascicoli l’opera si rivelò un enorme successo a livello europeo, specialmente tra gli inglesi, presso i quali egli trovò ampio apprezzamento (nel 1828 George Hayter eseguì il suo ritratto lasciandolo in dono all’Accademia di belle arti di Bologna).
Il 2 settembre 1841 morì nella sua villa di Quarto di Sopra a Bologna e due giorni dopo furono svolte le esequie in S. Maria Maddalena alla presenza dell’intero corpo accademico.
Fonti e Bibl.: G. Vallardi, Catalogo di quadri appartenenti a Giuseppe Vallardi..., Milano 1830, p. 88; A. Bolognini Amorini, Memorie della vita e delle opere di F. R., incisor bolognese, Bologna 1842; A. Cappi, Biografia del prof. F. R., in Museo scientifico, letterario ed artistico..., V, Torino 1843, pp. 410-412; D. Vaccolini, F. R., in L’Album, X (1843), 26, pp. 201 s.; M. Dall’Acqua, La conversazione del mio amatissimo Correggio. Progetti editoriali e sperimentazione artistica di grafica di riproduzione nel carteggio di F. R. con Andrea Mazza e Giovan Battista Bodoni, in Il Carrobbio, XIV (1988), pp. 135-146; F. Fiorani F. R. in L’acquatinta e le tecniche di resa tonale, a cura di G. Pezzini Bernini, Roma 1989, pp. 133-142; A. Bernucci - P.G. Pasini, F. R. incisor celebre, Cinisello Balsamo 1995 (con bibliografia); Artificio et elegantia. Eine Geschichte der Druckgraphik in Italien von Raimondi bis Rosaspina, a cura di E. Leuschner - A. Brunner, Regensburg 2003, pp. 11, 178 ss.; Parmigianino tradotto: la fortuna di Francesco Mazzola nelle stampe di riproduzione fra il Cinquecento e l’Ottocento (catal., Parma), a cura di M. Mussini - G.M. De Rubeis, Cinisello Balsamo 2003, p. 82 ss.; A. Imolesi Pozzi - A. Verfasser, I disegni di Parmigianino nelle incisioni di F. R. del fondo Piancastelli di Forlì, in Grafica d’arte, XVI (2005), 62, pp. 16-19; M. Preti Hamard, Ferdinando Marescalchi (1754-1816). Un collezionista italiano nella Parigi napoleonica, I, Bologna 2005, p. 79 ss.; E. Borea, Lo specchio dell’arte italiana, Pisa 2009, pp. 568-575; Z. Davoli - C. Panizzi, F. R., in La raccolta di stampe Angelo Davoli. Catalogo generale, VIII, Reggio Emilia 2012, pp. 119-136; M. Paoli, Inedita rariora, I, Un disegno preparatorio di F. R. raffigurante Ariosto (1807), in Rara volumina, XX (2013), 1, pp. 7-11.