ROVIGO, Francesco
ROVIGO, Francesco (Franceschino). – Nacque a Mantova nel 1541-42 (l’anno si deduce dall’atto di morte).
Mancano notizie circa la sua formazione, ma la florida vita musicale mantovana del Cinquecento deve aver permesso a Rovigo di fare importanti esperienze: in cattedrale era maestro di cappella Giachetto da Mantova (Jacques Collebault); dal 1562 al 1572 fu eretta la basilica palatina di S. Barbara, e Girolamo Cavazzoni subentrò a Graziadio Antegnati nella realizzazione dell’organo; Giaches de Wert era maestro di cappella a corte.
Il duca Guglielmo Gonzaga doveva apprezzare Franceschino – così veniva chiamato – se nel 1570 lo mandò a Venezia a studiare con Claudio Merulo. Nel 1573 il musicista divenne il primo organista titolare di S. Barbara, ruolo d’impegno. In quegli anni, per volontà di Guglielmo, si stavano elaborando per la basilica la liturgia particolare (approvata nel 1583) e l’apposito repertorio: furono compilati codici di canto fermo e fu commissionata a diversi musicisti la composizione di ‘messe mantovane’ (alternatim tra le melodie del Kyriale e la polifonia). Rovigo ne fornì quattro, mostrando soda ed elegante abilità nel contrappunto, attenta alle nuove sensibilità armoniche. Nel patrimonio manoscritto della basilica (conservato oggi nel Conservatorio di Milano e nell’Archivio capitolare del Duomo di Mantova, depositato nell’Archivio storico diocesano) compaiono anche una Passione secondo Luca, litanie, un Magnificat e salmi di Rovigo.
Nel 1581 pubblicò, dedicandolo al duca Guglielmo, il primo libro di madrigali a 5 voci, composti su sonetti e stanze di Luigi Tansillo, Sebastiano Erizzo, Pietro Barignano e Domenico Veniero, e su madrigali di Remigio Fiorentino, Torquato Tasso e Giovan Battista Amalteo. Tra il 1579 e il 1582 ebbe per allievo Otto Servatius Rorif, figlio dell’organista di corte di Innsbruck. Nell’aprile del 1582 suonò in cattedrale per le nozze di Anna Caterina Gonzaga e Ferdinando II, arciduca dell’Austria anteriore e conte del Tirolo, e si recò poi a Innsbruck per i festeggiamenti nuziali, dando probabilmente seguito a trattative già in atto in vista di un cambio d’impiego. Carlo II arciduca dell’Austria interiore, imparentato sia con i Gonzaga sia con il duca di Baviera, desiderava costituire a Graz una buona cappella musicale, con apporti italiani e bavaresi: nel 1581, dopo Annibale Padovano, aveva assoldato il veneziano Simon Gatto, che a Monaco aveva lavorato con Orlando di Lasso. Così Rovigo, per la sua formazione, apparve un ottimo acquisto: ottenuta licenza da Mantova, il 1° maggio 1582 risulta assunto come organista a Graz. Il ben remunerato incarico – la sua paga era inferiore solo a quella di Padovano – comprendeva l’istruzione musicale dei figli dell’arciduca. Il principe ereditario Vincenzo Gonzaga non approvava tuttavia tale situazione, e nel luglio 1583 scrisse a Rovigo che la licenza era stata concessa solo per pochi mesi, e che egli doveva rientrare a Mantova come promesso. L’organista rispose chiedendo di poter restare a Graz, giacché temeva di offendere l’arciduca e apparire «instabile», sostenendo peraltro di aver ottenuto licenza per qualche anno: mantenne dunque il posto.
Il suo madrigale Liete le muse a l’ombra comparve nella famosa raccolta Il lauro verde in onore di Laura Peperara, promossa da Torquato Tasso (Ferrara, Baldini, 1583). Nel Secondo libro delle canzoni a 3 voci di Lodovico Torti (Venezia, Vincenzi e Amadino, 1584) sotto il nome, altrimenti ignoto, di Giovanni Rovigo figura una canzone, Tutta sareste bella, che viene generalmente attribuita a Francesco (Federhofer, 1953, p. 217; Fink, 1977, pp. 31, 202). La raccolta Sdegnosi ardori (Monaco, Berg, 1585), che contiene 31 brani a 5 voci sui versi del famoso madrigale di Battista Guarini Ardo sì, ma non t’amo composti a gara da 28 musicisti – la maggior parte di essi, come Orlando, Ferdinando e Rodolfo di Lasso, Jacob Regnart, Antonio Morari, collegabili in modo diretto o mediato alla corte bavarese –, include due diverse versioni di Rovigo: della prima, non priva di slanci espressivi in linea con la produzione italiana coeva, sopravvive anche un contrafactum latino, in una copia conservata ad Augusta (Laudem te in aeternum; ed. in Settings of “Ardo sì” and its related texts, a cura di G.C. Schuetze, I, Madison, Wis., 1990). Franceschino non veniva comunque dimenticato in patria: nel 1588, nella collettanea di «Musici mantovani nativi» intitolata L’amorosa caccia (ed. a cura di S. Lanzo, Bologna 2014), uscì il madrigale Misera, che farò, poi che mi moro.
Quanto alla musica da chiesa, restano in manoscritto la messa Susanne un jour (sulla chanson di Orlando di Lasso), due Magnificat (ed. a cura di G. Gruber, in Parodiemagnificat aus dem Umkreis der Grazer Hofkapelle (1564-1619), Graz 1981), il mottetto a 8 voci Laudate Dominum in sanctis eius, dalla scrittura distesa e solenne (ed. a cura di M. Fink, in Three motets for 8 voices, Graz 1979). Della produzione strumentale, influenzata dallo stile transalpino e interessante per lo sviluppo compositivo, rimane una ristampa milanese senza data (ma post 1613) della Partitura delle canzoni da suonare a 4 e a 8 di Rovigo (sette brani) e Ruggier Trofeo, forse allievo suo (dodici brani; ed. a cura di J. Ladewig, New York 1988; la prima edizione è stata ipoteticamente collocata nel 1583, cfr. Fink, 1977, p. 204). Altre presenze in raccolte sono registrate in ambiente milanese (Francesco Rognoni Taeggio incluse La Biuma nelle sue Canzoni francese del 1608) e bavarese (Rodolfo di Lasso inserì una toccata nel suo Libro di partitura et intavolatura di instrumento, manoscritto databile al 1600 circa; Vienna, Biblioteca nazionale, cod. 10110).
A partire dal 1585 il musicista ebbe problemi economici, a cui si aggiunsero, nel 1589, quelli di salute: cercò dunque di tornare in Italia per curarsi. Senonché l’allievo Andreas Rorif e un altro suo studente, il figlio di Cesare Bendinelli (trombettiere a Monaco), sottrassero al maestro una grossa somma di denaro e tentarono di avvelenarlo: i giovani vennero allontanati, ma il recupero dei soldi ebbe tempi molto lunghi, e nel marzo del 1590 Rovigo si lamentò con l’arciduca Carlo per le notevoli difficoltà in cui versava, aggravate dalle necessità dei parenti mantovani. L’Asburgo morì nel luglio del 1590; a novembre Rovigo riuscì a ottenere 429 fiorini e 35 corone. Ma l’arciduchessa intendeva ridurre la cappella, né si presentavano prospettive di assunzione in zona e la salute declinava, sicché Rovigo decise di tornare in patria. Da una lettera di Aurelio Pomponazzo del 26 gennaio 1591 si ricava che Franceschino stava per arrivare a Mantova e aveva lasciato a Venezia 1300 scudi da trasferire in città. La sua situazione non era dunque disagiata, e si comprende meglio quanto scrisse poi Claudio Monteverdi in lettere del 1601 e del 1608, definendo da un lato Rovigo «eccellente» e dall’altro adducendolo tra gli esempi di ottime retribuzioni: alla morte, dice, avrebbe accumulato 7000 scudi.
La stima dei Gonzaga per Rovigo sembrava immutata: riprese il ruolo di organista in S. Barbara e nel 1591 fu coinvolto, con Giaches de Wert, nella composizione delle musiche per una messinscena del Pastor fido di Guarini che però non ebbe luogo, talché il lavoro andò perduto. Un ultimo riconoscimento si registrò nel 1592: tra le sei Missae dominicales a 5 voci sulla Missa in dominicis diebus del Kyriale barbarino (Milano, Tini, a cura del carmelitano mantovano Giulio Pellini, con dedica ad Alfonso II duca di Ferrara) ve n’è una di Rovigo, accanto a Wert, Giovanni Contino, Giovan Giacomo Gastoldi, Alessandro Striggio e al Palestrina. Nel codice delle messe mantovane di S. Barbara compilato e ornato da Francesco Sforza è compresa la sua Missa in duplicibus maioribus, insieme a quattro del Palestrina e una di Gastoldi. In un altro codice barbarino di messe alternatim (assieme a Contino e Wert) si trova una Missa Apostolorum, e tra le Missae in feriis per annum è contenuta la Die Mercurii (ed. in The Gonzaga masses, a cura di O. Beretta, I, Rome-Neuhausen 1997, pp. 102-143, 144-184, 185-221; III, [S.l.] - Holzgerlingen 2000, pp. 29-38). Il codice polifonico compilato da Sforza nel 1614-16 contiene una Missa Octavi Toni che, pur non essendo alternatim, utilizza il cantus firmus della Missa in duplicibus maioribus del Kyriale mantovano: Kyrie, Sanctus e Agnus Dei vanno sotto il nome di Francesco Rovigo, Gloria e Credo di Antonio Taroni.
Morì nel 1597. Il funerale, il 7 ottobre, fu condecorato da una solenne processione. Il musicista fu sepolto in S. Barbara, all’altare di san Giovanni, di fronte a Wert (deceduto l’anno prima).
Girolamo Borsieri (1588-1624), erudito comasco con studi musicali, ha parole di considerazione per Rovigo, sia nel Supplimento della nobiltà di Milano (Milano 1619) sia in una lettera indirizzata a Ruggier Trofeo, di cui fu allievo (Como, Biblioteca comunale, Mss., Lettere accademiche, le historiche e le famigliari di Girolamo Borsieri dal MCDVI al MDCXVI): nella prima testimonianza accosta Palestrina e Rovigo, discutendo di «sodezza»e «leggiadria» in musica; nella seconda ricorda «le todeschine [...] canzoni da sonarsi» secondo lo stile portato da Franceschino dalla Germania in Italia (cfr. Pavan, 2007, pp. 409 s.). Nella sua autobiografia Ludovico Zacconi, che era stato studente a Mantova nel 1583 con Ippolito Baccusi e poi cantore a Graz nel 1585-90, definì Rovigo eccellente tanto nel suonare quanto nel comporre; nella Prattica di Musica lo ricorda come insegnante all’organo che consiglia di possedere «la partitura de’ Concerti, [...] che questo è il vero modo di studiare» (cfr. Owens, 1984).
Fonti e Bibl.: Vari documenti con relativa segnatura archivistica sono descritti nel database on-line Herla (www.capitalespettacolo.it); L. Zacconi, Vita con le cose avvenute al p. baccelliere fra Lodovico Zacconi da Pesaro (1625), a cura di F. Sulpizi, San Venanzo 2005, p. 87; H. Federhofer, Matthia Ferrabosco, in Musica Disciplina, VII (1953), pp. 205-233; W. Senn, Musik und Theater am Hof zu Innsbruck, Innsbruck 1954, pp. 92, 134; H. Federhofer, Musikpflege und Musiker am Grazer Habsburgerhof der Erzherzöge Karl und Ferdinand von Innerösterreich, Mainz 1967, pp. 50, 127, 257-262; P.M. Tagmann, La cappella dei maestri cantori della basilica palatina di Santa Barbara a Mantova (1565-1630), in Civiltà mantovana, IV (1970), pp. 376-400; M.A. Fink, The life and Mantuan masses of F. R. (1541/42-1597), diss., University of Southern California, 1977; I. Fenlon, Music and patronage in sixteenth-century Mantua, I-II, Cambridge 1980-1982, ad ind. (trad. it. del solo vol. I: Musicisti e mecenati a Mantova nel ’500, Bologna 1992); J.A. Owens, The Milan partbooks: evidence of Cipriano de Rore’s compositional process, in Journal of the American Musicological Society, XXXVII (1984), pp. 294 s.; S. Parisi, Ducal patronage of music in Mantua, 1587-1627: an archival study, diss., University of Illinois, 1989; C. Monteverdi, Lettere, a cura di É. Lax, Firenze 1994, pp. 13, 22; J. Chater, «Un pasticcio di madrigaletti?». The early musical fortune of “Il pastor fido”, in Guarini, la musica, i musicisti, a cura di A. Pompilio, Lucca 1997, pp. 148, 152, 180; The new Grove dictionary of music and musicians, XXI, London-New York 2001, pp. 815 s.; Die musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XIV, Kassel 2005, coll. 561 s.; F. Pavan, «Un curioso ravolgimento di precetti». La musica negli scritti di Girolamo Borsieri, in Carlo Donato Cossoni nella Milano spagnola, a cura di D. Daolmi, Lucca 2007, pp. 409 s., 422; L. Mari, Il diario di Santa Barbara (1561-1602): prima ricognizione di un’inaspettata fonte mantovana, in Barocco padano 5, a cura di A. Colzani - A. Luppi - M. Padoan, Como 2008, pp. 469-503; Id., Prassi esecutiva nella cappella palatina di Santa Barbara: alcune riflessioni, in Barocco padano 6, Como 2010, pp. 253-268.