SACCHINI, Francesco
– Nacque a Paciano, in provincia di Perugia, il 10 novembre 1570.
Il suo ingresso al noviziato della Compagnia di Gesù è registrato l’8 ottobre 1588 nel verbale della Provincia romana dell’Ordine: l’anonimo copista si limitava a segnalare l’umile corredo di effetti personali che il giovane recava con sé (Roma, Archivum historicum Societatis Iesu, Rom., 171a).
Non sono ben documentati i passaggi della vita successiva e del suo apprendistato gesuitico: è certo un breve periodo di insegnamento di grammatica a Firenze (1591-94), dopo il quale fu chiamato a insegnare umanità e retorica al Collegio romano, centro nevralgico del sistema educativo gesuitico, dove rimase fino al 1603 e presso cui nel frattempo ebbe modo di approfondire lo studio di filosofia e teologia (Roma, Pontificia Università Gregoriana, Origine del Collegio Romano e suoi progressi (1551-1743), ms. 142, f. 51r).
Ordinato nel 1600, Sacchini prese il quarto voto gesuitico il 21 novembre 1607 a Roma. Nel 1601 era stato chiamato da Claudio Acquaviva, quinto preposito generale della Compagnia di Gesù, a tenere l’orazione funebre davanti al papa Clemente VIII e all’intero collegio cardinalizio del generale pontificio Giovan Francesco Aldobrandini, morto di malaria nella campagna contro i turchi in Ungheria e di cui lo storico gesuita si sforzava di far emergere il forte eroismo cristiano. Lo stile, la disciplina e la robusta erudizione dell’orazione, pubblicata nel 1602, impressionarono Acquaviva convincendolo a trasferire Sacchini alla casa dei novizi di S. Andrea al Quirinale di Roma. Insieme ad altri giovani studiosi gesuiti, Sacchini doveva affiancare l’anziano Nicola Orlandini nella redazione della storia della Compagnia; alla morte di questi (1606), fu lo stesso Acquaviva a incaricare Sacchini di portare a compimento il primo volume dell’Historia Societatis Iesu dedicato al magistero ignaziano (Roma 1614) e procedere alla stesura dei successivi.
Sacchini dedicò tutte le proprie energie alla composizione della storia ufficiale della Compagnia di Gesù, scrivendo in rapida successione il volume sul generalato di Diego Laínez (Historia Societatis Iesu. Pars secunda sive Lainius, Antverpia 1620), poi quelli su Francisco Borgia (la prefazione di Sacchini è del 1622) ed Everardo Mercuriano (usciti postumi ed entrambi a Roma: il primo nel 1649, l’altro nel 1652). Prima della morte aveva anche predisposto le schede per procedere alla compilazione della monumentale vita di Acquaviva che venne poi ultimata «res extra Europam gesta et alia» dai gesuiti francesi Pierre Poussin (Tomus prior, Roma 1661) e Joseph de Jouvancy (Tomus posterior, Roma 1710). Quest’ultimo, in particolare, introducendo il volume non risparmiò critiche per il colpevole abbandono in cui era stata lasciata la documentazione approntata da Sacchini.
A circa ottant’anni dalla fondazione ignaziana, il lavoro storiografico di Sacchini rappresentava un intelligente, minuto e caparbio tentativo di rilanciare con più ambizione l’impresa iniziata da Orlandini e fornire non una semplice cronaca autoelogiativa della giovane comunità gesuitica, ma un ingente deposito di esperienze e dottrina capace di colmare il divario con la consolidata storiografia degli altri ordini. Nel disegno complessivo della sua opera poteva leggersi la volontà di evidenziare la sostanziale continuità dei generali con la linea d’azione di Ignazio di Loyola (canonizzato nel 1622), l’afflato universalistico che fin dalle origini accompagnava lo slancio missionario e pedagogico dei gesuiti, a cui faceva da contrasto la decisa caratterizzazione nazionale ed eurocentrica della struttura narrativa dei volumi. Lo storico gesuita insisteva inoltre sull’enorme devozione che circondava i martiri della Compagnia e i suoi santi, ribadendo la natura spirituale del modo di procedere gesuitico, nel tentativo di disinnescare la lettura tutta politica dei suoi detrattori. Un uso della storia volto ad alimentare la vocazione all’esterno e compattare l’Ordine al proprio interno, secondo l’ispirazione che aveva guidato il generalato dello stesso Acquaviva, costretto a misurarsi con dispute intestine alla Compagnia che qualche anno prima l’avevano portata vicino alla soppressione. Nel dare alle stampe il volume dedicato proprio ad Acquaviva, Poussin lodò ampiamente il lavoro di Sacchini, riscontrando nel suo metodo di indagine storica la serietà e il rigore del modello spirituale ignaziano. Questo giudizio fu condiviso da altri autorevoli studiosi della Compagnia, primo fra tutti Girolamo Tiraboschi, che nella sua Storia della letteratura italiana citò Sacchini fra gli storici più colti appartenuti agli Ordini religiosi. Allo stesso modo, nel Novecento, Pietro Tacchi-Venturi (1936) ha riconosciuto all’antico confratello acutezza e senso del dovere storiografico, avvertendo «vivissimo il rispetto della verità storica» (p. 393).
Non mancarono critiche all’architettura complessiva della sua Storia della Compagnia. Sacchini fu censurato e costretto a riscrivere in parte il secondo volume per aver fatto riferimento a Laínez come ‘cristiano nuevo’, pubblicizzando quindi ingenuamente la radice ebraica del successore di Ignazio (A.A. Sicroff, Los estatutos de limpieza de sangre: controversias entre los siglos XV y XVII, Madrid 1985, pp. 334-336). Ben più ampia fu la polemica montata all’inizio del XVIII secolo, quando Joseph de Jouvancy, in vista della prosecuzione del lavoro sulla Compagnia di Acquaviva, predispose una sorta di questionario da inviare alle diverse Assistenze dell’Ordine per avere notizie e giudizi su quanto fino ad allora era stato scritto: un’autentica valanga di critiche si abbatté su Sacchini e la sua ricostruzione storica, che molto spesso si risolvevano in puntigliose segnalazioni di refusi e dimenticanze (Roma, Biblioteca nazionale, Mss. gesuitici, 1328); o in rampogne per il tono «succinto y sentencioso» provenienti soprattutto dal ramo spagnolo della Compagnia che perpetuava così la lotta contro il generale italiano e il suo biografo.
Tanto i sostenitori quanto i detrattori dell’opera di Sacchini potevano comunque trovare in ognuno dei suoi testi la spiegazione del valore da lui attribuito all’indagine storica. A suo giudizio la storia aveva una valenza essenzialmente pragmatica nell’investigazione umana; andava ricondotta a una superiore verità divina che agisce la vita umana lasciando ai suoi interpreti terreni, il papa e la Compagnia, il potere di orientarla. Il sapere storiografico doveva coincidere con il disegno divino e a tal scopo l’ufficio dello storico era di selezionare gli eventi ipotetici, ma verosimili e scartare le fonti probabili che turbavano l’armonia di fondo. Il miracolo andava ricondotto nel percorso umano. La semplice verità storica, i fatti umani non rischiarati dall’intervento celeste, divenivano al contrario un elenco irrilevante senza valore esemplare ai fini dell’indirizzo della comunità civile. Lo storico era un semplice mediatore, i suoi testi «tabulae mutae sunt, ignava lineamenta» (Historia, p. 1).
Il manifesto del particolare metodo di Sacchini è contenuto nella lettera a un confratello del 6 marzo 1616; qui il gesuita distingueva fra l’Historia simpliciter da marginalizzare perché superflua e la Historia selecta, decisamente da perseguire, secondo categorie già sistematizzate da Antonio Possevino: «la retorica sacra vuole intervenire sulle strutture del mondo quale esso è, mira addirittura a creare un suo nuovo individuo, valendosi del processo imitativo della vita del santo» (Imbruglia, 1989, p. 41). È un modello retorico che Sacchini perseguì anche nella produzione storica minore, di biografo al servizio della Compagnia, redigendo vite di gesuiti illustri la cui cifra stava nell’ammantare di grazia divina la devozione umana. È il caso di lavori editi come quello su Kostka (Vita B. Stanislai Kostkae Poloni e Societate Iesu, Ingolstadii 1609; trad. it. Roma 1610), Aloisio Gonzaga (Monachii 1630), Pietro Canisio (Ingolstadii 1616) e altre biografie lasciate manoscritte (fra cui merita di essere segnalata quella su Claudio Acquaviva: Roma, Archivum historicum Societatis Iesu, Vitae,146, ora in Guerra, 2001; e un quaderno con la vita e il martirio di Rodolfo Acquaviva e dei suoi confratelli, uccisi nel 1583 nel villaggio di Cuncolim in India). Nei materiali preparatori di questi lavori conservati nell’archivio gesuitico, la griglia di domande poste a quanti nel corpo della Compagnia avessero conosciuto i protagonisti dei suoi lavori, serviva ad abbozzare un primo schema di lavoro a cui poi Sacchini aggiungeva eloquenza, moderazione, conformità all’esempio ignaziano di cui lo storico aveva bisogno per oggettivizzare la perfezione gesuitica.
Di notevole interesse sono anche gli studi di pedagogia scritti da Sacchini. Senza mettere in discussione il sistema fornito dalla Ratio studiorum gesuitica (1599), queste opere possono esser lette come compendio di un’intensa attività svolta nel sistema educativo della Compagnia di Gesù (De ratione libros cum profectu legendi libellus, deque vitanda moribus noxia lectione. Accedit modus pie atque christianè studendi, Roma 1613; Modus utiliter studendi, Wirceburgi 1614; Protrepticon ad magistros scholarum inferiorum Societatis Iesui, Roma 1623; Paraenesis ad magistros scholarum inferiorum Societatis Iesu, Roma 1625). Il disegno complessivo che ne viene fuori è lo specchio della strategia pedagogica della Compagnia.
Il De ratione – che conobbe varie edizioni e fu tradotto in francese (Paris 1785) e in tedesco (Karlsruhe 1832) – è forse il libro più solido e deve molto alla personale esperienza di insegnante. Non mancano, tuttavia, spunti di riflessione più generale di metodologia, a partire dall’importanza accordata alla scrittura come strumento di apprendimento, secondo il costume classico di scrivere non solamente per conservare i testi ma per apprenderli. Critico verso l’accumulazione indiscriminata di volumi che soddisfaceva il puro dato esteriore del sapere, per lui il libro doveva essere letto, compreso. A tal fine, istruiva i propri allievi a conoscere e approfondire la vita dell’autore, la sua epoca storica, senza lasciarsi cogliere dalla frettolosità nel giudizio: «non condannare facilmente scrittori e neppure editori e tipografi; non farsi cogliere immediatamente dal desiderio di correggere ciò che non si comprende» (in Cevolini, 2006, p. 149). Nel libro, che è pieno di riferimenti al proprio apprendistato formativo, Sacchini ricordava di aver sempre stimolato i propri studenti a inseguire un metodo sicuro di prendere gli appunti, a trascrivere brani, glossare il testo per esercitare la memoria e assimilare al meglio ciò che leggevano. Molta cura Sacchini riponeva anche nella lettura: leggere è un esercizio quotidiano necessario per la mente, come nutrirsi lo è per il corpo; leggere a voce alta diveniva una misura di profilassi per potenziare la voce e il corpo nel movimento. Ugualmente significativi i lavori destinati alla formazione più precisa dei maestri delle scuole gesuitiche al fine di consentire loro di trarre il miglior profitto dagli alunni armonizzando le differenze sociali e culturali di provenienza. L’insegnamento si configurava come una specifica missione del gesuita nella produzione di sapere e nel controllo della sua riproducibilità, nella convinzione che la prima formazione dei fanciulli fosse essenziale alla famiglia, alla religione e allo stato cristiano. Soprattutto i maestri delle classi inferiori dovevano recuperare la dignità di un mestiere decisivo per la Società con l’ambizione di saper fondere la grammatica e la dottrina cristiana. Sacchini considerava il fanciullo nella sua enorme potenza di apprendimento, una capacità e plasmabilità che solo un saggio e prudente maestro poteva orientare per farne un suddito devoto. Per assolvere al proprio compito, Sacchini esortava i maestri a mettersi in gioco, a studiare, ripetere le lezioni senza adagiarsi; e come criterio di docenza di non usare la forza ma la persuasione dolce, l’esempio morale più che il castigo. Il maestro doveva guadagnarsi il rispetto dei propri ragazzi senza solleticarne la vanità magari incentivando la competizione fra loro: ogni allievo trovava un aemulus con il quale gareggiare in una tensione continua ad apprendere e migliorarsi imparando a dominare le passioni.
Nel 1619 il nuovo padre generale, il romano Muzio Vitelleschi, lo volle come proprio segretario della Compagnia («Il Sacchini mi pare che sia un esemplare perfetto di tutte le virtù: ma in lui però in grado eccellente risplende l’umiltà e la modestia», G.A. Patrignani, Menologio di pie memorie d’alcuni religiosi della Compagnia di Gesù, IV, Firenze 1730, p. 133).
Sacchini morì a Roma il 16 dicembre 1625.
Fonti e Bibl.: L’Archivum historicum Societatis Iesu, a Roma, oltre a varie lettere, conserva molta documentazione originale di Sacchini utile alla comprensione del suo metodo di lavoro: Hist. Soc.,72-83 sono i libri manoscritti dei diversi volumi che compongono la Historia Societatis da Laínez ad Acquaviva (i libri 84 e 85 contengono gli appunti e le aggiunte alle schede di Sacchini in vista della prosecuzione di Poussin e Jouvancy); Hist. Soc.,169 è un quaderno con una fitta trama di appunti e idee per comporre la storia della Compagnia durante il generalato di Acquaviva. Organizzato cronologicamente segue Provincia per Provincia i fatti più significativi interni ed esterni all’Ordine.
G.B. Gerini, Gli scrittori pedagogici italiani del secolo decimosettimo, Torino 1900, pp. 41-59; P. Tacchi-Venturi, F. S., in Enciclopedia Italiana, XX, Roma 1936, p. 393; F. Charmot, La pédagogie des Jésuites: ses principes, son actualité, Paris 1943, pp. 49-55, 354 s., 543-545, 590-592; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, VII, Héverlé-Louvain 1960, coll. 362-8; L. Secco, La pedagogia della Controriforma, Brescia 1973, pp. 202-204, 275 s., 289 s.; La Ratio studiorum. Modelli culturali e pratiche educative dei gesuiti in Italia fra Cinque e Seicento, a cura di G.P. Brizzi, Roma 1981, pp. 10, 81; G. Imbruglia, Dalle storie dei santi alla storia naturale della religione. L’idea moderna di superstizione, in Rivista storica italiana, CI (1989), pp. 35-84; A. Guerra, Un generale fra le milizie del papa. La Vita di Claudio Acquaviva scritta da F. S. della Compagnia di Gesù, Milano 2001; A. Cevolini, De Arte excerpendi. Imparare a dimenticare nella modernità, Firenze 2006, passim (pp. 145-162 la trascrizione dei capitoli 8-13 del De ratione libros cum profectu legendi libellus); A.M. Blair,Textbooks and methods of note-taking in early modern Europe, in Scholarly knowledge, a cura di E. Campi, Geneva 2008, pp. 39-73; A. Prosperi, La vocazione. Storie di gesuiti tra Cinque e Seicento, Torino 2016, pp. 7, 17, 27, 66, 184.