SALATA, Francesco
– Nacque il 17 settembre 1876 a Ossero (od. Osor, in Croazia), piccola località di Cherso (od. Cres), un'isola situata vicino alle coste meridionali della penisola d'Istria (allora provincia dell'Impero austro-ungarico). Era il primo dei cinque figli di Giacomo Salata – negoziante di famiglia benestante e podestà di Ossero dal 1883 al 1901 – e di Costantina Rumich. All'Istria – in cui si formò – Salata rimase sempre sentimentalmente molto legato.
Dal 1889 studiò a Capodistria (Koper in sloveno) – nella parte settentrionale della penisola –presso il Ginnasio giustinopolitano (oggi Ginnasio Gian Rinaldo Carli), scuola di lingua italiana frequentata prima di lui da due celebri storici istriani, Pietro Paolo Kandler e Bernardo Benussi.
Salata e Benussi – assieme a Carlo Combi, Giovanni Quarantotto, Carlo e Camillo De Franceschi – furono gli esponenti più autorevoli di una storiografia istriana erudita e al tempo stesso impegnata nell’asserzione e difesa del carattere italiano della penisola.
Già ai tempi del ginnasio Salata rischiò l’espulsione da tutte le scuole dell'Impero austro-ungarico, in quanto promosse la fondazione a Ossero di un gruppo locale della Lega nazionale, una battagliera associazione fondata nel 1891 – e malvista dalle autorità – che promuoveva la lingua e la cultura italiana in Trentino e nei territori adriatici facenti parte dell'Impero.
Dal 1895 al 1899 studiò alla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Vienna (per un totale di sette semestri) e frequentò anche due semestri estivi all’Università di Graz (nel 1897 e 1899), ma interruppe gli studi e si dedicò prima al giornalismo e agli studi storici, quindi alla politica. Dal 1898 fu redattore de Il popolo istriano, un settimanale di Pola (Pula in croato) – allora città capoluogo dell'Istria – e collaboratore del quotidiano triestino Il piccolo, nel quale il fondatore Teodoro Mayer lo lanciò come esperto di questioni storiche e politiche istriane.
Già durante i suoi studi partecipò a varie conferenze della Società istriana di archeologia e storia patria (fondata nel 1884), a partire da un intervento su Francesco Patrizi – filosofo e scrittore del Cinquecento nativo dell'isola di Cherso – che venne pubblicato – con il titolo Nel terzo centenario della morte di Francesco Patrizio – negli Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria (d'ora in poi AMSI; 1896, 12, 3-4, pp. 455-484), aseguiroto da altri lavori a sfondo archeologico, tra cui Fontes Rerum Austriacarum - Cose dell’Istria (AMSI, 1896, 12, 1-2, pp. 193-215, e 1897, 13, 1-2, pp. 159-190) e Il ripostiglio di danari della repubblica romana scoperto a Ossero (AMSI, 1899, 15, 1-2, pp. 95-151). Con i lavori L’antica diocesi di Ossero e la liturgia slava: pagine di storia patria (1897) e Nuovi studi sulla liturgia slava (AMSI, 1897, 13, 3-4, pp. 421-456), si inserì nel dibattito contro la strumentalizzazione della liturgia paleoslava fatta dai sacerdoti slavi del tempo per favorire l’uso del croato nelle funzioni ecclesiastiche cattoliche in Istria e nell'area immediatamente a sud di essa, quella del golfo del Quarnero (o Quarnaro). Entramb i i lavori si concludevano con una parte corposa dedicata al dibattito contemporaneo, con accuse rivolte al clero sloveno e croato di portare avanti la slavizzazione dell’Istria (posizioni espresse anche in altri suoi scritti del tempo).
Da allora, tutti i suoi lavori di storico furono caratterizzati da attenzione filologica ai documenti coniugata a suggestioni politiche di ispirazione patriottica.
Salata aderì alla Società politica istriana (SPI), fondata nel 1884 da notabili di lingua e identità italiane e che, vicina all’irredentismo legalitario triestino, si esprimeva negli assiomi del liberalismo nazionale italiano in Istria, innanzitutto la superiorità culturale e civile dell’elemento italiano, cui spettava il governo della cosa pubblica. Tale preminenza, che secondo Salata era conforme «alla legge austriaca della rappresentanza politica delle classi e degli interessi», derivava anche dall’importanza numerica e «dalla forza contributiva e dal valore civile» della nazionalità italiana in Istria, superiore alla slava «per possesso, intelligenza e vetusta cultura» (Ziller 1997, pp. 75-76). L’aspirazione irredentista di Salata e della SPI, di cui egli divenne segretario e vicepresidente nel 1903, era declinata in una politica legalista di promozione della cultura italiana in Istria, che si articolava in una lotta per il controllo delle posizioni di potere locale – nei comuni, nella Camera di commercio e nelle istituzioni della provincia (la Dieta, cioè il Parlamento, e la la Giunta, cioè il governo) – così come nel consolidamento dell’uso della lingua italiana nelle amministrazioni e nel settore scolastico.
Nella battaglia per le scuole italiane, Salata si impegnò anche in quanto membro della direzione della Lega nazionale e, dal 1908, in quanto assessore della Giunta istriana con responsabilità degli affari comunali (che comprendevano l’istruzione elementare, le biblioteche e archivi e altri servizi pubblici locali). Diede vita al bollettino mensile Vita autonoma, spedito tra il 1904 e il 1912 ai comuni istriani a guida italiana. Questi erano la grande maggioranza in Istria – benché il numero di persone dichiarate di lingua italiana fosse minore di quelle di lingua croata o slovena – a causa del sistema elettorale di tipo censitario, ma anche grazie a una maggiore esperienza nel controllo della cosa pubblica da parte della componente di lingua italiana. Salata promosse un’azione di coordinamento politico di questi comuni attraverso la Commissione permanente per gli affari comunali. In questo stesso ambito di interesse politico-amministrativo vanno menzionate le sue pubblicazioni Il diritto elettorale politico in Austria: manuale pratico compilato da Francesco Salata (1907) e Il regolamento provinciale e il regolamento elettorale provinciale per l'Istria secondo la nuova legge: manuale pratico compilato da Francesco Salata (1908). Partecipò anche ai tentativi di stipulare con la controparte croato-slovena il cosiddetto compromesso nazionale istriano, teso a sbloccare quel malfunzionamento della Dieta provinciale che era stato causato da contrapposti interessi economici, oltre che dall’annoso problema della lingua d’uso nel consesso, che i deputati croati e sloveni non accettavano fosse esclusivamente l’italiana (v. Un anno di trattative per il compromesso nazionale in Istria: relazione dei membri italiani della Giunta provinciale e della Commissione al compromesso, novembre 1910, 1910). Per raggiungere un consenso più ampio tra la popolazione istriana, nel 1911 fu il promotore della trasformazione della SPI in un partito moderno: l'Unione democratica istriana, chiamata anche Unione nazionale (dal titolo del bisettimanale politico da lui diretto tra il 1913 e il 1914).
All’inizio del 1915 – ovvero pochi mesi dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale, conflitto a cui l'Italia in quel momento non partecipava – grazie a un mandato delle autorità austro-ungariche per l’importazione straordinaria in Istria di generi alimentari dall’Italia, si recò a Roma, e decise di rimanervi, per perorare la causa dell’intervento italiano in guerra. Entrò quindi in contatto con la Commissione centrale di patronato dei fuoriusciti trentini e adriatici. Da allora – anche dopo la fine della guerra – si impegnò nella preparazione di materiali in supporto delle rivendicazioni italiane in Adriatico. Agli inizi del maggio 1915 – quindi poche settimane prima dell’intervento italiano in guerra – pubblicò in forma anonima il volume documentario Il diritto d'Italia su Trieste e l'Istria: documenti, nel quale reclamava «il diritto e dovere d'Italia alla integrazione della sua unità nazionale e del suo dominio adriatico» (p. VII). Il volume era una raccolta di documenti che andavano dalla fine del XVIII secolo alla fine del XIX, «quasi un codice diplomatico della sua causa suprema», e che intendevano dimostrare i diritti italiani in Istria con ragioni fondate sulla storia piuttosto che, come puntualizzava, sulle «ali della poesia, che dall'Alighieri al Carducci consacrò il nostro diritto», o sulla «natura», anche se l’appartenenza della regione all'Italia era innegabile secondo «geografi d'ogni età e d'ogni luogo»; i documenti iniziavano con il Trattato franco-austriaco di Campoformio (1797) e terminavano con il patto della Triplice alleanza tra Italia, Austria-Ungheria e Germania (1882) – due momenti politicamente e simbolicamente cruciali per le ambizioni italiane –, ma non mancavano i riferimenti indiretti ai «secoli più lontani della storia, dalla quale sarebbero ad ogni passo risorti, sacro suggello e ammonimento fatale, l'aquila di Roma e il leon di San Marco» (p. VII).
Nel periodo tra guerra e dopoguerra Salata si impegnò sia come storico delle regioni contese sia come studioso dell’amministrazione e al tempo stesso amministratore diretto al servizio dello Stato italiano. Già nel primo mese della partecipazione italiana in guerra – insieme con altre personalità provenienti dalle 'terre irredente' (termine allora usato per riferirsi ai territori di lingua italiana rimasti all'Austria-Ungheria dopo il 1866) – fu assunto dal Segretariato generale per gli affari civili presso il Comando supremo dell'esercito in zona di guerra, un organismo costituito il 29 maggio 1915 a Udine e diretto da Agostino D’Adamo. Fu chiamato a reggerne l’Ufficio amministrativo – con responsabilità crescenti per quanto riguarda l'azione di governo nei territori mano a mano conquistati dall’esercito, ma anche di pianificazione della loro futura annessione al Regno d’Italia – e divenne vicesegretario generale del Segretariato a combattimenti ultimati. Nel corso del conflitto, per avvalorare le rivendicazioni italiane in Adriatico, produsse diversi materiali per il governo italiano, inizialmente attraverso altre personalità delle terre irredente (come Mayer e il ministro senza portafoglio delle Terre liberate, Salvatore Barzilai), e finì per essere nominato consigliere del presidente del Consiglio in carica dall'ottobre 1917, Vittorio Emanuele Orlando.
Le autorità austriache si rivalsero sulla moglie Ilda Mizzan (che aveva sposato nel 1903) e sulla figlioletta Maria (nata nel 1911), internate per più di un anno (tra il 1916 e il 1917), con conseguenze nefaste per la prima, ammalatasi di tubercolosi e spentasi nel 1922 dopo lunghi periodi tra sanatori e luoghi di riposo.
Dopo la guerra Salata fece parte della delegazione italiana alla Conferenza di pace di Parigi (apertasi nel gennaio 1919), producendo materiali per sostenere le richieste del governo Orlando e contestare le rivendicazioni jugoslave, e nel marzo 1919 ricevette la nomina a prefetto di 2a classe (cioè senza l’assegnazione a una specifica provincia). Il primo governo Nitti (giugno 1919-maggio 1920) accrebbe il suo peso politico, poiché gli venne assegnato (luglio 1919) l’incarico di dirigere l’Ufficio centrale delle Nuove provincie, struttura dipendente direttamente dalla presidenza del Consiglio, che intendeva esercitare un controllo su tutte le questioni di governo in vece dei ministeri e coordinare l’attività dei commissari generali civili instaurati al posto dei governatori militari nella fase di transizione verso la definitiva annessione. Salata si impegnò nel problema dell’adattamento dei territori conquistati alle leggi e strutture del Regno d’Italia, con l’obiettivo di salvaguardare gli aspetti positivi dell’autonomia che questi territori godevano nel regime austro-ungarico; incontrò il favore di Nitti, interessato, come Salata stesso, alla possibilità di sviluppare una riforma più ampia della struttura amministrativa dello Stato.
I progetti di Salata si scontrarono con varie difficoltà burocratiche e politiche, tra cui la contrarietà dei commissari generali civili nelle Nuove provincie ad accettare la sua gestione e coordinamento; si trattava di personalità di alto profilo, come gli ex ministri Luigi Credaro a Trento e Augusto Ciuffelli a Trieste, o il successore di quest’ultimo, il prefetto e consigliere di Stato Antonio Mosconi. Con quest'ultimo, in particolare, Salata ebbe diversi contenziosi sulle rispettive competenze e responsabilità, che rimandavano anche a differenze politiche, in una fase in cui il moderatismo e il liberalismo di Salata erano messi a dura prova dall'aumento del conflitto sociale e dalla crescita del nazionalismo e del fascismo, contrari a ogni concessione alle minoranze germanofone e slave come all’autonomismo e a qualsiasi residuo dell’eredità austro-ungarica. Salata continuò comunque ad avere l’appoggio di Nitti, durante il cui governo fu nominato anche consigliere di Stato e presidente della VI Sezione speciale provvisoria per le Nuove provincie (2 gennaio 1920); poi ebbe quello di Giovanni Giolitti (in carica dal giugno 1920 al luglio 1921), che lo utilizzò nelle trattative italo-jugoslave a Villa Spinola che portarono alla firma del Trattato di Rapallo (12 novembre 1920). Pochi giorni dopo (il 15 novembre) Salata – con altri personaggi delle ex terre irredente – fu proclamato senatore; ebbe in seguito un ruolo importante per la delimitazione dei collegi elettorali delle Nuove provincie per le elezioni politiche del maggio 1921. Durante il primo governo Bonomi (luglio 1921-febbraio 1922), Salata vide il proprio peso politico diminuire, ma riuscì a far instaurare le Commissioni consultive provinciali – guidate dai commissari generali civili – e quella centrale – da lui guidata –, aperte alle maggiori personalità politiche delle diverse aree – anche delle minoranze – e aventi il compito di studiare e approvare i meccanismi per l’annessione dei nuovi territori al Regno d’Italia.
I fascisti – che in più occasioni lo attaccarono in memoriali, sulla stampa e in Parlamento, e nell'aprile 1922 arrivarono ad aggredire la vettura dove viaggiava con la figlia durante una visita a Trento – celebrarono la soppressione, da parte del governo Facta, dell’Ufficio centrale delle Nuove provincie (17 ottobre 1922), che spianò la strada all’annessione definitiva delle ex terre irredente senza alcun riguardo per le loro specificità e tradizioni storiche, amministrative e linguistiche. In difesa del proprio operato – ma anche per instaurare un dibattito su temi di ambito politico, giuridico e culturale – Salata pubblicò il volume Per le Nuove provincie e per l’Italia. Discorsi e scritti con nuovi documenti (1922) e curò il mensile Le Nuove provincie, dalla breve vita (luglio 1922-giugno 1923) ma ricca di proposte sul piano politico e amministrativo, in cui pubblicò alcuni saggi storici da cui avrebbe tratto in seguito lavori più ampi.
Al favore di Benito Mussolini e del regime, Salata si avvicinò come esperto di archivi e storico di ispirazione patriottica, dopo la pubblicazione del fortunato volume su Guglielmo Oberdan contenente i documenti del processo da lui reperiti (Guglielmo Oberdan secondo gli atti segreti del processo: carteggi diplomatici e altri documenti inediti, 1924) e di altri saggi legati a temi risorgimentali, come L'Italia e la Triplice: secondo i nuovi documenti austro-germanici (in Le Nuove provincie, 1923, 2, 1-3, pp. 42-75). Già nel 1924 fu nominato delegato per la ripartizione degli archivi della cessata amministrazione dell'Impero austro-ungarico e degli Stati a esso successori; quindi, in quello stesso anno negoziò e concluse l’accordo archivistico italo-austriaco. Presiedette la Commissione italo-jugoslava per gli archivi e fu nominato membro del Consiglio superiore degli archivi (1928) e presidente della Commissione per il riordinamento e la pubblicazione dei documenti diplomatici (1929), che con il benestare e l'incoraggiamento di Mussolini avrebbero dovuto essere pubblicati in circa 40 volumi, dalla nascita del Regno d’Italia alla Grande guerra. Fu anche nominato direttore del Servizio archivio storico e biblioteca del ministero degli Esteri (1930). Fu membro del Comitato nazionale per la storia del Risorgimento e del Consiglio direttivo dell’Enciclopedia Italiana, e da presidente della Società istriana di archeologia e storia patria (1925) divenne nel 1935 presidente della Deputazione di storia patria per le Venezie, a cui fu associata anche la società istriana.
Ottenne la tessera del Partito nazionale fascista ad honorem nel 1929 – in occasione di un suo discorso commemorative su Carlo De Franceschi tenuto a Pisino d’Istria – e fu iscritto all’Unione nazionale fascista del Senato. Da intellettuale di regime, legittimò una visione del fascismo come il «continuatore, e per certi versi l’esaltatore, dell’opera risorgimentale» (Riccardi 1997, p. 617). Con grande tempestività, nel 1929, l’anno del Concordato tra Stato e Chiesa cattolica, pubblicò Per la storia diplomatica della Questione romana, I, Da Cavour alla Triplice Alleanza. Successivamente, oltre a una riedizione più snella (per la Mondadori) del suo saggio su Oberdan (Oberdan, 1932), produsse vari lavori sul re di Sardegna Carlo Alberto, tra cui il volume Carlo Alberto inedito: il diario autografo del re; lettere intime ed altri scritti inediti (1931), la curatela (con C.M. De Vecchi, G. Masi, A. Colombo, L. Cibrario e A. Codignola) del volume Studi Carlo-Albertini (1933, per la Società per la storia del Risorgimento italiano, cui contribuì con il saggio Il diario di due viaggi di Re Carlo Alberto nel 1836, pp. 145-223) e i saggi Re Carlo Alberto e l’istituzione del Consiglio di Stato: propositi politici e riflessi diplomatici; con note e documenti inediti (in Il Consiglio di Stato: studi in occasione del centenario, I, 1932, pp. 29-163) e Da Carlo Alberto a Vittorio Emanuele II (in Rassegna storica del Risorgimento, 1935, 22, 6, pp. 819-844). Celebrò Mussolini in un volume elogiativo sul 'patto a quattro', ossia il patto di non belligeranza firmato nel giugno 1933 tra Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia (Il patto Mussolini: storia di un piano politico e di un negoziato diplomatico, 1933).
Nel 1934 fu invitato a Vienna per lavorare alla creazione dell’Istituto italiano di cultura, che poi diresse dal 1935. In Austria svolse anche funzioni politiche 'ufficiose' all’ombra dell’ambasciatore Gabriele Preziosi, per poi sostituirlo tra il settembre 1936 e l'ottobre 1937; durante tale mandato si impegnò in una politica, risultata fallimentare – nonché invisa al nuovo ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano – di salvaguardia prima dell’autonomia e poi dell’indipendenza dell'Austria dalla Germania. Nel 1939 fu comunque nominato da Ciano suo consulente storico-diplomatico e consulente per gli studi storici sulla politica estera, per gli archivi diplomatici, per le ricerche e le pubblicazioni di documenti diplomatici. Per sostenere la politica estera aggressiva dell’Italia in ambito sia coloniale sia europeo, pubblicò per l’Istituto per gli studi di politica internazionale (del cui Consiglio di amministrazione fu membro dal 1935) le monografie storiche: Il nodo di Gibuti: storia diplomatica su documenti inediti (1939), Nizza fra Garibaldi e Cavour: un discorso non pronunciato e altri documenti inediti (in Storia e politica internazionale, rassegna trimestrale, 1940, 2, pp. 206-229). Nel 1942 e 1943 fu relatore del disegno di legge per l’approvazione del bilancio del ministero degli Esteri e nel 1943 fu nominato presidente della Commissione affari esteri del Senato.
Morì a Roma il 10 marzo 1944.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico del Senato della Repubblica, sezione Senato del Regno, Segreteria, Atti relativi alla nomina dei senatori, Fascicoli dei senatori, n. 1975, Francesco Salata; Archivio storico diplomatico del ministero degli Affari esteri, Fondo Salata (circa 230 buste); Archivio centrale dello Stato, ministero dell’Interno, Direzione generale pubblica sicurezza, Divisione polizia politica, Fascicoli personali, busta 1191, Salata Francesco; Il Consiglio di Stato nella storia d'Italia: le biografie dei magistrati (1861- 1948), a cura di G. Melis, Milano 2006, I, pp. 1191-1207.
Gli studi più rilevanti su Salata sono stati condotti da Ester Capuzzo e da Luca Riccardi. Due loro contributi recenti sono nel volume Francesco Salata e le Nuove provincie: nel novantesimo anniversario dell’istituzione dell’Ufficio centrale per le Nuove provincie, Atti del Convegno nazionale e catalogo della mostra documentaria, 10-11 dicembre 2009, Trieste 2011 (E. Capuzzo, Salata tra guerra e dopoguerra, pp. 15-21; L. Ricciardi, Salata ed il fascismo, pp. 23-50)
Di Riccardi si veda innanzitutto la biografia Francesco Salata tra storia, politica e diplomazia, Udine 2001, e inoltre Francesco Salata, il trattato di Rapallo e la politica estera italiana verso la Jugoslavia all’inizio degli anni Venti, in Quaderni giuliani di storia, 1994, 2, pp. 75-91, e Le carte Salata: quarant’anni tra politica e storia, in Quaderni giuliani di storia, 1991, 1-2, pp. 77-92, poi in Il futuro della memoria, Atti del convegno internazionale di studi sugli archivi di famiglie e di persone, Capri 9-13 settembre 1991, Roma 1997, II, pp. 614-628 (in quest'ultimo volume si veda anche il saggio di T. De Vergottini, Gli archivi personali del senatore Francesco Salata e dell’ambasciatore Giuseppe Avarna: fonti per la storia dell’irredentismo e dell’attività diplomatica nella fase precedente l’intervento italiano nella guerra mondiale, II, pp. 558-574).
Di Capuzzo si vedano: Un commis d'état tra guerra e dopoguerra e Francesco Salata e il problema dell'autonomia nelle Nuove province, in Id., Dall'Austria all'Italia: aspetti istituzionali e problemi normativi nella storia di una frontiera, Roma 1996 (rispettiv. alle pp. 77-96 e 97-120); Dalla Dieta Istriana all’Ufficio Centrale Nuove Province: l'esperienza di Francesco Salata, in Id., Alla periferia dell’Impero: terre italiane degli Asburgo tra storia e storiografia (18°-20° secolo), Napoli 2009, pp. 115-127.
Importanti per ricostruire la figura di Salata anche alcuni saggi di Paolo Ziller: Le Nuove province nell'immediato dopoguerra. Tra ricostruzione e autonomie amministrative (1918-1922), in Miscellanea di studi giuliani in onore di Giulio Cervani per il suo XLL compleanno, a cura di F. Salimbeni, Udine 1990, pp. 243-274; Francesco Salata. Il bollettino la “Vita autonoma” (1904-1912) ed il liberalismo nazionale istriano nell’ultima Austria, in Atti - Centro di ricerche storiche, Rovigno, 1995, 25, pp. 423-445; Giuliani, istriani e trentini dall'Impero asburgico al Regno d'Italia: società, istituzioni e rapporti etnici, Udine 1997.
Si vedano inoltre: G. Stefani, Francesco Salata, in Pagine istriane, 1950, 3, 1, pp. 274-280; Dizionario storico-politico italiano, dir. da E. Sestan, Firenze 1971, p. 1121; R. Monteleone, La politica dei fuoriusciti irredenti nella Guerra mondiale, Udine 1972, passim; M.A. Frabotta, G. Salotti, Propaganda e irredentismo nel primo Novecento. Gli opuscoli del fondo bibliografico del senatore Francesco Salata nell'Archivio storico diplomatico del ministero Affari esteri, 1848-1946, Firenze 1990; A. Di Michele, L'italianizzazione imperfetta: l'amministrazione pubblica dell'Alto Adige tra Italia liberale e fascismo, Alessandria 2003, pp. 72, 83-114.