SALOMONE (Salamone, Salamoni), Francesco
SALOMONE (Salamone, Salamoni), Francesco. – Nacque nel 1478 da Riccardo e da Claudia Del Pozzo a Sutera, un piccolo borgo a 40 km circa da Caltanissetta.
La famiglia, di estrazione aristocratica, possedeva un palazzo nel centro cittadino, di cui ancora oggi sono visibili i resti. Istruito in casa dal religioso Girolamo Palminteri, si addestrò precocemente in equitazione e scherma. Il 30 maggio 1494, in occasione delle celebrazioni per la festa del Corpus Domini, ebbe un violento scontro con un membro della rivale famiglia Borghese, che ferì con una stoccata. Temendo di averlo ucciso, fuggì a Palermo, dove prese dimora presso lo zio di secondo grado Antonino.
Esordì quindi nella vita militare. Nel febbraio 1495, il Regno di Napoli era stato in gran parte occupato dall’esercito francese guidato da Carlo VIII, mentre la Sicilia era rimasta sotto il controllo dei sovrani Aragonesi (Alfonso II, che aveva abdicato nel gennaio precedente e si era trasferito a Messina, e suo figlio Ferdinando II, detto Ferrandino). Temendosi un attacco della flotta francese, Salomone fu impegnato nell’ispezione alle torri costiere da San Vito Lo Capo fino a Messina. Le insormontabili difficoltà trovate dai francesi nel consolidamento del dominio sul Regno di Napoli e la veloce riconquista aragonese, con l’aiuto spagnolo, resero superfluo ogni ulteriore sforzo difensivo in Sicilia. Salomone poté riprendere la sua formazione cavalleresca.
Nell’agosto 1497 partecipò a un’importante giostra allestita a Cefalù in occasione della festa del Salvatore e riuscì a sorpresa vincitore. La partecipazione ai tornei, che gli eruditi locali facevano risalire addirittura al passaggio di Enea e dei troiani sull’isola, era particolarmente sentita in Sicilia fra i giovani aristocratici. Salomone vi si impegnò assiduamente, battendosi, sempre con ottimi risultati, a Termini Imerese, Milazzo, Caltagirone, Messina, Catania. Durante una di queste occasioni fece la conoscenza del nobile palermitano Guglielmo Albamonte: insieme, nella primavera del 1498, i due si spostarono a Napoli.
Nel regno, dopo la morte di re Ferrandino, il 7 ottobre 1496, era succeduto sul trono lo zio Federico I. Salomone, che si esercitava presso il maestro di spade Marino Mattina (gentiluomo siciliano che aveva una sala d’armi in via Toledo), prese contatti con la corte, impegnata nel rafforzamento delle difese del regno: ebbe così un nuovo incarico di ispezionare lo stato delle rocche in Campania e in Abruzzo.
Si avvicinava l’ultima stagione del dominio aragonese su Napoli. Il trattato segreto dell’11 novembre 1500 tra il re di Francia Luigi XII e il re di Spagna Ferdinando il Cattolico, con il benestare di papa Alessandro VI, aveva previsto lo smembramento e la spartizione del regno fra i due contendenti. Nell’estate del 1501 i francesi entrarono in Abruzzo diretti verso Napoli e gli spagnoli risalirono la Calabria. Napoli fu perduta prima della fine di agosto: Federico d’Aragona si consegnò il 12 ottobre e cedette a Luigi XII i suoi diritti sulla Corona. Ne scaturirono attriti tra Francia e Spagna: il punto di frizione era costituito dal possesso di Basilicata e Capitanata (l’attuale provincia di Foggia), importante fonte di redditi fiscali, grazie alla dogana delle pecore in transumanza. Nell’aprile 1502 i due eserciti rivali si trovavano uno di fronte all’altro a sud del fiume Ofanto, tra Canosa e Barletta.
Salomone, insieme ad Albamonte, si era arruolato alla fine del 1501 nella cavalleria pesante dell’esercito del nobile romano Prospero Colonna, ingaggiato da Gonzalo Fernández de Córdoba. I primi successi, in estate, erano stati dei francesi, sotto il comando di Louis d’Armagnac, duca di Nemours (nominato viceré di Napoli). Gli spagnoli erano stretti a Barletta e ad Andria. Iniziata la stagione fredda, gli scontri si erano limitati a scaramucce fra le avanguardie, durante le quali si cercava di prendere prigionieri per guadagnarne i relativi riscatti. I contatti fra i contendenti, specie se nobili arruolati nella cavalleria, erano dunque frequenti. Da una di queste occasioni, in particolare dalla prigionia di Charles de La Motte presso Iñigo López de Ayala, comandante della compagnia nella quale militava Salomone, nacque la sfida dei cavalieri francesi agli italiani, affinché dimostrassero di poter sostenere un confronto in campo.
Accettato il confronto, per la parte italiana Colonna selezionò tredici uomini, tra i quali comprese Salomone e Albamonte. Gli altri erano Ettore Fieramosca, Giovanni Bracalone, Giovanni Capoccio, Ettore Giovenale, Marco Carollario, Bartolomeo Fanfulla da Lodi, Pietro Riccio, Romanello da Forlì, Ettore de Pazzis (detto Miale), Mariano Marcio Abignente, Ludovico Abenavoli. I francesi furono invece Charles de Togues (La Motte), Marc de Frignes, Giraud de Forses, Claude Gran Jan d’Asti, Martellin de Lambris, Pierre de Ligie, Jacques de la Fontaine, Eliot de Barant, Jean de Landes, Saccet de Sacet, François de Pises, Jacques de la Guigues, Nante de la Fraise. Fu stabilito che ogni contendente portasse con sé 100 ducati d’oro, che avrebbe dovuto dare alla parte vincitrice insieme al proprio cavallo e alle proprie armi. Come terreno di scontro si scelse una piccola area di proprietà del capitolo metropolitano di Trani, a metà strada fra Ruvo di Puglia e Barletta. Il combattimento si tenne il 13 febbraio 1503, a partire dalle undici e trenta, dopo la messa. Salomone combatté valorosamente, distinguendosi nell’assalto dato a un francese che stava colpendo a morte Albamonte. I cavalieri italiani, dopo tre ore, misero fuori combattimento tutti i cavalieri francesi e la vittoria fu loro assegnata dal collegio di giudici preventivamente istituito. Salomone partecipò quindi al corteo che portava i prigionieri francesi a Barletta. Gonzalo de Córdoba – come fece con gli altri combattenti – gli conferì un cavalierato, dandogli il permesso di inquartare nel suo stemma gentilizio la raffigurazione di tredici collane, in ricordo dell’accaduto. Ebbe anche un premio di 200 ducati d’oro.
Salomone continuò quindi a combattere, ancora nella cavalleria pesante, nella successiva campagna che portò alla definitiva sconfitta francese e all’insediamento degli spagnoli sul trono di Napoli. In maggio, rientrò in Sicilia: a Sutera ebbe un trionfo personale e vi rimase per quasi tutta la successiva estate. All’inizio di ottobre del 1504, infine, si trasferì prima a Roma e poi a Palestrina, entrando al servizio di casa Colonna.
Rientrò nell’esercito spagnolo tra il 1508 e il 1510. Per questi anni, sono documentati pagamenti da parte del Tesoro napoletano per l’incarico di ‘uomo d’arme’ nella compagnia del conte di Potenza Juan de Guevara. Trascorsi circa tre anni tra i feudi colonnesi e Roma, Salomone ebbe licenza e raggiunse la corte estense di Ferrara. Nel 1509, nondimeno, fu protagonista in quella città di un ben documentato duello con l’antico maestro d’armi Marino Mattina, il quale lo accusava di aver compromesso l’onore della figliastra Eleonora al tempo del suo soggiorno napoletano. Lo scontro, combattuto con il solo pugnale, fu autorizzato dal duca Alfonso I d’Este e tenuto in un cortile dello stesso Castello Estense di Ferrara, alla presenza del duca e di sua moglie Lucrezia Borgia, il 12 novembre 1509. Salomone ebbe la peggio e fu dichiarato vincitore il suo avversario. L’oggetto della lite però non fu risolto: il contenzioso addirittura pervenne all’attenzione del Sacro regio consiglio di Napoli, senza che ne scaturisse una definitiva sentenza.
Salomone riprese le armi per il duca di Ferrara, nel 1510, quando il territorio estense fu attaccato da Giulio II e da Venezia (1510-11). Partecipò quindi alla battaglia di Ravenna (11 aprile 1512) dalla parte dei suoi antichi nemici, poiché si trovava al servizio di Alfonso d’Este, alleato della Francia. Presto, tuttavia, cambiò ancora una volta schieramento. Nel 1513, infatti, rientrò nell’esercito di Prospero Colonna, capitano generale dello Stato di Milano (e quindi alleato del re di Spagna). All’inizio di ottobre partecipò alla battaglia della Motta, presso Vicenza, durante la quale il marchese di Pescara Ferdinando Francesco d’Avalos sconfisse i veneziani, alleati della Francia in virtù del trattato di Blois del precedente 23 marzo.
Il successivo impiego di rilevo avvenne alla ripresa delle guerre per il predominio sul Milanese, dopo il 1515 in possesso dei francesi. Dopo l’avvio della campagna intrapresa da Carlo V d’Asburgo e da papa Leone X contro Francesco I, gli fu affidata in particolare la difesa di una parte delle fortificazioni di Parma, tornata sotto il governo della Chiesa e retta dal commissario generale pontificio Francesco Guicciardini. La città fu posta sotto assedio dal filofrancese Federico Gonzaga di Bozzolo dopo la metà di dicembre del 1521. Salomone presidiava il bastione di Stradella, mentre un altro veterano della disfida di Barletta, Pietro Riccio, controllava il cosiddetto Ponte di pietra. I nemici, sprovvisti di artiglieria pesante, tentarono l’assalto scalando le mura il 21 dicembre. Salomone, nonostante fosse ferito, tenne testa valorosamente a tre diversi attacchi, contribuendo a far fallire l’assedio. Ne ebbe in ricompensa la concessione della cittadinanza di Parma e un premio di 3000 scudi d’oro.
Di nuovo a fianco di Prospero Colonna, partecipò successivamente alla battaglia della Bicocca (27 aprile 1522), durante la quale gli imperiali sconfissero i francesi e li allontanarono dal Milanese. Si distinse altresì nel prosieguo della campagna: fu, infatti, nell’esercito che sorprese Novara e partecipò con Prospero Colonna all’assedio e alla conquista di Genova, governata dal filofrancese Ottaviano Fregoso. Fu anzi fra i primi a penetrare nella breccia aperta nelle mura cittadine, nel giorno dell’assalto definitivo (30 maggio 1522).
Nell’estate dello stesso anno, Salomone non riuscì invece nel compito – affidatogli dal governo milanese – di cacciare da Soragna i feudatari marchesi Meli-Lupi. Quindi, a partire dalla primavera 1523 fu a Cremona, della quale i francesi occupavano il castello, cercando di conquistarla interamente. Si attirò accuse da parte del governo municipale di gravare eccessivamente sull’economia con il suo presidio di soldati: nondimeno, riuscì nell’intento di proteggere la città, liberata dalla stretta del nemico in autunno.
Morto il 31 dicembre 1523 Colonna, Salomone perse il suo più influente protettore. Servì ancora per pochi anni sotto Ferdinando Francesco d’Avalos e partecipò anche alla battaglia di Pavia (24 febbraio 1525), che segnò, a un tempo, la fine delle ambizioni francesi sull’Italia e il tramonto della cavalleria pesante come specialità decisiva sul campo.
Si trasferì prima a Parma e poi a Roma, dove – presa dimora nel rione Regola – sposò nel maggio 1525 Bartolomea Teuli. Aveva accumulato discrete risorse finanziarie. Nelle settimane dopo il sacco di Roma (6 maggio 1527), anticipò somme per i riscatti dei prigionieri dei lanzichenecchi. Negli anni successivi si dedicò anche al commercio, sia di immobili sia di derrate e bestiame. Accusato di aver scritto sonetti contro papa Paolo III e incarcerato per qualche settimana nel 1535, nel 1539 si dedicò di nuovo all’esercizio della professione militare. Tornato in Sicilia, ebbe il comando del presidio del porto di Messina, esposta agli attacchi dei pirati barbareschi. L’anno successivo rientrò a Roma. Possedeva anche un casale fuori le mura (nel territorio dell’attuale Riserva naturale della valle dell’Aniene). La determinazione dei suoi confini, però, causò grossi problemi giudiziari a Salomone, accusato di aver aggredito il confinante (Domizio Cecchini) e per questo di nuovo incarcerato in Tor di Nona, nel maggio 1543. Il processo si risolse soltanto con l’imposizione di una fideiussione de non offendendo, ma Salomone entrò in lite anche per una vigna fuori Porta Maggiore (a Roma), di nuovo in ragione dei confini.
Il suo dinamismo economico fu interrotto per un nuovo incarico affidatogli dal papa, nonostante la sua età avanzata: quello di esperto militare e di capo della sicurezza di Ottavio Farnese, figlio del duca di Parma e Piacenza Pier Luigi, assassinato il 10 settembre 1547. Salomone si trasferì a Parma, dove lo stesso Ottavio il 21 settembre era stato incoronato duca. Vi rimase anche quando quegli, alla fine dell’anno, fu richiamato a Roma. Durante la successiva guerra per Parma, che oppose Carlo V e Giulio III a Ottavio Farnese, alleatosi con il re di Francia Enrico II, Salomone rimase nella città emiliana, occupandosi di riorganizzare le milizie cittadine non professionali e addirittura immaginando servizi di sanità per i soldati. Conclusa la guerra, riprese il suo posto nella corte del duca Ottavio: affiancato all’architetto Francesco Paciotto, si dedicò all’istruzione del principe Alessandro Farnese nelle discipline matematiche. Fu il suo ultimo incarico di rilievo.
Morì a Parma il 20 dicembre 1569. Fu sepolto nella chiesa di S. Giovanni Evangelista, nella tomba in comune riservata ai membri dell’omonima confraternita.
Aveva avuto due figlie, Clelia e Vincenza, sposate la prima al segretario apostolico Leone Lanciarino fanese, la seconda al conte Carlo Oliva di Pian di Meleto.
Fonti e Bibl.: N. Faraglia, Ettore e la Casa Fieramosca, in Archivio storico delle provincie napoletane, n.s., II (1877), pp. 647-709; III (1878), pp. 471-560; S. Salomone Marino, Dei famosi uomini d’arme siciliani fioriti nel sec. XVI, in Archivio storico siciliano, n.s., IV (1879), pp. 285-327 (in partic. pp. 289-292, 316 s.); L.M. Carruba, F. S.... Cenni biografici e storici, Brescia 1970; F. Guiccirdini, Storia d’Italia, a cura di S. Seidel Menchi, Torino 1971, ad ind.; G. Procacci, La disfida di Barletta tra storia e romanzo, Milano 2001, pp. 43, 75; A. Coppa, Francesco Paciotto architetto militare, Milano 2002, p. 41.