SALVIATI, Francesco
– Nacque nel 1443, quartogenito figlio maschio di Bernardo di Jacopo Salviati e di Elisabetta Borromei.
Il padre Bernardo era figlio di Jacopo Salviati, personaggio chiave della politica interna ed estera della città di Firenze fra Tre e Quattrocento (v. la voce in questo Dizionario); la madre Elisabetta, invece, era figlia di Borromeo Borromei, importante banchiere, di famiglia originaria di San Miniato.
Dell’infanzia di Francesco non molto è noto, ma è possibile ipotizzare (Hurtubise, 1985) che abbia avuto un’educazione umanistica che gli permise, dalla metà degli anni Sessanta in poi, di unirsi prima al circolo letterario del cardinale Ammannati, e poi all’accademia platonica fiorentina di Marsilio Ficino. In questi due contesti culturali incontrò vari personaggi di spicco, tra cui, oltre a Ficino, Donato Acciaiuoli, Cherubino Quarquagli, Baccio Ugolino e Giannantonio Campano.
Con Campano Salviati instaurò un’amicizia duratura; la prima notizia certa dei loro rapporti risale al 1464 ed è attestata da una lettera che testimonia la presenza di Salviati a Roma. In generale la loro corrispondenza è fonte importante per ricostruire gli spostamenti geografici del fiorentino. Fu appunto Campano che nel 1467 introdusse Salviati nell’entourage di Ammannati, a Pavia (e in cambio fu da lui introdotto nella cerchia di Ficino).
L’incontro con il cardinale fu, probabilmente, il trampolino di lancio della carriera ecclesiastica di Salviati che emerse come figura di spicco presso la corte papale a Roma. Delle successive tappe del suo cursus honorum però non si hanno notizie certe fino al 1471 quando un breve pontificio, conservato presso l’archivio di famiglia a Pisa, lo indicò con il ruolo di abbreviatore papale e canonico di York. L’acquisizione del beneficio fu tuttavia complicata dal fatto che al precedente beneficiario era succeduto, illegalmente, un tale John Craul, che Paolo III dovette scomunicare affinché lasciasse il posto a Salviati.
Egli non si recò tuttavia in Inghilterra per prendere possesso del beneficio: tale fatto risulta sia da una lettera di Campano sia dalla biografia scritta da Antonio Mattei che in quella congiuntura si trovava a Firenze, ove trascorse almeno due mesi per riprendersi da una malattia che l’aveva quasi portato alla morte.
Nello stesso anno, l’elezione al soglio pontificio di Sisto IV, in seguito alla morte di Paolo III, dischiuse nuove promettenti prospettive per la carriera di Salviati. Al della Rovere erano infatti molto vicini i nipoti Pietro e Girolamo Riario, alla cui famiglia Salviati si legò ottenendo in cambio la concessione di aggiungere il loro cognome al proprio. All’interno dell’entourage dei Riario, il suo ruolo pertanto crebbe: fu dapprima segretario di Pietro (cardinale dal 1471 e, dal 1473, arcivescovo titolare di Firenze) e, dopo il 1473, giunse a essere preso in considerazione egli stesso per una porpora cardinalizia.
Nel 1474, la carriera di Salviati ebbe una svolta cruciale a causa di una serie di eventi in rapida successione. Alla morte di Pietro Riario arcivescovo di Firenze (3 gennaio 1474), egli apparve un possibile successore, sia per la sua posizione presso la corte pontificia, sia per il suo ruolo all’interno della famiglia Riario. Ma per l’evidente importanza politica della carica Lorenzo il Magnifico si rifiutò categoricamente di accondiscendere all’assegnazione della cattedra fiorentina a un uomo che, per quanto discendente di un’antica famiglia fiorentina per la maggior parte alleata dei Medici, non aveva fatto mistero della sua contiguità con la famiglia Pazzi, di cui Salviati era cugino di primo grado per parte materna. La questione fu pertanto velocemente risolta con la nomina di Rinaldo Orsini, cognato del Magnifico; ma a Salviati fu verosimilmente fatta una promessa a proposito dell’arcivescovado di Pisa, promessa che sarebbe rientrata in gioco pochi mesi dopo, nell’ottobre del 1474.
A riprova del suo crescente prestigio in Curia, ma anche dell’ostilità di Lorenzo de’ Medici, nello stesso anno Salviati ottenne il beneficio della parrocchia di S. Ippolito di Castelfiorentino. In quell’occasione, su suggerimento del Magnifico, la Signoria giunse perfino a ipotizzare una sommossa qualora Salviati avesse realmente preso possesso del beneficio. Salviati nell’occasione si limitò a ricordare alla Signoria come la designazione dei benefici ecclesiastici fosse competenza esclusiva del pontefice.
Pochi mesi dopo morì Filippo de’ Medici, arcivescovo di Pisa, e per evitare di essere nuovamente scavalcato nel suo diritto di nomina, Sisto IV si limitò a notificare l’avvenuta nomina di Francesco Salviati alla Signoria fiorentina con un breve di cui si è conservata una copia nell’archivio familiare dei Salviati (ottobre 1474).
Dal punto di vista familiare e finanziario Salviati si proponeva come candidato migliore per la sede pisana, rispetto al forestiero Gentile Becchi, proposto dai Medici. Infatti, proveniva da una famiglia toscana di più antica nobiltà e di maggior potere finanziario all’interno di Firenze. Inoltre, nonostante il parere contrario di Lorenzo de’ Medici, Salviati fu fortemente raccomandato per la posizione non solo dal conte Girolamo Riario, ma anche, fra gli altri, dal direttore della banca medicea di Roma, Giovanni Tornabuoni.
Nonostante le migliori credenziali, Lorenzo de’ Medici si rifiutò di ratificarne la nomina, arrivando a offrire a Salviati, come si evince dal suo epistolario, una qualunque altra posizione all’interno della Toscana, al posto di quella pisana. Al rifiuto di Salviati di queste posizioni alternative, il Magnifico decise di impedire fisicamente il suo insediamento e gli proibì l’ingresso in città per due anni. L’arcivescovo pisano, infatti, poté entrare nella città solamente nel 1476.
Questo mancato riconoscimento, unito al forte legame con Girolamo Riario e la famiglia Pazzi, ovviamente alimentò il rancore di Salviati nei confronti dei Medici e lo avrebbe indotto a ordire nel 1478, insieme a Francesco de’ Pazzi, quella che è nota come la congiura dei Pazzi (ma già nel 1477 vi fu un tentativo di uccidere i due fratelli Medici).
Proprio nel 1477 Salviati fu inviato a Firenze come legato papale, una posizione che, secondo l’ambasciatore milanese Sacramoro da Rimini e lo stesso Salviati, lo avrebbe aiutato per una posizione cardinalizia. Il favore di Sisto IV (e dei Riario) continuò, dunque, a manifestarsi e nello stesso anno Salviati fu sul punto di essere designato come legato papale in Ungheria; ciò che poi non avvenne perché Girolamo Riario lo ritenne più adatto nel ruolo di legato pontificio in Italia. Alla fine del 1477, l’attesa porpora sfumò e al posto di Salviati fu nominato cardinale il giovane Raffaele Sansoni Riario. Nessuno peraltro mise in dubbio che la nomina sarebbe arrivata, meno che mai Salviati che sembrò incline a pensare che il cappello cardinalizio sarebbe stato suo dopo il successo della congiura antimedicea.
Dopo un altro tentativo fallito, la congiura venne organizzata per la domenica 26 aprile 1478. Nel giorno prescelto, a Salviati fu assegnato il compito di conquistare palazzo della Signoria e uccidere il gonfaloniere di Giustizia, mentre gli altri congiurati si sarebbero occupati dei fratelli Medici. Secondo Angelo Poliziano il gonfaloniere Cesare Petrucci non si lasciò ingannare dal fatto che Salviati gli richiedesse un colloquio a nome del pontefice, ma, riconosciuta la scusa per quello che era, decise di armarsi con la prima cosa che fu in grado di raggiungere – uno spiedo da arrosto secondo Niccolò Machiavelli – e di attaccare con esso l’arcivescovo di Pisa (mentre i suoi uomini vennero imprigionati in una delle stanze di Palazzo Vecchio e successivamente impiccati).
Salviati finì i suoi giorni impiccato a una delle finestre di Palazzo Vecchio dove venne raggiunto da Francesco de’ Pazzi dando vita, almeno nella descrizione di Poliziano, a una macabra scena di cannibalismo.
Le circostanze della morte, avvenuta durante gli avvenimenti della congiura e pertanto senza il parere di un tribunale ecclesiastico, indussero Sisto IV a scomunicare Lorenzo de’ Medici e interdire la città di Firenze. Tali misure punitive vennero revocate solo due anni dopo. Il ramo dei Salviati a cui Francesco apparteneva si ritrovò invischiato nelle conseguenze economico-politiche della congiura, tanto che la madre fu costretta a pagare ammende agli Ufficiali dei Ribelli per almeno due anni dopo la fallita congiura.
Non sorprende che la fortuna storiografica e la fama di Salviati siano state molto controverse, in considerazione del suo ruolo nella pianificazione e nello svolgimento della congiura dei Pazzi. Ciò portò a una totale damnatio memoriae nei suoi confronti, al punto che nemmeno nell’archivio di famiglia si sono conservate molte testimonianze su di lui, se si fa eccezione per succinti e insoddisfacenti riferimenti obliqui. Se le cronache coeve, specialmente Poliziano, lo condannarono senza appello, la storiografia moderna può forse essere maggiormente in grado di contestualizzarne le azioni. Salviati fu infatti un uomo il cui potenziale venne schiacciato sotto una logica politica orientata verso il controllo del potere. Le sue scelte personali, in netta contraddizione con quelle familiari, lo misero contro il potere mediceo ed egli ne pagò un prezzo altissimo. Ciò non toglie che la nomina arcivescovile e il cappello cardinalizio sfiorato dimostrano la rilevanza dei Salviati a Firenze e in Curia.
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