CAROSELLI, Francesco Saverio
Nacque a Roma il 12 marzo 1887, da Vittorio e da Paolina Bianchi. Compiuti gli studi classici nella capitale, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza e nel 1909 si laureò a pieni voti. Qualche tempo dopo entrò in Magistratura, ma nel suo destino non c'era la toga, bensì l'Africa. Nel 1912, infatti, mentre era ancora in corso la guerra di Libia, venne chiamato al ministero delle Colonie, all'atto stesso della sua costituzione.
Dal 1912 sino alla caduta del fascismo, senza alcuna interruzione, il C. restò alle Colonie, mettendo a profitto la sua vasta cultura giuridica e percorrendo, grado per grado, tutta la carriera di funzionario coloniale sino a raggiungerne i vertici con l'incarico di governatore della Somalia. Ma sin dall'inizio egli si fece notare per le sue considerevoli doti, tanto che il ministro Ferdinando Martini lo volle nel 1915 come suo segretario. Accanto a Martini egli visse uno dei periodi più tragici della storia coloniale italiana: gli anni della grande rivolta araba in Libia, della perdita delle intere guamigioni di Tarliuna e Beni Ulid, della catastrofe di Gars Bu Hadi. Dopo la sostituzione di Martini con Gaspare Colosimo, nel giugno del 1916, il C. compì un ulteriore passo in avanti diventando, ad appena ventinove anni, capo di gabinetto del sottosegretario Foscari.
L'anno successivo realizzò la sua più grande aspirazione: quella di lasciare il ministero per raggiungere l'Africa. Venne destinato a Tripoli, che in quel tempo era ancora protetta da trincee e subiva lo stretto assedio delle forze arabo-turche. Il C. partecipò personalmente, come territoriale, alla difesa della città, ma il suo incarico principale era di verificare sul campo una possibile intesa e collaborazione fra Italiani e Arabi, facendo partecipare questi ultimi al governo della colonia attraverso i Comitati consultivi indigeni. Non si trattava, ovviamente, che di un primo e timido passo verso l'effettiva partecipazione dei Libici all'amministrazione del loro paese, ma, come faceva osservare il C. al ministro Colosimo, inviandogli lo studio compiuto su I Comitati consultivi nei rapporti fra Stato e popolazioni indigene della Libia, era indubbio che il "nuovo istituto" segnasse "veramente un'epoca nuova nel diritto pubblico coloniale", e realizzando antiche promesse e instaurando "principi giuridici più liberali" (Archivio storico dei disciolto ministero dell'Africa Italiana, posiz. 113 /1, fasc. 20).
Convinto colonialista, il C. aveva però percepito la lezione wilsoniana e rivelò quindi, nei suoi atti e nei suoi scritti, idee molto avanzate per l'epoca. Nel libro che egli pubblicò a Milano nel 1918 (L'Affrica nella guerra e nella pace d'Europa) egli criticava severamente, ad esempio, l'imperialismo tedesco e si augurava che, a guerra finita, il nuovo assetto della colonizzazione non fosse più "puramente imperialistico e di esclusivo egoismo nazionale". Considerando, poi, che la politica nei confronti degli indigeni era "stata per troppi anni arte di opportunismo e di violenza, più strumento di un regime tirannico che arte di governo liberale", faceva voti perché le popolazioni indigene non fossero più considerate "semplici oggetti di diritto", ma "soggetti di diritto", e venissero dotate di statuti, in modo da raggiungere un superiore grado di civiltà ed aspirare all'autonomia amministrativa e politica.Nel 1919 fu a Parigi, Come esperto coloniale, al seguito della delegazione italiana per le trattative di pace. Egli si batté energicamente per ottenere una corretta interpretazione dell'articolo 13 del trattato di Londra, che avrebbe dovuto assicurare all'Italia una congrua parte del bottino coloniale. Ma, come avrebbe egli stesso riferito negli Scritti coloniali, "la storia della Conferenza di Parigi è per l'Italia dolorosa e umiliante come una disfatta: se la guerra fu vinta, la pace fu perduta e indegnamente perduta". Molto probabilmente furono proprio le delusioni e le amarezze per il "tradimento" degli Alleati a predisporre il C., più nazionalista che fascista, ad accettare il fascismo, a diventarne anzi un fedele e zelante servitore, proprio perché sin dall'inizio il fascismo condannava la "farsa" di Versailles e propugnava una politica revisionistica.
Conclusa la sfortunata missione a Parigi, nell'estate del 1920 -venne inviato in Somalia, prima come segretario del governatore Carlo Riveri, poi come residente ed infine come commissario a Brava e a Chisimaio. In questi anni, a diretto contatto con le popolazioni della più diseredata fra le colonie italiane, egli imparò la difficile arte di amministrare gli indigeni ponendosi in luce come funzionario càpace, comprensivo e tra i più umani. Trasferito in Eritrea nel 1928, vi restò per due anni come direttore di governo. Nel 1931 venne destinato per la seconda volta in Somalia con il prestigioso ed oneroso incarico di segretario generale. Ma il 1931 è importante per il C. anche per un altro motivo. In quell'anno, infatti, pubblicò a Roma-il suo libro più importante, Ferro e fuoco in Somalia, con il quale ricostruiva le vicende di Muḥammad ibn 'Abdullāh Hassān, il poeta e guerrigliero somalo che inutilmente aveva tentato, per oltre vent'anni, tra il 1899 e il 1921, di riunificare le tre Somalie battendosi con straordinario coraggio e perizia contro gli eserciti coalizzati della Gran Bretagna, dell'Italia e dell'Etiopia. Frutto di ampie ed accurate ricerche, negli archivi italiani e in loco, il libro resta a tutt'oggi uno dei pochi strumenti per capire ed apprezzare la straordinaria avventura umana del Mad Mullah.
Il 1931 lo vide inoltre come personaggio di primo piano sulla scena somala, al centro di una disputa con l'Etiopia che avrebbe potuto portare anche alla guerra. Il motivo del contrasto fu l'occupazione abusiva intrapresa dagli Italiani di alcune località dell'Ogaden, come Dacub, Uarder, Ual Ual, Galadi, alcune delle quali addirittura a 150 chilometri all'interno del territorio etiopico. Stanco di protestare con Roma, l'imperatore Hailè Selassiè aveva inviato nell'Ogaden il degiac Gabre Mariam con un esercito di 12.000 uomini e l'incarico di osservare il livello di penetrazione degli Italiani. Tanto in Somalia, difesa soltanto da 3000 ascari, che in Italia, la marcia di Gabre Mariam verso la frontiera somala fu motivo di grande preoccupazione, quasi di panico. Nessuno riusciva a dimenticare, infatti, l'antica aspirazione di Menelik di raggiungere con i suoi eserciti le rive dell'Oceano Indiano. Mentre il comandante delle truppe della Somalia, Luigi Frusci, chiese come ritorsione il bombardamento aereo di Addis Abeba, il governatore Rava, con molto più buonsenso, inviò alla frontiera con l'Etiopia il segretario generale C. con l'incarico di parlamentare con Gabre Mariam. L'azione diplomatica del C., congiunta a quella del ministro italiano ad Addis Abeba, Gaetano Paternò, scongiurò lo scontro e la guerra. Hailè Selassiè ordinò al degiac di retrocedere. La Somalia era salva; ma lo scontro era soltanto rimandato.
Il C. restò in Somalia sino alla fine del 1934, continuando, con il governatore Rava, quell'opera di erosione dei territorio etiopico, che avrebbe portato al conflitto italo-abissino. Dopo l'incidente di Ual Ual del 5 dic. 1934 e la decisione di Mussolini di coglierlo a pretesto per poter scatenare la guerra all'Etiopia, tanto il Rava che il C. furono richiamati in patria. Ad assumere il governo della Somalia fu il generale Rodolfò Graziani, al quale venne affidato il compito di preparare l'offensiva dal sud contro l'Etiopia. Al suo rientro a Roma il C. fu promosso direttore generale del ministero dell'Africa Italiana (la nuova denominazione del ministero delle Colonie) e incaricato di costituire la R. Azienda monopolio banane (RAMB), dotata di una flottiglia di navi speciali destinate a trasportare in Italia la produzione di banane dei comprensori somali dei Giuba e dello Uebi Scebeli. Dopo la conquista dell'Etiopia fu affidata al C., per la sua vasta conoscenza dei luoghi e dei problemi, la direzione generale per l'Africa Orientale. Poi, il 15 dic. 1937. l'ambitissima promozione a governatore della Somalia, la terra che più amava e che avrebbe accolto anche le spoglie di sua madre Paola, inseparabile compagna di tutte le sue dimore in Africa.
La Somalia che il C. ritrovò nel 1937. ampliata con l'annessione dell'Ogaden e di altri territori, aveva quasi le dim.ensioni della Grande Somalia sognata da Muḥiammad ibn 'Abdallāh Hassān. Ma i Somali non avevano fatto un solo passo in avanti verso l'autonomia amministrativa e la libertà politica, come preconizzava, nel 1918, il giovane Caroselli. Erano anzi più oppressi di prima, soggetti anche alle nuove ed umilianti leggi razziali. Leggi che il C. accettava e applicava, così come aveva accettato tutte le altre imposizioni e soppraffazioni del fascismo, e che anzi esaltava, scrivendo: "Lo Stato fascista ha saggiamente instaurato una politica razziale ed ha, con le sue leggi, severamente sanzionato le infrazioni della dignità della razza. In Africa, e nei confronti delle genti native, ogni italiano è depositario e deve essere tenuto responsabile della sua parte di dignità nazionale e di prestigio politico dello Stato" (in Scritti coloniali, pp. 253 s.). Colonialista dalle idee avanzate nel 1918, alla fine degli anni Trenta il C. era completamente a rimorchio dell'ideologia coloniale dei fascismo, tanto da non accorgersi, lui, l'uomo del diritto. che nel lager di Danane gli oppositori dell'Italia, somali ed etiopici, morivano di stenti. Fu comunque, anche se la sua gestione sarebbe stata soltanto paternalistica, il miglior governatore italiano che la Somalia abbia avuto. 1 Somali gli avrebbero riconosciuto questo merito attribuendogli, negli anni Sessanta, la più alta onorificenza della Repubblica Democratica di Somalia.
Con l'inizio del secondo conflitto mondiale i governatori civili dell'Africa Orientale Italiana vennero rimpiazzati con governatori militari e l'11 giugno 1940 il C. lasciò Mogadiscio e rientrò a Roma, dove riprese la sua attività di alto funzionario al ministero dell'Africa Italiana. Di questo periodo va ricordato il suo notevole impegno nella missione di ricupero dei civili italiani rimasti intrappolati dalla guerra in Africa Orientale. Raggiunto infatti un accordo con la Gran Bretagna per evacuare dall'Africa Orientale Italiana donne, bambini e invalidi, egli curò l'allestimento delle quattro "navi bianche" che avrebbero compiuto tre viaggi in Africa tra l'aprile del 1942 e il settembre del 1943. Il C. guidò personalmente le missioni che posero in salvo 28.000 connazionali e compì sei volte il periplo dell'Africa. Un quarto viaggio, già programmato, venne cancellato dopo la caduta del fascismo e la spaccatura in due dell'Italia.
Nel dopoguerra il C. fu colpito dalle sanzioni previste nel confronti degli alti gerarchi e burocrati del regime. Epurato e privato degli assegni, lasciò Roma e si ritirò a Vigna Paola, un piccolo podere che aveva acquistato nel comune di Zagarolo e che lui stesso lavorò per qualche tempo. Gli fu accanto, in questo periodo avverso della sua esistenza, Anna Zezza, la donna che aveva conosciuto, come crocerossina, in uno dei viaggi delle "navi bianche", che aveva sposato e che gli darà una figlia, Paola.
Riabilitato nel 1947. il C. diventò, con M. M. Moreno, E. Cerulli e G. Nasi, uno degli esperti coloniali più ascoltati dal sottosegretario agli Esteri e poi all'Africa Italiana, senatore Giuseppe Brusasca, anche se non sarebbe rientrato più nei ruoli dei ministero. Quando l'Italia ottenne dall'ONU l'amministrazione fiduciaria della Somalia, per qualche tempo si pensò di affidare la direzione dell'Amministrazione fiduciaria italiana della Somalia proprio al Caroselli. Scriveva infatti Brusasca a De Gasperi l'11 marzo 1950: "Taviani ha proposto Caroselli, del quale tutti dicono bene, ma che èstato l'ultimo governatore fascista della Somalia. La sua nomina, dal lato amministrativo, sarebbe certo ottima; sotto l'aspetto politico potrebbe dare dei pretesti a coloro che vogliono far credere che noi vogliamo continuare in Africa la stessa azione di prima" (Casale Monferrato, Archivio Brusasca, Ministero dell'Africa Italiana, Gabinetto, fasc. 1).
Queste ultime considerazioni finirono per prevalere e la candidatura del C. fu scartata. Ma nel gennaio del 1952, quando il ministero dell'Africa Italiana, di concerto con quello del Tesoro, decise di istituire il Comitato per la documentazione dell'opera dell'Italia in Africa, Brusasca ne offrì senza indugio la presidenza al Caroselli. Per sedici anni, fino alla sua morte, il C. si gettò in questa nuova impresa con il consueto impegno.
Egli divorò i 4500 cartoni dell'Archivio storico del ministero dell'Africa Italiana, contenenti più di tre milioni di documenti, e suddivise il materiale esaminato e scelto fra gli esperti che avrebbero redatto le singole monografie. La produzione del Comitato ha raggiunto oggi i quaranta volumi, un'autentica summa come pochi altri paesi colonizzatori sono riusciti a realizzare. Va detto, però, che non tutte le opere sono dello stesso valore. Se i volumi della serie scientifico-culturale sono indubbiamente di alto livello, la stessa cosa non si può dire dei volumi della serie storico-militare, che spesso rielaborano le tesi oltranziste dell'epoca fascista, ignorano totalmente le fonti straniere e stendono un velo troppo pietoso sugli episodi più crudeli del colonialismo italiano. Quella che poteva essere una grande occasione per realizzare, con gli ingenti mezzi forniti dallo Stato, il bilancio critico della nostra presenza in Africa, si è trasformata invece in una operazione da tiú lato elusiva e dall'altro agiografica.
Il C. morì improvvisamente il 30 dic. 1967, mentre si trovava nella sua casa di Zagarolo.
Oltre a quelle citate si ricordano ancora le seguenti opere del C.: Le vicende monetarie nell'Eritrea e nella Somalia, Roma 1933; Scritti coloniali, Bologna 1941.
Fonti e Bibl.: AA. VV., F. C., a cura del Gruppo Vittorio Bottego, Milano 1968; A. Dei Boca, Gli Italiani in Africa Orientale, I-IV, Roma-Bari 1976-1984, ad Indices; Id., Gli Italiani in Libia, I, Roma-Bari 1986, ad Indicem.