CLAVIGERO (Clavijero, Clavixero), Francesco Saverio
Nato a Vera Cruz, in Messico, il 9 settembre 1731 da Blas e María Isabel de Echegaray, trascorse i suoi primi anni nella Bassa Mixteca, sulla costa occidentale del moderno Stato messicano di Oaxaca, dove suo padre fu "alcalde mayor" dal 1734 al 1739. Iscritto al collegio gesuita di S. Geronimo a Puebla, intorno al 1740, vi studiò grammatica latina, poesia e retorica, poi passò al collegio di S. Ignazio, nella stessa città, dove intraprese lo studio della filosofia e, in seguito, della teologia. Il 28 febbraio del 1746 egli ricevette il diploma di "bachiller de artes" dalla università del Messico, e il 13 febbraio 1748 iniziò il noviziato a Tepotzotlán, vicino a Città del Messico, dove due anni dopo, il 22 febbr. 1750, pronunciò i primi voti di gesuita. Quindi egli iniziò, nel collegio di S. Ildefonso a Puebla, gli studi di seminario, che comprendevano le discipline classiche e la filosofia scolastica tradizionale. Fu in questo periodo che egli scoprì la "filosofia moderna", studiando con molto profitto le opere di Benito Feijóo, Descartes, Newton, Leibniz, Duhamel, Gassendi e Fontenelle. Terminati i corsi di filosofia, tornò a Città del Messico, dove iniziò lo studio della teologia presso il collegio dei SS. Pietro e Paolo, e approfondì la sua conoscenza del náhuatl, la lingua parlata dagli Indios, che egli aveva appreso da novizio con la prospettiva di lavorare tra di essi. Egli venne anche a conoscenza della raccolta di antichità messicane che il dotto messicano Carlos Sigüenza y Góngora aveva lasciato in eredità al collegio gesuita dei SS. Pietro e Paolo, dove il C. era seminarista. Il 13 ott. 1754 il C. fu ordinato sacerdote e, poco dopo, si sottopose all'ultimo anno di tirocimo gesuita (la "terza probazione") a Puebla.
Alla fine del 1756 il C. fu inviato alla "casa professa", a Città del Messico, per svolgervi funzioni parrocchiali, ma dopo un breve periodo fu destinato ad insegnare nel collegio di S. Gregorio, una scuola gesuita per Indios. Sebbene si fosse già offerto volontario per la missione della Bassa California, il C. dovette accontentarsi di quella di S. Gregorio, dato che l'alternativa era di insegnare le dottrine umanistiche nel collegio gesuita di Guadalajara, luogo in cui pregò il superiore provinciale di non essere mandato. A S. Gregorio egli rimase dal 1758 al 1762 perfezionando il suo náhuatl, adoperandosi per il benessere materiale e spirituale degli Indios e assolvendo le funzioni di cappellano nelle prigioni indios della città.
Trovò anche il tempo di portare avanti lo studio della collezione di Sigüenza y Góngora e una serie di discussioni sulla filosofia moderna con un gruppo di studenti "criollos" (nome dato ai figli di genitori spagnoli nati nel Nuovo Mondo) dall'intelligenza viva e inquisitrice, attratti dall'entusiasmo del C. per la materia. Alcuni di essi, come Juan Luis Maneiro, José Antonio de Alzate e Benito Diaz de Gamarra, avrebbero lasciato anni dopo la loro impronta nella storia intellettuale messicana.
Nella primavera del 1762 il C. fu mandato in un'altra scuola gesuita per Indios, il collegio di S. Saverio a Puebla, dove insegnò, visitò come missionario i villaggi indios, continuò il suo studio del náhuatl e della storia antica del Messico. Questo incarico tuttavia fu il suo ultimo lavoro tra gli Indios. Nel 1763 fu assegnato al collegio gesuita di Valladolid (ora Morelia). Addolorato di dover abbandonare il suo apostolato tra gli Indios, egli obbedì a malincuore. A Valladolid insegnò il primo corso completo di filosofia moderna istituito nel vicercame. Egli non fu un pensatore originale; fu però un innovatore, che si sforzò di modernizzare il programma di studi nelle scuole gesuite. Il principale oggetto della sua riforma fu la filosofia.
La riforma non consisteva in un rifiuto dell'aristotelismo, bensì in un aggiornamento di questa disciplina attraverso l'introduzione delle nuove scienze contemporanee in sostituzione delle antiquate scienze particolari aristoteliche, ma in subordinazione ai principi filosofici generali forniti dalla fisica generale o dalla filosofia della natura di Aristotele, come l'ilomorfismo e il principio di causalità. Il suo corso di filosofia era una cosmologia filosofica modificata, fortemente influenzata dalle scienze del XVIII secolo, con una pesante accentuazione sull'analisi critica empirica.
Insieme con altri gesuiti il C. iniziò a introdurre riforme che sarebbero state sicuramente adottate da tutti i collegi gesuiti della Nuova Spagna, se non fosse intervenuta l'espulsione dell'Ordine dall'impero spagnolo nel 1767. Il contributo gesuita alla riforma intellettuale si limitò soltanto all'introduzione della "filosofia moderna", che i discepoli avrebbero in seguito ampiamente sviluppato.
Nell'aprile del 1766 il C. fu mandato a Guadalajara e anche nel nuovo incarico egli introdusse i suoi studenti alla "filosofia moderna". A Guadalajara scrisse due opere, mai pubblicate, in cui esaltava l'analisi induttiva ed il metodo scientifico.
Il C. aveva appena concluso il suo primo anno a Guadalajara, quando Carlo III espulse i gesuiti dai suoi domini (1767). Dopo un primo arduo vagare in esilio, egli, come tanti altri confratelli, trovò finalmente asilo permanente nello Stato della Chiesa. Dopo un anno a Ferrara fu destinato a Bologna, dove lo raggiunse il breve papale di soppressione della Compagnia, nel 1773. Ridotto allo stato secolare, fino alla sua morte egli rimase lì, sostentandosi con le offerte delle messe e la magra pensione che il governo spagnolo garantiva ai gesuiti esuli. Gli ultimi quattro anni della sua vita furono tormentati da una salute precaria.
Morì a Bologna per una malattia renale il 2 apr. 1787 e fu seppellito nella cripta della chiesa gesuita di S. Lucia. Circa due secoli dopo, il governo messicano fece rimpatriare le spoglie del C., e nell'agosto 1970 le fece seppellire con una solenne cerimonia nel celebre Panteón Civil de Dolores a Città del Messico.
Quando si consideri la vita ritirata, lontana da ogni attività pratica che gli esuli gesuiti erano costretti a condurre, si può capire il loro impegno verso lapubblicistica e gli studi intellettuali in genere. In particolare il C. rivolse il suo interesse verso la storiografia. Dalle sue fatiche nacquero prima la Storia antica del Messico, poi la Storia della California. Per quanto riguarda la Storia antica del Messico, ilprogetto iniziale era quello di compilare una sorta di enciclopedia dell'"antichità messicana", con lo scopo di conservare per i posteri il ricordo di quella grande civiltà. Gli amici tuttavia gli fecero notare la grande utilità di una storia dell'antico Messico, più che di una enciclopedia. Spaventato all'inizio dall'enormità del lavoro, egli finalmente acconsentì e cominciò a raccogliere il materiale.
La sua ricerca lo portò in contatto con molti scrittori europei tra i quali Willigan Robertson, il conte di Buffon, l'abate Raynal, e, sopra tutti, Corneille de Pauw, che aveva scritto in termini denigrativi sull'America e gli Indios. Ferito vivamente dal loro antiamericanismo, egli abbandonò ogni indugio. Divenne allora un appassionato e competente polemista, deciso a confutare la disinformazione e la distorsione di questi autori, e a far conoscere all'Europa la verità sul Nuovo Mondo. Il suo risultato, la Storia antica del Messico, lo coinvolse profondamente nella disputa tipica del XVIII secolo sui pregi relativi del Vecchio Mondo nei confronti del Nuovo Mondo, e se la scoperta dell'America fosse stata un errore.
Il C. iniziò la composizione della sua Storia poco dopo il 1771, e la pubblicò a Cesena tra il 1780 e il 1781. Dopo aver redatto il primo manoscritto in spagnolo, lo tradusse e pubblicò in italiano, per far piacere ai suoi amici di Bologna e per assicurarsi un più ampio mercato di vendita. L'opera comprende quattro volumi: i primi tre trattano della storia azteca fino al 1521; il quarto è composto di nove dissertazioni dedicate non solo alla confutazione degli errori della storiografia europea sull'America, ma anche a chiarire alcuni problemi e a trattare argomenti che non avevano potuto trovare posto nella Storia. I primi tre volumi, dedicati alla università del Messico, erano basati in gran parte sulla Monarquía indiana di Juan de Torquemada, senza che il C. lo dichiarasse. Il quarto era dedicato all'italiano conte Gian Rinaldo Carli, per mitigare i suoi sentimenti che erano stati feriti dalle osservazioni critiche che il C. aveva indirizzato contro le sue Lettore americane. Ben accolta dal pubblico, la Storia antica del Messico fu tradotta in inglese e tedesco nel giro di pochi anni e per molto tempo dominò come fonte incontrastata per la conoscenza della storia del Messico, fino, a che non furono fatte ricerche scientificamente più fondate. Sebbene il C. tentasse di pubblicare un'edizione spagnola del suo lavoro a Madrid, egli incontrò un'opposizione insormontabile. Guidati dal gesuita spagnolo Ramón Diosdado Caballero, profondamente nazionalista, gli oppositori lo accusarono di ispanofobia e si diedero da fare per prevenire la pubblicazione dell'opera, anche se il governo spagnolo, dopo un attento esame critico, ne aveva approvato la pubblicazione in edizione ridotta. Il manoscritto originale, che il C. aveva composto in spagnolo e inviato in Spagna per la pubblicazione nel 1783, venne dato alle stampe (meno il quarto volume, le dissertazioni) soltanto nel 1945 a Città del Messico. Tutte le edizioni spagnole precedenti al 1945 sono traduzioni dell'edizione italiana.
Il principale merito del C. sta nell'essere stato il primo a scrivere un'opera dedicata esclusivamente all'antica storia del Messico. In armonia con i canoni del sapere del XVIII secolo, egli presentò un'ammirevole sintesi storica e la rivestì di un piacevole stile letterario che fece esplodere un rinnovato interesse intorno all'antico Messico. Il successo dell'opera derivò dal fatto che apparve in un momento in cui era al culmine l'attenzione europea per le antiche civiltà e il "buon selvaggio". Sebbene l'autore possa essere accusato di plagio per non aver dichiarato la sua sostanziale dipendenza dalla Monarquía indiana di Torquemada, egli non deve tuttavia essere giudicato secondo il metro del XX secolo. L'abitudine di riutilizzare era infatti comune ai suoi tempi, e, del resto, anche nel suo plagiare e riordinare Torquemada, egli ha trasmesso un considerevole corpo di dati etnografici originali derivati da fonti ora perdute. Per questa ragione la Storia antica, ancora oggi, a dispetto delle sue deficienze, non è priva di valore.
Anche la Storia della California fu scritta per confutare ciò che i critici europei, come de Pauw e Robertson, avevano scritto sugli indigeni e sull'attività missionaria dei gesuiti nella penisola. Scritta in concomitanza con la Storia antica, fu terminata prima della morte dell'autore nel 1787, ma rimase inedita fino al 1789, anno in cui il fratello del C., Ignazio, la pubblicò, in due volumi, a Venezia. Questi fece utili correzioni editoriali e aggiunse anche una introduzione informativa.
Scritta direttamente in italiano, la Storia della California è un conciso, ben fatto compendio della storia politica, religiosa, sociale e naturale della penisola americana e contiene dati geografici ed etnografici di considerevole valore. Sebbene essa non abbia ottenuto mai il successo e la popolarità della Storia antica, è nondimeno un lavoro degno di merito. Basato su valide fonti esso è, per riconoscimento dell'autore, tratto largamente da altri storici gesuiti della California: Miguel Venegas, Lucas Ventura, Miguel Barco, Benno Ducre e Ferdinand Consag. Il suo principale merito tuttavia è quello di costituire la prima storia completa dell'attività della missione gesuita in Bassa California, dal suo inizio, nel 1697, fino all'espulsione della Compagnia dalla regione nel 1767. Fu tradotto in inglese e spagnolo.
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