FAVA, Francesco Saverio
Nacque a Salerno il 3 luglio 1832 da Francesco, nobile, patrizio di Amantea, e dalla bresciana Nicoletta Paoletta Profitti. Compì i suoi studi a Napoli, dove conseguì, nel settembre del 1849, la licenza in diritto. L'inserimento nella carriera consolare avvenne il 3 dic. 1851, quando fu nominato alunno consolare presso il ministero degli Esteri del Regno delle Due Sicilie. Il suo primo incarico all'estero fu ad Algeri, dove venne destinato il 23 maggio 1853 in concomitanza con la sua promozione a viceconsole.
Durante i sette anni seguenti i trasferimenti si susseguirono a ritmo serrato: Genova (1855), Trieste (1857), Marsiglia (16 marzo 1859), Malta (21 sett. 1859), Smirne, Torino (20 giugno 1860) furono le mete della carriera del F.; è da dubitare, però, che egli le raggiungesse tutte, dal momento che i decreti di alcuni dei trasferimenti recano date assai ravvicinate. Nel frattempo il F. venne promosso console di seconda classe, grado che ancora ricopriva quando entrò, il 16. ag. 1860, nella carriera diplomatica dell'agonizzante Regno borbonico quale segretario di legazione, con destinazione Monaco di Baviera. Ma gli avvenimenti precipitavano ed il 7 settembre i garibaldini entravano in Napoli, da cui il giorno precedente erano fuggiti alla volta di Gaeta, per tentare un'estrema difesa, Francesco II, regnante da un anno su un paese immobile all'interno ed isolato sul piano internazionale, e sua moglie Maria Sofia di Wittelsbach.
La fine dei Borboni ed il trapasso istituzionale dell'ex Regno nel Regno d'Italia comportarono ostracismo per i più alti funzionari napoletani, e il F. non poté sottrarsi a questo amaro epilogo: esonerato dal servizio dal governo dittatoriale di Garibaldi l'11 ott. 1860, il 9 giugno 1861 venne collocato in aspettativa dal governo italiano.
La carriera del F. non ebbe tuttavia termine. La data del 18 maggio 1862, quando fu riammesso nel servizio diplomatico, rappresentò l'inizio di una attività di indubbio prestigio e soddisfazioni, anche se non certo priva di oscillazioni e di qualche delusione.
Non è escluso, infatti, che l'origine borbonica abbia pesato sullo svolgimento della sua carriera, se, come egli stesso lamentò più tardi (1871), la tanto sospirata promozione a ministro (che giungerà solo nel 1880) gli venne più volte negata - nonostante i molti meriti acquisiti - mentre era riconosciuta ad altri diplomatici con minore anzianità. Le stesse destinazioni impostegli non furono quasi mai di suo gradimento e lo videro a lungo lontano dall'Europa. D'altra parte, era consuetudine che i diplomatici dell'ex Regno delle Due Sicilie svolgessero il loro servizio in sedi di scarso rilievo o dove l'antica amicizia con i Borboni di Napoli poteva essere sfruttata a vantaggio dell'Italia.
Il primo paese che il F. raggiunse alla ripresa dell'attività nel 1862 fu la Svizzera, presso la legazione in Berna, ove giunse con il grado di segretario di legazione di prima classe. Lì ebbe l'opportunità di reggere la legazione, per temporaneo congedo del titolare, nell'agosto del 1863 e di nuovo dal 6 aprile al 4 ag. 1864. Durante la permanenza nella sede svizzera, fu obbligato dalle cattive condizioni di salute della moglie, Nicoletta Paoletta Profitti, a chiedere il trasferimento a Bruxelles: fu invece trasferito all'Aja il 19 nov. 1864. In Olanda, dove rimase per tre anni e mezzo e dove conseguì la promozione a consigliere di legazione nel dicembre 1867, fu spettatore, in particolar modo dopo il 1866, delle mire della Prussia in piena espansione verso quel paese, che veniva da un lato blandito circa la convenienza di un'unione di qualche tipo con la Prussia e dall'altro minacciato nella sua indipendenza con l'esibizione della perfetta macchina bellica voluta da Bismarck. Tutto ciò si svolse specie quando il F. resse quella legazione, in assenza del titolare D. Carutti di Cantogno, per più di sei mesi, tra il 1866 ed 1867.
Con r.d. 6 febbr. 1868 egli venne trasferito a Istanbul, dove giunse però solo il 1º maggio, e già nell'agosto gli venne col municata una sua prossima partenza, con destinazione imprecisata.
Il ministro italiano in Turchia, Giuseppe Bertinatti, fu in certo modo contrariato dal richiamo del F. sia perché aveva potuto apprezzare lo spirito di iniziativa ed il valore del suo consigliere di legazione, sia perché "questo frequente variare di impiegati quale si è verificato da che giunsi in questo posto" poteva essere di grave pregiudizio per "l'andamento di un servizio così complicato, variato ed esteso, quale quello di questa missione". Lamentele del genere non erano infrequenti fra i diplomatici italiani titolari di ambasciate o legazioni, costretti a tamponare i continui avvicendamenti o addirittura la mancanza di personale - dovuti ad un ministero degli Esteri assai acqorto nelle spese - con propri sacrifici, ricordati poi dal F. in anni successivi, quando egli stesso si sarebbe trovato in analoghe situazioni.
Verso la fine del 1868 gli venne comunicata la sua nuova destinazione, Bucarest, con l'incarico di reggere quell'agenzia e consolato generale. In Romania rimase per ben undici anni, in veste di osservatore privilegiato soprattutto dal 1878, quando venne accreditato presso il principe di Romania in qualità di inviato straordinario e ministro plenipotenziario.
Paese di giovane creazione e amico ciell'Italia, la Romania, su cui dal 1866 regnava Carlo di Hohenzollern-Sigmaringen - benvoluto dalla popolazione benché impostole dalla diplomazia europea -, ospitava una modesta comunità italiana, composta per lo più di operai ed "in generale di individui che stentano a cambiar la vita", come si espresse il F. in un suo rapporto al ministero. La progressiva conoscenza del paese lo portò a stendere alcune osservazioni sulla realtà industriale romena, che vennero pubblicate nel 1869 sul Bollettino consolare (edito dal ministero degli Esteri), con il titolo Industria serica della Rumenia.
Qualche anno più tardi, egli assistette e fu partecipe delle apprensioni che alla Romania derivavano dalla guerra russo-turca (1877-1878), cui, pure, essa partecipava a fianco della Russia. Le preoccupazioni romene erano dovute alla destinazione della Bessarabia alla fine della guerra, che si prevedeva sarebbe stata vinta dallo zar, desideroso di riprendersi, come poi accadde, la fiorente regione che aveva dovuto cedere alla Romania nel 1856.
La lunga permanenza romena si concluse nell'estate del 1879: il F. venne allora destinato a reggere la legazione in Rio de Janeiro con lettere credenziali di inviato straordinario e ministro plenipotenziario. Non appena conosciuta la destinazione, egli fece presente che l'imperatrice del Brasile era una principessa della famiglia dei Borboni di Napoli, zia dell'ex re Francesco; per tale motivo egli chiedeva al ministro degli Esteri se non pensasse che questa circostanza rendesse la sua posizione di rappresentante italiano assai delicata. In conseguenza di ciò con il r.d. del 7 sett. 1879 (il precedente decreto che dettava il trasferimento a Rio era del 3 luglio, appena due mesi prima) gli veniva comunicata una nuova destinazione, Buenos Aires, anche in questo caso con lettere credenziali di inviato straordinario e ministro plenipotenziario: gli fu altresì assicurato che per la promozione al grado di ministro. da lui lungamente desiderata, ostava solo il fatto che il ruolo organico relativo era al completo. Da Buenos Aires, dove fu promosso inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe, il F. faceva giungere al ministero lamentele per il suo stato di salute, che il clima argentino faceva peggiorare. Esse sortirono un effetto non del tutto sperato: ottenne sì il trasferimento, ma le sue mire di tornare in Europa andarono deluse quando seppe, nel luglio del 1881, che la sua nuova sede sarebbe stata la capitale degli Stati Uniti, destinazione poco ambita dai diplomatici perché ritenuta di scarso rilievo politico.
Tale considerazione aveva al fondo ancora un sottile disprezzo nei confronti di un paese del Nuovo Mondo, che invece proprio in quegli anni si avviava ad imporsi sulla scena mondiale sia politica sia economico-commerciale. Ma la delusione del F. aveva anche motivi personali - la sensazione di essere sottovalutato ed inascoltato - e contingenti: al suo arrivo a Washington fu accolto dal console in New York G. B. Raffo, perché presso la legazione italiana non era rimasto alcun funzionario dopo la partenza del segretario di legazione P. P. Beccadelli e Acton principe di Camporeale, avvenuta varie settimane prima. "Completamente solo, senza né segretari né addetti come fui lasciato per ben nove mesi" egli affrontò la realtà americana, senza sapere che quello sarebbe stato il suo posto per ben venti anni, divenendovi infatti decano del corpo diplomatico ed assistendo alla trasformazione degli Stati Uniti in grande potenza.
All'inizio, in verità, lo sorprese il modo di considerare le vicende europee e segnatamente italiane, frutto della relativa indifferenza degli Stati Uniti verso parte dell'Europa. Ma, col passare del tempo, ben altri furono i problemi che dovette affrontare in seguito alla imprevista e notevolissima crescita dell'emigrazione italiana negli USA. La sua azione fu spesso intralciata sia dalle poco tolleranti autorità statunitensi sia dalle litigiose comunità italiane, di cui talvolta facevano parte personaggi ambigui, pronti a denigrare i rappresentanti del governo italiano. Un episodio in particolare, le calunnie mosse da un avventuriero, certo Celso Cesare Moreno, ebbe echi nel Parlamento italiano, dove il F., posto sotto accusa per le voci propagate da questo, fu pubblicamente riabilitato dal ministro degli Esteri.
Nel 1891, in seguito al linciaggio di un gruppo di italiani a New Orleans, alla sospettata responsabilità di autorevoli personaggi locali e alla scarsa energia con cui le autorità statali della Louisiana indagavano sul fatto, il F. chiese ufficialmente al governo federale un impegno nella ricerca dei colpevoli. Il tassativo rifiuto americano di discutere il grave fatto indusse il ministro degli Esteri A. di Rudini a richiamare il F. a Roma; nello stesso tempo il rappresentante statunitense in Italia A. G. Porter lasciò la capitale italiana per rientrare negli Státi Uniti. La crisi diplomatica tra i due paesi, che rasentò la rottura e durante la quale, in certi ambienti, si ventilò l'ipotesi di una guerra, durò circa un anno: fu infatti solo nell'aprile 1892, dopo il pagamento delle indennità alle famiglie delle vittime, che il F., nel frattempo promosso inviato straordinario e ministro plenipotenziario di prima classe, tornò negli Stati Uniti. Questo ed altri analoghi fatti furono oggetto di alcune riflessioni del F. in un articolo, I linciaggi agli Stati Uniti, pubblicato alla fine della carriera in Nuova Antologia, 16 febbr. 1902, pp. 644-649.
La distensione nelle relazioni tra Italia e Stati Uniti portò nel 1893 all'elevazione della rappresentanza italiana al rango di ambasciata, con il conseguente conferimento al F. delle credenziali di ambasciatore. L'iniziativa conobbe la reciproca con l'innalzamento ad ambasciata della legazione americana in Italia. Ulteriore frutto del clima sereno fu l'istituzione di un ufficio di informazioni e protezione dell'emigrazione italiana ad Ellis Island, voluto dal F. che riteneva indispensabile orientare convenientemente l'emigrazione dalla penisola, dirottandola cioè dai grandi ma saturi centri urbani verso il settore agricolo. L'ufficio ebbe vita breve: si concluse infatti il 1º genn. 1900 con la soppressione voluta da parte statunitense, contraria fin dall'inizio a causa della gestione italiana e non americana dell'istituzione, ma anche convinta del suo fallimento.
Nominato senatore del Regno nel 1898, il F. terminò la lunga permanenza americana il 18 apr. 1901, e venne collocato a disposizione del ministero. Il 9 maggio fu collocato a riposo. Nel 1910 gli fu conferito il titolo onorario di ambasciatore.
Morì a Roma il 2 ott. 1913.
Un elenco delle pubblicazioni del F. (per lo più articoli apparsi sul Bollettino consolare, poi dal 1888 Bollettino del Ministero degli Affari esteri) è in La formazione della diplomazia nazionale, p. 317; qui ci limitiamo a segnalare alcuni articoli che possono servire anche come fonte per la ricostruzione della sua attività diplomatica: Ragguagli sul movimento generale dell'immigrazione agli Stati Uniti nel 1885-86 e nei susseguenti dieci mesi finiti al 30 apr. 1887, in Bollettino consolare, XXIII (1887), 2, pp. 125 ss.; Movimento generale dell'immigrazione agli Stati Uniti nell'anno amministrativo 1886-87 desunti dalla relazione annuale del Foreign Commerce, Immigration and Tonnage, in Boll. del Ministero degli Affari esteri, I (1888), 1, pp. 459 s.; Le finanze degli Stati Uniti e l'immigrazione italiana, ibid., VIII (1895), pp. 169 ss.; Le colonie agricole italiane nell'America del Nord, in Nuova Antologia, 1º ott. 1904, pp. 462 ss.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. del ministero degli Affari esteri, Fondo personale, VII, F 3; Le scritture del Ministero degli Affari esteri del Regno d'Italia dal 1861 al 1887, a cura di R. Moscati, Roma 1953, ad Indicem; I fondi archivistici della legazione sarda e delle rappresentanze italiane negli USA (1848-1901), a cura di C. M. Aicardi A. Cavaterra, Roma 1988, ad Indicem; I documenti diplomatici italiani, a cura del ministero degli Affari esteri, s. 2, I, Roma 1960; II, ibid. 1966; III, ibid. 1969; V, ibid. 1979; X, ibid. 1976; s. 3, II, ibid. 1958; III, ibid. 1962, ad Indices; F. Loverci, Il primo ambasciatore ital. a Washington: S. F., in Clio, XIII (1977), pp. 239-276; Università degli studi di Lecce, La formazione della diplomazia nazionale (1861-1915). Repertorio bio-bibliografico dei funzionari del ministero degli Affari esteri, Roma 1987, pp. 316 s.; A. Cavaterra, La rappresentanza italiana in Washington 1881-1914, in La formazione della diplomazia italiana 1861-1915, a cura di L. Pilotti, Milano 1989, pp. 656-662.