Savio, Francesco
Nome d'arte di Francesco Pavolini, critico cinematografico e regista teatrale nato a Roma il 15 dicembre 1925 e morto ivi il 26 ottobre 1976. È stato uno dei maggiori storici del periodo del muto in Italia e del cinema realizzato fino agli anni Cinquanta. La scrittura di S. risulta sempre limpida e precisa, in grado di raggiungere un livello di sintesi come raramente, forse mai, si è riscontrato nella storia della critica cinematografica italiana (Cordelli 2002).
Figlio di Corrado Pavolini, poeta e regista teatrale, iniziò la sua attività in ambito cinematografico partecipando all'organizzazione a Roma del Festival internazionale del cinema, teatro e musica promosso da Guido Salvini (1945). Si diplomò poi all'Accademia d'arte drammatica diretta da Silvio D'Amico e prese lo pseudonimo Savio dall'opera teatrale Ciascuno a suo modo di L. Pirandello (1923). Fu assistente di Orazio Costa, corrispondente teatrale di quotidiani e collaboratore in riviste come "Teatro", "Cinema" e "Cinema nuovo". Realizzò alcune regie teatrali con scarso successo. Fu direttore della sezione Cinema dell'Enciclopedia dello Spettacolo e, nel 1955, scomparso il fondatore Silvio D'Amico, divenne caporedattore dell'opera, che, per carenza di finanziamenti, portò a completamento secondo un piano meno ampio di quello originale. Curò alcune retrospettive alla Mostra del cinema di Venezia, affidategli da Luigi Chiarini, e i relativi cataloghi (Buster Keaton, 1963, in collaborazione con D. Turconi; Esperienze del cinema sovietico 1924-1939, 1963; La parola e il silenzio. Il film scandinavo dalle origini al 1954, 1964; La scuola scandinava 1907-1954. Retrospettiva del cinema danese, finnico, norvegese e svedese, 1964). Fu collaboratore di rubriche culturali televisive (Almanacco, Settimo giorno), curando anche e presentando cicli di film. Per la televisione e la radio realizzò inoltre diversi adattamenti e regie.
Nel 1972 pubblicò Visione privata. Il film "occidentale" da Lumière a Godard, "testimonianza diretta di una lunga, e goduta, attività di voyeur", come S. dichiara nella premessa. Con questo libro articolato seguendo le diverse correnti nazionali del cinema occidentale (la via francese da Lumière a Jean-Luc Godard; la via americana da David Griffith a Orson Welles; la via italiana dal muto al Neorealismo; la via tedesca dall'Espressionismo a Max Ophuls; la via scandinava dalle origini a Ingmar Bergman, la via britannica, limitatamente al periodo di Alfred Hitchcock e Ewald A. Dupont), S. cerca di fare giustizia dei luoghi comuni sul cinema avant Godard, trattando i registi in maniera inversamente proporzionale alla quantità di letteratura critica pubblicata su di loro; un recupero critico e al tempo stesso affettivo dei film visti durante l'infanzia e l'adolescenza. Ma l'amore no. Realismo, formalismo, propaganda e telefoni bianchi nel cinema italiano di regime (1930-1943), pubblicato nel 1975, è invece una filmografia ragionata di 720 film prodotti in Italia dall'avvento del sonoro alla caduta del fascismo. Proseguimento e approfondimento di quest'ultimo libro è Cinecittà anni Trenta. Parlano 116 protagonisti del secondo cinema italiano (1930-1943), costituito da 116 interviste ai protagonisti superstiti del periodo, che S. registrò con il magnetofono dal novembre del 1973 al novembre 1974. Il libro ebbe molte difficoltà editoriali, Sonzogno si spaventò per la mole del lavoro (oltre mille cartelle), ma S. continuò a rifiutarne una versione ridotta. Solo nel 1979, tre anni dopo che S. si era tolto la vita, il volume venne terminato a cura di Tullio Kezich, con minimi tagli e correzioni solo formali alle interviste, e pubblicato da Bulzoni.
Nel 1973 l'allora neodirettore di "Il mondo", Renato Ghiotto, offrì a S. la rubrica di critica cinematografica. Accettando una collaborazione che durò fino al maggio del 1976, S. contravveniva a un suo principio secondo il quale non si sarebbe potuto parlare di un film prima che fossero trascorsi venticinque anni dalla sua uscita nelle sale (Cordelli, Greco 2002, p. 6). Negli articoli, che si concludono con le stesse parole del sottotitolo, S. prende spunto da un film per esporre le sue teorie sul cinema che poi inserisce in una prospettiva storica, abbracciando diverse opere e periodi cinematografici, soprattutto quello dei telefoni bianchi: "è dall'epoca dei telefoni bianchi che il cinema italiano non viveva un'esperienza più congeniale al suo pubblico, e più lontana dalle sue ambizioni", scrive a proposito dei film tratti da Boccaccio (articolo del 5 aprile 1973). S. inoltre evidenzia con forza la linea di demarcazione rappresentata dalla Nouvelle vague (articoli del 15 febbraio 1973 e 10 maggio 1973). Alcuni dei principi che S. enunciò sul cinema sembrano anche appartenere alla personale strategia critica che caratterizza i suoi articoli, come quando a proposito di Ludwig (1972) di Luchino Visconti scrive che "Un film tanto più è grande quanto più riflette, dilatandolo, il seme da cui nasce" (articolo del 22 marzo 1973), oppure quando dice che "il cinema nasce all'incrocio della massima impersonalità col massimo soggettivismo" (articolo del 14 giugno 1973). Nel suo ultimo articolo su "Il mondo" (20 maggio 1976), polemizzando con Elio Petri paragona il mestiere del critico e quello del regista: "Cosa conta la pagina scritta, di fronte al lampo perentorio dell'immagine! Più il critico si affanna, un po' stordito, a consumarsi gli occhi, più quello, nel tempo di un attimo trafigge la nostra memoria e vi si installa per sempre".
Nel 2002 lo scrittore-critico Franco Cordelli e il regista Emidio Greco hanno curato la raccolta delle recensioni di S. apparse su "Il mondo" tra il gennaio del 1973 e il maggio del 1976.
G. Pacuvio, in Enciclopedia dello spettacolo, 7° vol., Roma 1975, pp. 1800-01; F. Cordelli, E. Greco, Il mondo di Francesco Savio, e L. Pellizzari, Savio ma non troppo, introduzione e postfazione a Il mondo di Francesco Savio. Recensioni 1973-1976, a cura di F. Cordelli, E. Greco, Alessandria 2002, pp. 5-10 e 290-96.