SCHUPFER, Francesco
– Nato a Chioggia, il 6 gennaio 1833, da Francesco, che esercitava il ruolo di pretore, e Anna Duse Masin, studiò giurisprudenza a Innsbruck e, successivamente, a Heidelberg, dove seguì i corsi di Karl Adolph von Vangerow, che ricordò, con sentimenti di gratitudine, come principe dei moderni pandettisti. Concluse gli studi universitari a Vienna, dove si laureò in giurisprudenza il 9 febbraio 1858. Coltivò gli studi storico-giuridici e segui un corso di Georg Waitz a Göttingen. Docente privato di storia del diritto a Padova (1860), mostrò la propria indipendenza scientifica dalle direttive di un governo, che imponeva di privilegiare l’insegnamento della storia dell’impero e del diritto germanico e si concentrò sul diritto longobardo, con il segreto scopo di sottolineare il lento processo di emancipazione delle popolazioni italiche e di riorganizzazione della società medievale, con la graduale riscoperta del diritto romano.
È lo spirito che anima il lavoro Degli ordini sociali e del possesso fondiario appo i Longobardi (Wien 1861), in cui riscontrava i primi segni di ripresa della vita economica. Nelle Istituzioni politiche longobardiche libri due (Firenze 1863) non mancava di sottolineare, oltre all’originario nucleo germanico dell’editto di Rotari, le suggestioni, esercitate dal modello romano, visibili nella tendenza all’accentramento e alla riaffermazione del potere regio. Registrava anche le influenze crescenti, esercitate dal diritto romano sulle norme successive, emanate dai sovrani longobardi, attraverso una ricostruzione, che non nascondeva la propria passione civile.
Nel breve volgere di pochi anni, Schupfer sviluppò una vasta rete di relazioni con gli esponenti del mondo liberale padovano, tra cui Antonio Tolomei, Eugenio Fuà e il conte Giovanni Cittadella. Sposò la figlia di Carlo Zambardi, presidente del Comitato di pubblica vigilanza sotto Daniele Manin, dalla quale ebbe due figli: Ferruccio, docente di patologia generale e di clinica medica a Firenze, e Carlo, avvocato. Nel 1864 fu nominato professore straordinario a Innsbruck, con l’attribuzione anche dell’insegnamento di diritto amministrativo (1865). Con la conclusione della terza guerra d’indipendenza, maturarono le condizioni per il suo reintegro nella facoltà padovana, che aveva dovuto lasciare. Divenne professore straordinario di diritto romano (1866) e, successivamente, ottenne il ruolo di ordinario (1868), con l’aggiunta dell’incarico di istituzioni di diritto romano (a partire dal 1873).
Negli anni padovani, sviluppò un ampio piano di lavoro, che non trascurava i problemi della società medievale e delle sue istituzioni e gli aspetti rilevanti della riorganizzazione della scientia iuris nell’età del rinascimento giuridico. Realizzò anche interventi pionieristici sul diritto moderno attraverso un programma che non smentiva l’opzione riformista di uno studioso attento ai problemi del suo paese e del suo tempo. Nel pregevole saggio Degli ordinamenti economici in Austria sotto Maria Teresa (in Archivio giuridico, I (1868), II, pp. 52-76, 134-183, 219-287, 337-391, 449-504, 559-622), Schupfer teorizzava un più avanzato concetto di Stato, attento al benessere generale, in cui non è difficile intravedere un riferimento polemico alla precedente dominazione austriaca, che aveva avversato decisamente, con un’esaltazione delle libertà moderne e dei diritti civili («solo il costituzionalismo può salvare il vero carattere della polizia, ovverossia rende possibile di esercitarla con buon effetto»: ibid., p. 622).
Di un certo interesse fu una parziale Storia del diritto pubblico di Roma (Padova 1867), che inaugurava il nuovo insegnamento, mentre, di maggior rigore, si rivelò il più corposo testo Il diritto delle obbligazioni secondo i principii del diritto romano (Padova 1868), che dichiarava di voler indagare, attraverso la vicenda plurisecolare di un’esperienza giuridica straordinaria e la sua ‘strategica’ capacità di adattamento, la statica e la dinamica dei sistemi giuridici. Nel lavoro, l’esame attento delle fonti era assistito da una preziosa conoscenza della letteratura scientifica europea (prevalentemente tedesca), padroneggiata con grande competenza e sicurezza. Decisamente più legato all’epoca alto-medievale era il saggio su La famiglia presso i Longobardi (Bologna 1868), che ricostruiva il momento iniziale dello scontro tra ordinamenti tanto diversi e le caratteristiche peculiari del modello sociale, adottato dalle popolazioni germaniche. Era maggiormente attento al mondo più effervescente della rinascita economica e civile, il lavoro su La società milanese all’epoca del risorgimento del Comune (Bologna 1869): testi, che rispecchiavano due stadi diversi della storia della società italiana (riflessi nelle forme organizzative), riletti attraverso un’indagine non limitata alle sole fonti giuridiche.
Nella densa ricognizione su Le donazioni tra vivi nella storia del diritto italiano (Firenze 1871), Schupfer celebrava il contributo costruttivo dei glossatori e commentatori italiani, capace di sostenere la marcia evolutiva di un sistema giuridico in crescita (modello, che indicava alla scienza giuridica del suo tempo per affrontare le sfide del presente), in presenza della riorganizzazione della società medievale. Di maggiore impegno, l’ultima monografia, elaborata negli anni patavini, La famiglia secondo il diritto romano (Padova 1876), che approfondiva la disciplina del matrimonio e dei rapporti tra i coniugi, con una densa trattazione sulla dote. Seguiva l’evoluzione degli istituti del diritto antico, fino alle nuove leggi e all’influsso esercitato dal cristianesimo, con ricchezza di riferimenti anche ai classici e alla letteratura.
Nel 1878 Schupfer decise di accettare il trasferimento a Roma (aveva rifiutato una precedente proposta, nonostante l’iniziativa fosse promossa da Filippo Serafini), chiamato dopo la morte di Guido Padelletti, anche per concorrere al dibattito culturale del paese, nell’ambito di un ateneo in progressiva ristrutturazione. Sulla sua scelta pesarono le suggestioni esercitate dall’ambiente certamente più dinamico della nuova capitale, ma anche la volontà di inserirsi nella nuova classe dirigente nazionale, grazie all’accresciuta visibilità accademica e istituzionale.
Socio effettivo della Deputazione di storia patria delle Venezie (1876), diventò socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei (1880) e poi socio nazionale (1883), membro della Società romana di storia patria (1880), socio corrispondente dell’Accademia pontaniana (1907). Entrò nel Consiglio superiore della Pubblica istruzione (1881-1906) e nella relativa giunta (1886-1901).
Con il passaggio della prestigiosa Nuova Antologia nella capitale, Schupfer diede vita a una ‘fortunata’ rassegna, che si proponeva di modernizzare gli studi storico-giuridici e di istituzionalizzare un metodo di lavoro scientificamente più avanzato. È il contesto in cui esplose la polemica rumorosa, e spesso, ingenerosa, contro la Storia di Antonio Pertile (in Nuova Antologia, 1881, pp. 738-740). Decisamente più moderno il suo approccio, ma molto prevenuta la valutazione della poderosa esperienza del suo antagonista. Sul contrasto ventennale pesarono, più delle diverse opzioni scientifiche, preoccupazioni di protagonismo accademico e competizione intellettuale.
Negli stessi anni, Schupfer si espresse politicamente a favore della crescita sociale delle istituzioni liberali, sottolineando l’urgenza della tutela del mondo del lavoro, privo di diritti e di garanzie («generalmente è il grande industriale che detta legge»), dal momento che, con lo sviluppo economico, si era prodotto «un nuovo servaggio, tanto più odioso dell’antico» (La questione sociale e la cassa pensioni per la vecchiaia, Roma 1882, p. 26). Sollecitò politiche pubbliche socialmente più avanzate, con la graduale integrazione delle masse, per cui considerava necessario riconoscere «la libertà dei lavoratori di coalizzarsi e di mettersi in sciopero» (ibid., p. 42) e assicurare una maggiore tutela sui luoghi di lavoro (La responsabilità dei padroni per gli infortuni sul lavoro, Roma 1883).
Nel poderoso lavoro sull’Allodio (in Digesto Italiano, vol. II, pt. II, Torino 1885, pp. 445-502), centrato sul riconoscimento dell’esistenza della proprietà collettiva originaria (ibid., pp. 466-467), Schupfer sottolineava il carattere più umano della proprietà germanica e del suo superiore spirito sociale, vanificato dalla disciplina normativa più recente, «il cui unico scopo sembra essere nuovamente quello di assicurare il benessere dell’individuo, anche a rischio di scuotere le basi della società» (ibid., p. 502).
Nell’ultimo decennio dell’Ottocento, lo storico veneto intervenne, a più riprese, nel dibattito sulla scienza giuridica pre-bolognese, rilanciato dalla celebrazione dell’ottavo centenario dell’ateneo, difendendo l’originalità scientifica dei glossatori, rispetto alla tesi di Nino Tamassia sull’influenza dominante, esercitata dai giuristi bizantini (Di Cecca - Ferri, 2015).
Molto perplesso sui risultati scientifici della frenetica attività di Hermann Fitting e sulle sue precipitose attribuzioni a Irnerio delle Quaestiones e della Summa (cfr. Le Quaestiones de juris subtilitatibus e la Summa Codicis, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, XVIII (1894), pp. 346-366; La scuola di Roma e la questione irneriana. Memoria, in Atti dell’Accademia dei Lincei, CCXCIV (1897), pp. 1-168), Schupfer diede un certo credito alla tesi della sopravvivenza della scuola di Roma, risorta in epoca ottoniana (che, successivamente, avrebbe lasciato il testimone a quella di Ravenna, secondo la tradizione odofrediana; una tesi, che salvava non solo il racconto bolognese, ma anche la continuità della scienza giuridica romanistica, ormai abbandonata dalla storiografia).
Nominato senatore il 17 novembre 1898, Schupfer entrò nel gruppo liberale-democratico (successivamente, Unione Democratica), in linea con una sensibilità liberale evoluta. Intervenne raramente nel dibattito in aula, pur con l’autorevolezza che gli era riconosciuta, generalmente, sulle questioni universitarie (fu membro supplente della Commissione d’accusa dell’Alta Corte di giustizia dal 2 gennaio 1901 e membro ordinario dal marzo 1917 al 28 dicembre 1918), prediligendo l’impegno scientifico.
Estese le sue ricerche ad altre esperienze di grande interesse, in cui seppe cogliere anche manifestazioni importanti del rinascimento giuridico, come gli studi pionieristici sulle Consuetudini marittime di Amalfi e Trani (Roma 1892), e la preziosa edizione dello Splendor Venetorum (Splendor Venetorum Civitatis Consuetudinum Jacobi Bertaldi primum edidit Franciscus Schupfer, Bononiae 1895), che portava a compimento un impegno risalente agli anni padovani. Dedicato al Basso Medioevo, il lavoro sulle obbligazioni contrattuali negli Statuti di Roma, che riscontrava, in un’area di grande interesse, la scomparsa del diritto longobardo in seguito alla rinascita economica e sociale e alla connessa riorganizzazione di un assetto normativo più evoluto (La teoria generale delle obbligazioni particolarmente contrattuali: studi sugli statuti di Roma e dello stato romano, Torino 1899).
Di un certo rilievo fu il Manuale di storia del diritto. Le Fonti, leggi e scienza (Città di Castello 1892; altre edizioni, 1895, 1904, 1908), che riservava grande spazio all’editto longobardo, considerato schiettamente germanico (ibid., p. 106), e soggetto a un’influenza nordica (ibid., p. 114). Schupfer riconosceva la suggestione, esercitata anche dal diritto romano (ibid., p. 118) e un’influenza crescente del cattolicesimo (più rilevante, nei capitoli aggiunti dagli ultimi sovrani longobardi). Dedicava una certa attenzione anche agli elementi strutturali del mondo feudale, esaminando le caratteristiche del particolarismo dell’età postcarolingia, in cui colse il tentativo, sia pure problematico, di riaggregare e riorganizzare una società sconvolta dalle nuove dominazioni, priva di un ordinamento unificante, con la ricollocazione storica del feudalesimo, delle giurisdizioni e delle immunità ecclesiastiche. Molto informata, la ricostruzione del rinascimento giuridico di glossatori e commentatori, che riconosceva il significato scientifico straordinario dell’esperienza bolognese. Altrettanto pregevole, la ricognizione sull’umanesimo, il mos gallicus e il mos italicus, sintesi efficace del processo di rinnovamento di una cultura giuridica, che si apriva gradualmente al moderno. Di straordinario interesse, l’attenzione riservata al riformismo settecentesco e alle iniziative sviluppate nel clima dell’assolutismo illuminato.
Il lavoro di Schupfer probabilmente più impegnativo e sicuramente più discusso, anche per il titolo ‘provocatorio’, fu Il diritto privato dei popoli germanici con speciale riguardo all’Italia (I-IV, Città di Castello 1907-09; rist., con significative varianti, Roma 1913), che realizzava un poderoso impegno di ricostruzione (in cui confluiva il risultato scientifico di tanti studi precedenti). Dedicato ai principali istituti giuridici di natura privatistica, segnalava i sostanziosi scostamenti, rispetto all’esperienza giuridica romana, riscoperta e ripensata, nei secoli della rinascita dalla giurisprudenza bolognese (a cui avrebbe dedicato un’altra trattazione, poi non realizzata). Ricostruiva il contesto, in cui era emerso il nuovo diritto di famiglia, condizionato anche dalle istituzioni ecclesiastiche; il diritto di proprietà aveva assunto maggiore spirito sociale («la proprietà germanica, a differenza di quella tramandata dal duro genio di Roma, è anche una proprietà più umana»: ibid., II, p. 104; un Leitmotiv della sua esperienza storiografica, come mostra anche il saggio Il Cadore, i suoi monti e i suoi boschi, Roma 1912); si erano sviluppati gli istituti feudali, mentre, con la crescita economica, si sarebbero create le premesse per la riemersione del diritto romano, la nascita di nuove figure giuridiche e il mutamento degli stessi istituti germanici, che avrebbero assunto un profilo diverso.
L’orientamento del testo fu, come era prevedibile, molto discusso per il significato ideologico che la storia medievale assunse nel clima della prima guerra mondiale, in cui l’approccio schupferiano sembrò eccessivamente condizionato dalle suggestioni, esercitate dalla storiografia tedesca di Andreas Heusler, Heinrich Brunner, Otto von Gierke, Richard Schröder, Friedrich von Thudicum (Paradisi, 1973; Conte, 2013). Giustamente l’allievo Giuseppe Salvioli metteva in guardia dalla tentazione di giudicare i libri «dal titolo che portano sulla copertina» e mentre riconosceva, senza riserve, la solidità di un poderoso impegno di risistemazione (in Rivista italiana di sociologia, XIV (1910), p. 238), puntualizzava che il lavoro di Schupfer non riguardava «la storia del diritto italiano sotto le dominazioni germaniche, ma invece, e non si deve dimenticarlo, la storia del diritto che i Germani praticavano in Italia nei territori da essi occupati, il che è ben diverso» (ibid., p. 239).
Nei lunghi saggi su Gaeta e il suo territorio. Studi sul diritto privato gaetano dal secolo nono a tutto il decimo terzo (1915) e Gaeta e il suo diritto: lo statuto cinquecentesco (1916), Schupfer replicava alla tesi di Benvenuto Pitzorno, che aveva sostenuto l’estraneità dell’area di Gaeta al diritto longobardo. Nel clima incandescente della prima guerra mondiale, sostenne lunghe polemiche con Melchiorre Roberti (allievo di Tamassia), Enrico Besta, convinto dell’autonomia del mondo sardo, e Federico Ciccaglione, che aveva applicato lo stesso criterio alla realtà siciliana e meridionale.
Rappresenta il suo ultimo impegno scientifico rilevante Il diritto delle obbligazioni in Italia nell’età del Risorgimento (I-III, Milano-Torino-Roma 1920-21), che raccoglieva l’eredità di una lunga attività di ricerca, in cui trovava sistemazione, la sua sensibilità di romanista e una vastissima conoscenza del diritto statutario. Registrava una dismissione del tradizionale spirito polemico e una considerazione più parsimoniosa del ruolo svolto dal diritto longobardo, probabilmente condizionata dalla conclusione del conflitto mondiale e dal surriscaldamento emotivo, che contagiò anche il mondo accademico.
Schupfer venne collocato a riposo il 16 ottobre 1920 e nominato professore emerito, su proposta del preside Antonio Salandra, il 27 novembre dello stesso anno. Si spense a Roma l’8 settembre 1925 e venne commemorato in Senato, nella seduta del 16 novembre, dal presidente Tommaso Tittoni, che ne ricordò il lungo magistero intellettuale e scientifico.
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