BORGHESE, Francesco Scipione
Nacque a Roma il 20 maggio 1697, da Marco Antonio, principe di Sulmona, e da Flaminia Spinola. Destinato alla carriera ecclesiastica, la sua prima educazione fu affidata alle cure erudite e allo zelo religioso del teologo domenicano francese I. G. Graveson, personaggio allora assai noto a Roma per la sua dottrina, tanto da diventare poi l'ascoltato consigliere teologico di papa Benedetto XIII e l'ispiratore di alcuni tra i più importanti documenti dottrinali emanati dallo stesso papa Orsini. Addottoratosi in teologia alla Sapienza il 5 ott. 1717e in utroque il 1º apr. 1721, entrò ben presto al diretto servizio di Benedetto XIII: l'Orsini, infatti, pochi mesi dopo la sua elezione al pontificato, lo scelse, il 7 settembre del 1724, per l'ufficio di suo prelato domestico, cui si aggiunse, due giorni dopo, la carica di referendario delle due segnature. I primi passi della carriera ecclesiastica del B. - che prese gli ordini nel gennaio-febbraio 1728 - si svolsero quindi sotto la tutela diretta del pontefice, il quale, pur nelle sue dominanti preoccupazioni rebgiose sempre disposto a favorire i suoi più vicini collaboratori, corrispose con generosità alle attese del giovane prelato romano, eleggendolo maestro di camera, il 1º febbr. 1728, arcivescovo di Traianopoli nel concistoro dell'8 marzo 1728, vescovo assistente al soglio pontificio il 14 marzo seguente, prefetto del palazzo apostolico il 26 marzo 1729 e finalmente promuovendolo il 6 luglio 1729 alla dignità cardinalizia, con il titolo di S. Pietro in Montorio (cambiato poi con quelli di S. Silvestro in Capite, di S. Maria in Trastevere, di Albano e di Porto). Chiamato a fare parte di varie congregazioni cardinalizie, il B. svolse per parecchi anni la sua attività soprattutto in questi organismi del governo ecclesiastico, dove, tuttavia, non acquistò mai un posto di particolare evidenza: fu membro delle Congregazioni dei Riti, del Concistoro, del Buon Governo e della Consulta.
In una attività rimasta sempre piuttosto oscura, priva di incombenze rilevanti o di iniziative di particolare risonanza, una breve, ma intensa parentesi fu quella degli anni tra il 1742 e il 1745, quando il B. fu designato dall'imperatore Carlo VII alla carica di protettore della nazione tedesca. Tale carica si rivelò subito assai impegnativa: il B. si vide infatti attribuire con essa piuttosto una parte di rappresentanza personale dell'imperatore presso Benedetto XIV, che non il compito, connesso al titolo di protettore e spesso prevalentemente onorifico, di rappresentanza degli interessi religiosi dei cattolici di Germania presso il collegio cardinalizio. E tale funzione essenzialmente diplomatica era resa particolarmente delicata dai frangenti della politica internazionale nei quali si situavano i rapporti tra la Curia pontificia e l'imperatore.
L'elezione da parte della dieta imperiale di Francoforte, il 7 nov. 1741, di Carlo Alberto di Wittelsbach, principe elettore di Baviera e re di Boemia, il quale aveva assunto appunto il nome di Carlo VII, era stata un evidente risultate delle pressioni delle potenze borboniche, una nuova manifestazione del contrasto che le opponeva alla regina di Ungheria Maria Teresa d'Asburgo, la quale in effetti aveva protestato contro l'elezione, dichiarandola nulla. Il problema del riconoscimento della elezione imperiale metteva dunque papa Benedetto XIV di fronte alla necessità di prendere una posizione netta in quell'aspro contrasto, in drammatica contraddizione con l'atteggiamento di neutralità assunto dalla S. Sede sin dall'esplodere del conflitto, che aveva tratto motivo dalla questione della successione austriaca.
Vari motivi, tuttavia, dovevano inclinare il pontefice ad uscire da una posizione di equidistanza che peraltro non aveva sino allora mancato di manifestazioni di simpatia verso Maria Teresa. In realtà Benedetto XIV era combattuto tra l'orientamento tradizionale della diplomazia pontificia, che continuava a considerare l'alleanza austriaca come essenziale alla difesa degli interessi cattolici in Germania, nonché la casa d'Austria come la secolare tutrice della cristianità contro la minaccia turca, e le preoccupazioni diplomatiche nuove determinate dal desiderio di dare un contributo pacificatore della Chiesa al contrasto per l'equilibrio europeo: sicché la professione di neutralità del pontefice non si era espressa tanto in una linea di astensione nelle questioni in causa tra le due parti contrapposte, quanto piuttosto in manifestazioni di cordialità equamente distribuite tra i contendenti. Comunque il contrasto tra Carlo VII e Maria Teresa trovava, per quanto riguardava il problema del riconoscimento pontificio all'elezione imperiale, un significativo precedente nel riconoscimento esplicito compiuto da Benedetto XIV il 20 dic. 1740 dei diritti ereditari di Maria Teresa, un riconoscimento che in realtà rappresentava una chiara adesione alla candidatura imperiale del marito di Maria Teresa, Francesco Stefano di Lorena. D'altra parte pesava sulla decisione pontificia il fatto compiuto dell'elezione imperiale di Francoforte, nonché le molte dichiarazioni di Carlo VII e dei suoi sostenitori di voler promuovere senza riserve gli interessi cattolici in Germania.
In questa situazione il B. assunse la sua nuova carica col compito soprattutto di promuovere insieme con gli agenti delle potenze borboniche il riconoscimento pontificio di Carlo VII. Questo in effetti non tardò: Benedetto XIV espresse il suo riconoscimento in una allocuzione tenuta nel concistoro del 28 febbr. 1742. A indurre il pontefice a questo brusco cambiamento di indirizzo diplomatico dovettero valere soprattutto le argomentazioni, accortamente propostegli dal B. e dagli ambasciatori e cardinali borbonici - nonché dallo stesso segretario di Stato, il cardinale Valenti -, dell'affidamento che si poteva porre nella cura di Carlo VII per gli interessi della S. Sede e nell'efficacia distensiva che il riconoscimento pontificio avrebbe assunto, inducendo Maria Teresa a rassegnarsi al fatto compiuto e ad aderire a quella pacificazione alla quale Benedetto XIV tendeva tutte le sue energie. In effetti queste assicurazioni furono ben presto smentite dagli avvenimenti, giacché, pressoché contemporaneamente al riconoscimento papale, le armate asburgiche invadevano la Baviera e ne occupavano la capitale, mentre i contrasti tra la Curia ed il Wittelsbach non tardavano ad amareggiare il papa.
Il primo dissenso nacque sul problema della tradizionale conferma dell'elezione imperiale da parte del papa: una questione, cioè, apparentemente di procedura, ma che nasceva dalla preoccupazione di Carlo VII di riaffermare, di fronte ai principi elettori protestanti, l'autonomia della dignità imperiale dal consenso di Roma. Era una vertenza che per il suo ambiguo carattere si prestava a creare dissapori e risentimenti che in effetti non mancarono, mentre duravano assidue per circa due mesi le trattative condotte dal B. con lo stesso pontefice e con la speciale Congregazione cardinalizia da questo incaricata di dirimere l'incidente senza pregiudizio delle tradizionali prerogative papali. Gli sforzi del B. per arrivare a una formula di conferma che tutelasse la posizione di Carlo VII di fronte ai suoi elettori protestanti ottennero finalmente un risultato soddisfacente, specialmente per la mediazione dell'ambasciatore francese de Tencin: il 6 ag. 1742, infatti, venne concessa la conferma pontificia secondo le formule tradizionali in un concistoro mantenuto tuttavia segreto, e con l'impegno di tenere segreti anche i documenti relativi, "affinché" - scriveva l'ambasciatore asburgico alla regina d'Ungheria - i ministri di V. M. in Germania non rendessero ai principi protestanti odioso il presumpto imperatore et che il Papa medesimo aveva adotta questa ragione (Pastor, XVI, 1, pp. 72 s.). Per dare maggiore forza alle riserve imperiali sulla formula dell'investitura pontificia, il B. si astenne comunque dal partecipare al concistoro segreto.
La posizione del B. presso il pontefice divenne in seguito ancora più difficile per i nuovi motivi di scontento offerti dall'imperatore a Benedetto XIV: il papa ritenne infatti che l'annessione della provincia cattolica della Slesia alla Prussia protestante non fosse avvenuta senza il consenso dello stesso Carlo VII, mentre questi, a parere del pontefice, non si prodigò abbastanza per recuparare allo Stato della Chiesa il ducato di Parma e Piacenza, come Benedetto XIV ardentemente desiderava. Ma se il B. aveva buoni argomenti per giustificare in ciò l'imperatore con le ragioni della situazione internazionale, fu certamente più difficile difenderne l'atteggiamento sulla questione della secolarizzazione dei beni ecclesiastici in Germania, un atteggiamento che minacciava tutta la residua potenza della Chiesa cattolica nel paese e che l'avrebbe ridotta a una condizione di inguaribile inferiorità rispetto ai principi protestanti.
La questione era insorta al principio del 1743, durante le trattative di pace di Londra. Qui il rappresentante imperiale aveva esposto un progetto di secolarizzazione dei vescovati di Salisburgo, Passavia, Frisinga, Ratisbona, Eichstätt e Augusta, argomentando che tale provvedimento sarebbe valso a indennizzare la Baviera dei danni subiti durante il conflitto. Significativamente il progetto era stato appoggiato sia dal delegato di Federico II di Prussia, sia dai rappresentanti dell'Inghilterra al tavolo della pace. Lo sgomento della Curia a questa notizia si era accresciuto in seguito alla conferma del nunzio presso Carlo VII, Giorgio Doria, il quale aveva dovuto informare il pontefice che l'imperatore era perfettamente al corrente della proposta e che, nonostante le proteste dello stesso nunzio apostolico non intendeva recedere dal suo proposito, anzi pretendeva il consenso del papa alla secolarizzazione. La posizione del B. nella circostanza era estremamente delicata, stretto com'era tra l'intransigenza della Curia e quella della corte imperiale: e del resto i propositi di quest'ultima non potevano non suscitare anche in lui notevoli preoccupazioni; più che le sue arti diplomatiche, furono però la diplomazia austriaca e la corte di Vienna a rivolgere la situazione nel senso desiderato dal pontefice e a trarre d'imbarazzo il B.: informata infatti dai suoi rappresentanti a Londra del progetto, Maria Teresa si affrettò a pubblicarlo e a farne un clamoroso strumento di propaganda e di pressione politica sui cattolici della Germania meridionale, le cui proteste indussero finalmente l'imperatore, non soltanto a ritirare la sua adesione al progetto, ma anche a smentire di avervi comunque dato mai il proprio consenso.
La morte di Carlo VII, il 20 genn. 1745, mentre dava alle trattative di pace tra le potenze un più favorevole andamento, sbarazzando il campo diplomatico diuno dei maggiori ostacoli a un componimento dei contrasti, e anzi offrendo la dignità imperiale ormai disponibile come un compenso atto a risarcire l'Austria, restituì il B. al suo precedente anonimato. Da allora in effetti egli non riacquistò più in Curia il ruolo eminente di cui aveva così brevemente goduto, anzi è da supporre che la sua compromissione con una politica che si era rivelata così pericolosa per gli interessi della S. Sede dovesse pesare come un argomento decisivo per tenerlo lontano dagli affari.
Il B. partecipò a tre conclavi, nel 1730, nel 1740 e nel 1758: in nessuno di essi tuttavia assunse un ruolo di qualche importanza. Di particolari iniziative sue nelle diocesi che gli furono affidate si ricorda soltanto la costruzione della sede vescovile ad Albano.
Il B. morì a Roma, il 21 giugno 1759.
Fonti e Bibl.: P. Visconti, Città e famiglie nobili e celebri dello Stato pontificio, III, s.l.né d., pp. 959-961; L. Cardella, Mem. stor. de' cardinali della S. romana Chiesa, VIII, Roma 1794, pp. 241 s.; N. Borghese, Vita di santa Caterina da Siena... aggiuntovi l'elenco degli uomini illustri dell'eccellentissima casa Borghese, a cura di R. Luttazi, Roma s.d. (ma 1869), pp. 117 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, XV, Roma 1933, p. 555; XVI, 1, Roma 1935, pp. 72 s., 467; R. Ritzler-P.Sefrin, Hierarchia cath., V, Patavii 1952, pp. 38 s., 385; G. Moroni, Diz. di erudiz. storico-eccles., VI, pp. 44 s.