SEVERI, Francesco
SEVERI, Francesco. – Nacque ad Arezzo il 13 aprile 1879, da Cosimo, notaio, e da Licina Cambi. Fu ultimo di nove figli.
Il padre, patriota e garibaldino, si suicidò il 4 gennaio 1889, lasciando la famiglia in gravi difficoltà finanziarie. Le difficoltà dell’infanzia e della giovinezza lo segnarono profondamente. Sviluppò un carattere deciso e battagliero, ma anche un perenne senso di insoddisfazione e il costante timore di non essere benvoluto né sufficientemente considerato.
Fin dall’età di dodici anni contribuì al sostentamento economico della famiglia impartendo lezioni private. Grazie a una grande forza di volontà e a una capacità di lavoro straordinaria, che lo accompagnarono per tutta la vita, riuscì a formarsi un’ampia e varia cultura, completando brillantemente gli studi medi presso l’istituto tecnico di Arezzo. Una magra borsa di studio della Fraternità dei laici gli permise di intraprendere gli studi universitari, iscrivendosi al corso di ingegneria dell’Università di Torino, per poi trasferirsi a quello di matematica su consiglio dei suoi docenti.
In quegli anni insegnavano nella capitale sabauda Enrico D’Ovidio e alcuni dei giovani matematici italiani più promettenti: Giuseppe Peano, Vito Volterra e Corrado Segre. Severi fu attratto dalla complessa personalità di quest’ultimo, un misto di burbera severità e di appassionato entusiasmo per la matematica e per il suo insegnamento. Segre indirizzò Severi agli studi di geometria enumerativa e iperspaziale e il geniale allievo, che serbò per tutta la vita un grato ricordo del maestro torinese, si laureò in matematica il 30 giugno 1900, con una brillante tesi di geometria numerativa i cui risultati furono pubblicati in una serie di articoli (tra cui Le coincidenze di una serie algebrica ..., in Rendiconti della R. Accademia nazionale dei Lincei, s. 5, 1900, vol. 9, pp. 321-326).
Subito dopo aver conseguito la laurea divenne assistente di D’Ovidio, ma al termine dell’anno accademico 1900-01 fu licenziato perché il 10 ottobre 1901 si era unito in matrimonio con Rosanna Orlandini (1878-1952) senza darne notizia a D’Ovidio. Nel 1902 fu assistente di Federigo Enriques a Bologna e l’anno successivo di Eugenio Bertini a Pisa. Il contatto con Enriques lo convinse a dedicarsi allo studio della geometria delle superfici, il campo di indagine più avanzato della geometria algebrica del tempo, dove erano necessarie nuove idee e nuove energie per superare le difficoltà in cui si stava arenando la teoria dopo i grandi successi ottenuti con le famose ricerche dello stesso Enriques e di Guido Castelnuovo.
Nel 1904 fu nominato per concorso alla cattedra di geometria proiettiva e descrittiva dell’Università di Parma. L’anno seguente si trasferì nella stessa cattedra all’Università di Padova. Nel 1908 la morte di Giuseppe Veronese lasciò vacante la cattedra di geometria analitica dell’Ateneo patavino, che fu affidata a Severi per trasferimento. Questi trascorse diciassette anni a Padova, dove fu professore ordinario di geometria proiettiva, di geometria analitica, di matematiche superiori e di geometria superiore. Coprì anche diversi insegnamenti per incarico presso quella facoltà di ingegneria e presso l’Università di Ferrara.
Si occupò di politica sin da ragazzo, seguendo le correnti socialiste, «per cercare un po’ di riposo dall’ossessione della ricerca scientifica» (Roma, Archivio centrale dello Stato, f. F. Severi), che minacciava di minare seriamente la sua salute nervosa. Nel 1910 gli venne affidata la presidenza delle aziende municipalizzate del gas e dell’acquedotto. La sua amministrazione risolse importanti problemi organizzativi e di rinnovamento tecnico. Entrato ufficialmente nel Partito socialista, fu eletto consigliere comunale di Padova nel 1910 e nominato assessore all’Istruzione. Risale al periodo padovano il profondo legame di amicizia che lo legò a Tullio Levi-Civita. Uscì dal partito socialista in contrasto con la politica non interventista del partito alla viglia del primo conflitto mondiale. Partecipò volontario al conflitto, dove ottenne due croci di guerra per i suoi contributi al miglioramento del servizio fonotelemetrico e delle tavole di tiro utilizzate in artiglieria.
Nel 1921 fu chiamato ‘per chiara fama’ all’Università di Roma sulla cattedra di analisi algebrica, al termine di una complessa vicenda accademica che lo vide contrapporsi a Enriques, anche lui desideroso di trasferirsi nella capitale. Presso l’Ateneo romano passò alla cattedra di analisi infinitesimale nel 1927 (alla morte di Giuseppe Bagnera), poi a quella di analisi algebrica e infinitesimale nel 1936 e infine a quella di geometria superiore nel 1938, che si affrettò ad accettare dopo l’espulsione di Enriques in conseguenza delle leggi razziali.
Nel 1923, designato rettore dell’Università di Roma, confermò le sue qualità di amministratore capace, dando inizio alla creazione del consorzio per la costruzione della città universitaria e impegnando energia e competenza per l’attuazione della riforma Gentile all’Università.
Durante il mandato la sua gestione amministrativa fu oggetto di indagine, probabilmente sollecitata da colleghi disturbati dal suo modo di agire che cercava di porre freno al lassismo delle amministrazioni precedenti. L’indagine riconobbe l’assoluta correttezza del rettore ma ne intralciò severamente l’operato. Questo fatto, insieme alla sua adesione al Manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce e al disaccordo con il governo fascista in seguito al delitto Matteotti, indussero Severi ad abbandonare la carica rettorale nel 1925. Amico di Giovanni Gentile, riallacciò i rapporti con il fascismo cercando nel giuramento di fedeltà del 1931, che lui stesso suggerì a Mussolini, «una sanatoria per atti politici ormai lontani» (Lettera di F. S. a Giovanni Gentile del 15 febbraio 1929, in Gentile e i matematici italiani, a cura di A. Guerraggio - P. Nastasi, Torino 1993).
Nel 1929 fu eletto all’Accademia d’Italia e questo ruolo gli permise di divenire di fatto, per quindici anni, il ‘padrone’ della matematica italiana. Dal fascismo ebbe l’appoggio necessario per la creazione dell’Istituto di alta matematica, che definì «la massima aspirazione» (Roma, Archivio centrale dello Stato, f. F. Severi) della sua vita. L’Istituto, creato nel 1939, fu concepito come fiore all’occhiello della scienza italiana. Aveva il compito di agire come organo propulsore della ricerca matematica, attraverso il «proselitismo scientifico fra la gioventù» (Segre, 1963, p. VII) e la chiamata dei «maestri più insigni» e «dei giovani con maggior attitudine alla ricerca» (p. VII). Severi fu nominato presidente a vita dell’Istituto nel 1956, con legge speciale.
Durante il fascismo trascorse numerosi periodi all’estero per insegnamento o per conferenze. Nel 1944, denunciato dalla commissione di risanamento dell’Università di Roma e sospeso dall’insegnamento (31 luglio 1944), venne dispensato dal servizio dalla commissione di epurazione di primo grado (11 novembre 1944) sulla base di due contestazioni: aver compiuto ripetute manifestazioni di apologia fascista, e aver collaborato con il governo repubblicano fascista partecipando alla riunione all’Accademia d’Italia a Firenze nel marzo del 1944. La commissione centrale accettò il ricorso contro il secondo capo d’imputazione e ridimensionò le accuse di apologia, limitandosi a comminargli la semplice censura. Severi venne però espulso dall’Accademia dei Lincei e dovette attendere una nuova elezione per esservi riammesso.
I suoi rapporti con il fascismo non furono limpidi. Per esempio, è esecrabile la sua firma in calce all’ordine del giorno votato dalla commissione scientifica dell’Unione matematica italiana il 10 dicembre 1938 in cui si chiedeva al ministero dell’Istruzione di restituire tutte le cattedre lasciate libere dai matematici ebrei per occuparle con matematici ariani e rassicurando che la matematica italiana «anche dopo le eliminazioni di alcuni cultori di razza ebraica, ha conservato scienziati che bastano a mantenere elevatissimo il tono» della disciplina (Bollettino dell’Unione matematica italiana, s. 2, I (1939), 1, pp. 89 s.).
Severi è stato uno dei protagonisti, con Segre, Castelnuovo ed Enriques, della grande stagione della geometria algebrica italiana. Tra i suoi numerosi contributi, ci limitiamo a ricordare brevemente i principali (per una sintesi più ampia, cfr. Segre, 1962; Roth, 1963): a) La geometria delle varietà proiettive, in particolare la caratterizzazione della superficie di Veronese come unica superficie dello spazio proiettivo pentadimensionale la cui varietà delle secanti non riempie lo spazio e la dimostrazione che il gruppo di Picard della grassmanniana è generato dalla sezione iperpiana (dell’immersione di Plücker). b) Il teorema della base, che afferma che il gruppo di Neron-Severi di una superficie, ovvero il gruppo libero generato dai divisori modulo la relazione di equivalenza algebrica, è finitamente generato (Sulla totalità delle curve algebriche tracciate sopra una superficie algebrica, in Mathematische Annalen, 1906, vol. 62, pp. 194-225). c) Contributi al teorema fondamentale delle superfici algebriche complesse, secondo cui la dimensione dello spazio delle 1-forme olomorfe chiuse su una superficie algebrica complessa coincide con l’irregolarità della superficie, ovvero con la differenza tra il genere geometrico e il genere aritmetico. Questo risultato è il coronamento degli sforzi di numerosi autori, tra cui Charles-Émile Picard, Marie Georges Humbert, Castelnuovo, Enriques e Severi (Sulla differenza fra i numeri degli integrali di Picard della prima e della seconda specie appartenenti ad una superficie irregolare, in Atti dell’Accademia di Torino, 1905, vol. 40, pp. 288-296). d) Il principio di conservazione del numero e la geometria enumerativa, su cui tornò a più riprese per stabilire i primi fondamenti rigorosi della teoria (Sul principio della conservazione del numero, in Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, 1912, vol. 33, pp. 313-327). e) Lo studio dell’equivalenza razionale dei cicli algebrici e la teoria dell’intersezione per le varietà proiettive lisce complesse. Le idee di Severi in questo campo (Über die Grundlagen der algebraischen Geometrie, in Abhandlungen aus dem Mathematischen Seminar der Hamsburgischen Universität, 1933, vol. 9, pp. 335-364) furono violentemente criticate da André Weil al Congresso internazionale dei matematici del 1954. Bartel Leendert van der Waerden mostrò successivamente come fosse possibile svilupparle in maniera rigorosa (B.L. van der Waerden, Francesco Severi and the foundations of algebraic geometry, in Symposia mathematica (XXVII), Atti del Convegno..., Cortona... 1983, London-New York 1987, pp. 239-244). f) Il teorema di Dirichlet per una funzione 2-armonica. Severi dimostrò che l’equazione tangenziale di Riemann è sufficiente per garantire la soluzione del problema di Dirichlet per le funzioni analitiche (Risoluzione generale del problema di Dirichlet per le funzioni biarmoniche, in Rendiconti dell’Accademia nazionale dei Lincei, s. 6, 1931, vol. 13, pp. 795-804).
I contributi maggiori di Severi furono ottenuti per lo più entro la fine della prima guerra mondiale. La successiva attività si svolse in un periodo di profonda crisi della geometria algebrica, in cui cominciavano a manifestarsi i limiti dell’approccio puramente geometrico caratteristico della scuola italiana e si andava imponendo la necessità di introdurre nuovi metodi e di operare una rifondazione completa della teoria. Nonostante le aperture di Severi nei confronti dell’accettazione di alcuni di questi metodi, segnatamente quelli trascendenti e quelli topologici, la sua visione restò fondamentalmente ancorata alla tradizione della scuola di provenienza.
È stato osservato che molte dimostrazioni proposte da Severi e dai geometri italiani suoi contemporanei non si basano su un metodo rigoroso e che molti dei loro enunciati devono essere riformulati in maniera più restrittiva per poter essere dimostrati. A queste critiche Severi rispondeva osservando che esse «non diminuiscono in nulla l’opera del pioniere. È ben noto che la difficoltà di un nuovo indirizzo sistematico di pensiero è principalmente costituita dai suoi primi passi» (G. Fichera, Rivisitazione e storia: due aspetti contrastanti della storiografia scientifica, in G. Fichera, Opere storiche, biografiche, divulgative, a cura di L. Carbone et al., Napoli 2002, p. 369).
Severi ebbe sempre a cuore la creazione di una scuola matematica di eccellenza e per questo fondò l’Istituto di alta matematica. Fu un maestro molto generoso, ma anche molto geloso, con un carattere difficile, che gli impediva di accettare che le idee degli altri potessero risultare migliori delle proprie.
Moltissime furono le cariche e le onorificenze di Severi, che fu socio di quasi tutte le Accademie, italiane e straniere. Conseguì fin dai primi anni di attività numerosi e importanti riconoscimenti: la medaglia d’oro della Società dei XL (1906); il premio Bordin per una memoria scritta in collaborazione con Federigo Enriques sulla classificazione delle superfici iperellittiche (1907); la medaglia d’oro Guccia al IV Congresso internazionale dei matematici di Roma, per i progressi essenziali da lui apportati alla teoria delle superfici algebriche (1908). A completamento della lista dei premi principali ricordiamo il premio reale per la matematica dell’Accademia dei Lincei (1913) e il primo premio del Giubileo copernicano (1943).
Gli ultimi quattro anni della sua vita furono funestati da una dolorosa malattia per la quale dovette sottoporsi a numerosi interventi chirurgici.
Morì a Roma l’8 dicembre 1961.
Opere. Una lista completa dei suoi lavori si può trovare in F. Severi, Memorie scelte, Bologna 1950. Essa contiene 415 lavori, tra cui una trentina di pregevoli monografie scientifiche e numerosi articoli divulgativi, storici ed epistemologici.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione generale Istruzione universitaria. Fascicoli personali dei professori ordinari, s. 3, III versamento (1940-1970), b. 435, f. F. S.
B. Segre, L’opera scientifica di F. S., in Rendiconti di matematica e delle sue applicazioni, s. 5, 1962, vol. 21, pp. 524-584; L. Roth, F. S., in Journal of London mathematical society, 1963, vol. 38, pp. 282-307; B. Segre, F. S. (13 aprile 1879 - 8 dicembre 1961), in Annali di matematica pura e applicata, s. 4, 1963, vol. 61, pp. i-xxxvi; D. Babbitt - J. Goodstein, A fresh look at F. S., in Notices of the American mathematical society, s. 8, 2012, vol. 59, pp. 1064-1075.