SFORZA, Francesco
– Nacque a Parma il 6 novembre 1562 da Sforza Sforza, conte di Santa Fiora, e dalla sua seconda moglie, Caterina De’ Nobili, pronipote di papa Giulio III.
Restò a Parma per più di diciassette anni, educato alla corte del duca Ottavio Farnese. Poi passò a quella del granduca di Toscana Francesco I de’ Medici. Nel 1575 furono avviate trattative per un suo matrimonio con Virginia de’ Medici, figlia di Cosimo e di Camilla Martelli. Intorno al 1580, quindi, passò a militare nelle Fiandre, ove ebbe modo di distinguersi.
La morte del cardinale Alessandro Sforza di Santa Fiora (a Macerata, il 15 maggio 1581) mutò radicalmente le prospettive della sua carriera. Già il 21 maggio 1581, infatti, gli zii Mario e Paolo Sforza, con il loro cognato (Giacomo Boncompagni, figlio di Gregorio XIII), chiesero udienza al papa per presentargli Francesco e per suggerirne l’elevazione al cardinalato. Il pontefice inizialmente si schermì «perché il mondo l’harebbe giudicata per interessata» e soprattutto perché «questa attione di portarlo dalla spada et cappa al Cardinalato [era] cosa non usata dal Concilio in qua» (Il cardinal Ferdinando al granduca Francesco de’ Medici, Roma, 22 maggio 1581, Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 5090, n. 120, c. 320v). Per il momento, dunque, nulla da fare. Francesco, che aveva il titolo di marchese di Varzi, era a Roma ancora alla fine dello stesso maggio. Poi preferì lasciare la città, rientrando nelle Fiandre.
Fu un ritorno in grande stile, «con 20 gentilhuomini benissimo a cavallo, oltre alla famiglia che in tutto saranno da 40 bocche, tutte a sue proprie spese» (Avvisi di Roma del 28 luglio 1582, in Biblioteca apostolica Vaticana, Urb. lat. 1050, c. 269r). Sforza aveva avuto sontuose cavalcature in regalo dai cardinali Ferdinando de’ Medici, Luigi d’Este e Alessandro Farnese.
La stagione di impegni bellici non doveva però durare molto. Il papa, già nell’agosto del 1581, aveva iniziato a mutare opinione. Voleva solo aspettare. Il 12 dicembre 1583, Sforza fu creato cardinale diacono, con il titolo di S. Giorgio in Velabro.
Nell’immediato, Sforza faticò a entrare nel ruolo: appresa la notizia, si dimostrò «ritrosetto di questa dignità di cardinale come fanno le spose ai primi assalti» (Avvisi di Roma del 21 dicembre 1583, ibid., Urb. lat. 1051, c. 537r). Poi però, rientrato a Roma il 27 dicembre, tornò pienamente a suo agio, come se avesse sempre seguito la carriera ecclesiastica. Riprese a studiare, appassionandosi della storia ecclesiastica dalle opere di Cesare Baronio. Subito cercò una collocazione autonoma, all’interno degli schieramenti fazionari, equidistante fra Boncompagni e Medici, cui doveva in parte la promozione, e il potente cardinale Alessandro Farnese, di cui era comunque uno stretto consanguineo.
Intanto, nei compiti di governo cui veniva chiamato in Curia, la sua primitiva vocazione per la vita militare poteva tornare utile: nel 1588, Sisto V lo chiamò nella congregazione cardinalizia impegnata nella costituzione di una nuova flotta di galere. Quindi, il 20 luglio 1591 fu creato da Gregorio XIV legato di Romagna. In questa veste, combatté duramente il fenomeno del banditismo.
Nei tre conclavi del 1590-91, guidò la fazione cardinalizia legata al pontefice che lo aveva portato alla porpora, rimasta acefala per la morte dei cardinali Filippo Boncompagni e Filippo Guastavillani. In particolare, la successione al soglio pontificio dell’ottobre 1591 lo vide protagonista. Insieme alla fazione più vicina alla Spagna si spese molto per l’elezione di Giovanni Antonio Facchinetti, effettivamente asceso al soglio il 3 novembre, con il nome di Innocenzo IX.
Durante il pontificato del successore, Clemente VIII Aldobrandini, partecipò a tutte le congregazioni al lavoro per le principali questioni sul tappeto: l’uscita del Regno di Francia dalla sua profonda crisi politico-dinastica, esito ultimo delle guerre di religione del secondo Cinquecento; la guerra contro i turchi in Ungheria; la devoluzione del Ducato di Ferrara alla S. Sede dopo la morte del duca Alfonso II d’Este senza eredi riconosciuti legittimi da Roma. Su questo ultimo terreno, si mostrò particolarmente deciso e dopo la presa in consegna della ex capitale estense seguì – a sue spese – il papa, che volle trasferirvisi con tutta la corte. Si rifiutò però di approvare il ritiro dal tesoro di Castel Sant’Angelo di 150.000 scudi d’oro, uscendo dal Concistoro del 3 aprile, in cui la misura veniva discussa.
Trascorsa questa prima fase del pontificato Aldobrandini, Sforza parve puntare al soglio pontificio. Agli occhi del cardinale Arnaud D’Ossat simpatizzava per la Francia. Anzi aveva in odio più di ogni altro «la tirannie des Espagnols» (lettera a Nicolas IV de Neufville de Villeroy, Roma, 16 gennaio 1597, in Letres du cardinal d’Ossat..., 1732, p. 327). In realtà, Sforza non si discostava da un atteggiamento prudente, dal punto di vista politico-diplomatico. La dissimulazione costituiva una pratica nella quale eccelleva. Nondimeno, già prima della fine del secolo, riteneva vicino il momento di una nuova Sede vacante e si preparava ai futuri conclavi. Non ebbe però successo in quelli che si susseguirono nel 1605, dopo la morte di Clemente VIII e di Leone XI. Soltanto, come aveva incoronato Clemente VIII, fu lui stesso – in qualità di protodiacono – a coronare anche Leone XI, il 10 aprile 1605, e Paolo V, il 29 maggio dello stesso anno.
Alla fine di luglio del 1585 era passato al titolo di S. Nicola in Carcere; il 5 dicembre 1588 a quello di S. Maria in Via Lata. Nel Concistoro del 13 novembre 1617, era entrato nell’Ordine dei presbiteri, con il titolo di S. Matteo in Merulana. Aveva quindi avuto i titoli di Albano (5 marzo 1618), di Frascati (6 aprile 1620), di Porto e S. Rufina (27 settembre 1623).
Gli anni finali della vita del cardinale Sforza coincisero con il suo allontanamento dalla vita in corte di Roma. Come ricordano le Memorie del cardinale Guido Bentivoglio (a cura di C. Panigada, 1934), appariva «sì discordante da se medesimo e dal suo chiarissimo sangue, che in ultimo non gli restava più si può dire, alcun vestigio presente di quelle sue sì nobili e sì riguardevoli azioni passate» (p. 57). Dotato di una ricca provvista di benefici, per un totale di circa 30.000 scudi annui, non riuscì comunque a evitare la sofferenza del suo stato finanziario. Ebbe accesso al Monte dei Baroni, titolo di debito pubblico con capitale di 245.000 scudi al 6,5% di interesse.
Rimarchevoli i suoi interessi in campo immobiliare. Acquistò il palazzo Sforza (poi Sforza-Cesarini) detto della Cancelleria vecchia e possedette tre ville a Frascati: la villa Rufinella, fra il 1585 e il 1587 e fra il 1598 e il 1603; la villa Sant’Angelo, fra il 1621 e il 1623; la villa Rufina fra il 1592 e il 1604. Per suo figlio Sforzino, naturale legittimato, comprò anche il ducato di Fiano, poi comprato dai Ludovisi nel 1621 per 220.000 scudi. Si occupò infine dei restauri della chiesa di S. Nicola de’ Cesarini, demolita fra il 1926 e il 1929 per far posto a largo di Torre Argentina.
Morì a Roma il 9 settembre 1624.
Fonti e Bibl.: Una breve Vita del Cardinal F. S., manoscritte, è nell’Archivio di Stato di Roma, Archivio Sforza-Cesarini, prima parte, 79, f. 62; Relatione sopra la destruttione delli banditi fatta dall’Ill. et Rev. cardinal Sforza, conte di Santa Fiora, et legato de latere in Romagna... Con il sforzo uscito di Roma contro gl’altri che stavano la intorno, In Pavia, Per Andrea Viani, 1591; Letres du cardinal d’Ossat avec des Notes historiques et politiques, II, Amsterdam 1732, pp. 327 s.; G. Bentivoglio, Memorie e lettere, a cura di C. Panigada, Roma-Bari 1934, pp. 56-67.
N. Ratti, Della famiglia Sforza, I, Roma 1794, pp. 308-320; F. Piola Caselli, Una montagna di debiti. I monti baronali dell’aristocrazia romana del Seicento, in Roma moderna e contemporanea, I (1993), 2, p. 32; M.T. Fattori, Clemente VIII e il Sacro Collegio. Meccanismi istituzionali ed accentramento di governo, Stuttgart 2004, ad ind.; K. Jaitner, Der Hof Clemens’ VIII. (1592-1605). Eine Prosopographie, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 2004, vol. 84, p. 205; M.B. Guerrieri Borsoi, Villa Rufina Falconieri. La rinascita di Frascati e la più antica dimora tuscolana, Roma 2008, p. 44; M.A. Visceglia, Morte ed elezione del papa. Norme, riti, conflitti. L’età moderna, Roma 2013, ad indicem.