SORANZO, Francesco
– Nacque a Venezia il 3 gennaio 1557, figlio primogenito del patrizio veneziano Giovanni di Francesco e di Marietta di Girolamo Zane.
Ebbe quattro fratelli: Giacomo, Lorenzo, Benetto e Girolamo. Uno solo si sposò, il terzogenito Lorenzo; toccò invece a Francesco, assieme con il più giovane Girolamo (1569-1635), il compito di continuare la prestigiosa tradizione familiare negli incarichi pubblici e nelle maggiori ambascerie, seguendo l’esempio del padre e dello zio Giacomo, entrambi procuratori di San Marco.
Già nel 1581 Soranzo era considerato esperto del mondo delle corti per i suoi precedenti viaggi: si può quindi supporre che abbia seguito lo zio Giacomo in qualcuna delle sue missioni, presso l’imperatore Massimiliano II nel 1570 e a Costantinopoli nel 1575, o che abbia accompagnato il padre Giovanni nell’ambasceria romana del 1570-72 e nella onorifica ambasceria straordinaria per la venuta a Venezia del re di Francia Enrico III, nel 1574. In considerazione di ciò, in occasione del viaggio dal Friuli a Venezia dell’imperatrice Maria, vedova dell’imperatore Massimiliano II e madre di Rodolfo II, nel novembre 1581 Soranzo fu deputato dagli ambasciatori straordinari, fra cui suo zio Giacomo, ad affiancare la carrozza imperiale per evitare gli accalcamenti dei curiosi (1581, 18 novembre. Relatione delli clarissimi [...] Zuan Michiel [...] Giacomo Soranzo [...] Paulo Tiepolo [...] e Zuan Correr [...] ritornati ambasciatori della serenissima Imperatrice, in Relationen Venetianischer Botschafter über Deutschland und Österreich im sechzehnten Jahrhundert, a cura di J. Fiedler, Wien 1870, p. 385).
Il 15 settembre 1582 esordì ufficialmente nella vita pubblica con la sua prima elezione a savio agli Ordini. La sua famiglia era schierata sulle posizioni del patriziato ‘vecchio’: il padre e lo zio Giacomo erano convinti sostenitori dell’autorità del Consiglio dei dieci. La crisi costituzionale del 1582 e l’abolizione della Zonta del Consiglio non ridussero subito l’influenza dei Soranzo: alla fine di agosto del 1583 Francesco ricevette con altri tre patrizi l’onorevole incarico di accompagnare a Venezia il duca Anne de Joyeuse, favorito del re di Francia Enrico III (Cicogna, 1853, p. 547), e in settembre fu eletto per la seconda volta savio agli Ordini. Ma un grave colpo al prestigio del suo casato venne inferto nel 1584 dall’accusa di rivelazione di segreti di Stato a vantaggio del granduca di Toscana e del pontefice, che indusse il Consiglio dei dieci ad agire sia contro lo zio Giacomo, arrestato e condannato alla relegazione a Capodistria, sia verso il padre Giovanni, che sfuggì all’arresto per un solo voto. Anche Francesco fu sfiorato dai sospetti (Cozzi, 1958, p. 36), ma nessuna accusa formale fu mai mossa contro di lui.
Lentamente il giovane Soranzo poté riprendere la propria carriera: eletto il 21 luglio 1591 capitano a Vicenza, ricoprì la carica nel 1592-93. Assieme con il podestà Francesco Longo promulgò su mandato del Consiglio dei dieci la riforma del Consiglio cittadino del febbraio-aprile 1593, che modificò, ma non in maniera decisiva, le precedenti norme del 1541, favorevoli all’oligarchia consiliare. Il principale consiglio cittadino, il Consiglio dei cento, fu ampliato a 150 membri, nominati questa prima volta dal Consiglio dei dieci e poi annualmente rieletti per votazione del consiglio uscente e degli anziani delle arti: una limitata rotazione dei consiglieri fu garantita stabilendo che quindici membri del Consiglio, designati mediante sorteggio, non fossero immediatamente rieleggibili (deliberazione edita in Ius municipale Vicentinum cum additione partium ac decretorum Serenissimi Dominii, Vicentiae 1706, pp. 386-390).
Il 17 giugno 1597 Soranzo fu eletto dal Senato ambasciatore ordinario presso il re di Spagna Filippo II, in sostituzione dell’ambasciatore in carica, Agostino Nani, coinvolto in una complessa vertenza con la corte di Madrid in merito all’extraterritorialità dell’ambasciata. Raggiunse Madrid il 12 giugno1598; rimase in carica anche dopo la morte del re, presso il suo successore Filippo III, che lo creò cavaliere. Durante la sua missione, segnalò al Senato il contegno ambiguo e minaccioso di Pedro Enríquez de Acevedo conte di Fuentes, appena destinato alla carica di governatore di Milano. Un segno eloquente della soddisfazione del Senato e del peso politico di Soranzo fu la sua elezione, ancora in missione, a savio di Terraferma, il 24 giugno 1600. Conclusa la lunga ambasceria, Soranzo lasciò Valladolid, in quel momento sede della corte, il 10 febbraio 1602; ma durante il viaggio di ritorno fu seriamente ferito a Barcellona in una banale rissa a opera di un certo Raffaele Zagleda. Ristabilitosi, rientrò a Venezia nell’ottobre del 1602 e nelle settimane seguenti presentò al Collegio e al Senato la celebre relazione (edita in Relazioni di ambasciatori veneti al Senato tratte dalle migliori edizioni, a cura di L. Firpo, IX, Spagna (1602-1631), Torino 1978, pp. 27-214).
Si tratta di un vero e proprio trattato sulla monarchia iberica, che, per la sua acuta valutazione delle forze della Spagna al momento del passaggio da Filippo II al suo debole erede, seppe anticipare un secolo di riflessioni veneziane sull’apogeo e sul declino della potenza spagnola, influenzando anche il pubblico storiografo Nicolò Contarini. Anche la più recente storiografia ha riconosciuto i meriti e l’importanza di questo che è «uno dei più ampi affreschi mai tentati dal pensiero diplomatico veneziano» (Andretta, 2000, p. 73). La relazione descrive la stratificazione della società spagnola, dominata in tutti i ceti dal senso dell’onore e caratterizzata proprio in quegli anni da una rivincita della nobiltà di alto lignaggio, che, emarginata ai tempi di Filippo II, ritrovò posizioni di potere sotto il debole successore, senza dimostrarsi però all’altezza dei compiti di governo di una monarchia i cui interessi geopolitici abbracciavano tutti i continenti. Anche la vantata potenza militare della monarchia non era per Soranzo opera dei soli spagnoli, ma di un esercito cosmopolita, composto da tutte le nazioni d’Europa. In conclusione, Soranzo attribuì alla monarchia spagnola più ‘fortuna’ che ‘virtù’; e la giudicò più adatta a conservare che non a espandere ulteriormente il suo impero. La religiosità stessa degli spagnoli apparve a Soranzo, soprattutto nei suoi aspetti cerimoniali, come una vuota apparenza «forse più per uso, per essere veduti e per non incorrere in sospetto di mali cristiani», nel contesto di una società che aborriva ed emarginava i moriscos e i marrani, pur non potendo fare a meno della loro opera nell’agricoltura e nei commerci. È però da notare che Soranzo fu altrettanto fermo nel condannare la Riforma protestante per i pericoli di sedizione che essa racchiudeva.
Il Senato, soddisfatto dell’opera diplomatica di Soranzo, lo elesse ambasciatore presso l’imperatore Rodolfo II fin dal 13 settembre 1601: ricevette però le Commissioni solamente il 26 agosto 1603 e raggiunse effettivamente la sua nuova sede il 7 luglio 1604. Presso la corte di Praga dovette presentare le più vive rimostranze per le violenze perpetrate nell’Adriatico dai corsari uscocchi di Segna (P. Sarpi, Aggionta e supplimento all’istoria degli Uscochi, in Id., La Repubblica di Venezia, la casa d’Austria e gli Uscocchi, a cura di G. Cozzi - L. Cozzi, Bari 1965, p. 14). La soddisfazione del Senato per il suo operato fu attestata dall’elezione di Soranzo già prima della fine della sua missione, all’importante carica di savio di Consiglio, il 24 settembre 1605. Toccò ancora a Soranzo difendere nel 1606 alla corte di Praga le ragioni della Repubblica nella controversia dell’interdetto con papa Paolo V, contrastando le pretese del nunzio pontificio, che considerava i veneziani scomunicati; tuttavia in questa occasione la sua prudente rinuncia a presenziare alla solenne processione del Corpus Domini non soddisfece interamente Paolo Sarpi (1624, 2006, pp. 82 s.) secondo cui si sarebbe potuto osare di più. Soranzo scrisse il suo ultimo dispaccio da Praga il 23 luglio 1607 e rientrò a Venezia nel corso dell’estate, quando ormai la Repubblica aveva ristabilito normali rapporti diplomatici con Roma. Presentò al Senato la consueta relazione sulla sua ambasceria, che rimase però inedita (Venezia, Biblioteca statale Marciana, Mss. it., VII, 696 (= 9555), cc. 1-37).
Nella più recente storiografia, Gaetano Cozzi (1958, p. 103) ha descritto Soranzo come uno dei membri del Collegio favorevoli, sia pure con cautela, alla lotta antiromana; ma ha poi modificato questa interpretazione (Id., 1992, pp. 84-86), perché l’inedita relazione dell’ambasceria a Rodolfo II lo mostra convintamente antiprotestante e apertamente favorevole a un’alleanza antiturca con gli Asburgo e con il papato, quindi in aspro contrasto con la nuova diplomazia del patriziato filosarpiano, che propugnava invece un’alleanza con le forze antipapali e antiasburgiche, e perciò anche con i protestanti d’Austria, Ungheria e Boemia. È poi significativo il già citato giudizio negativo di Sarpi su Soranzo; e si può quasi sicuramente identificare in Francesco Soranzo quell’«ill.mo Soranzo» di cui un anonimo gesuita, scrivendo tra il 1608 e il 1612, celebrò nostalgicamente il ricordo, associandolo a quello di altri patrizi, «la pietà et integrità de’quali et amore verso la Compagnia nostra era a tutti manifesta» (Signorotto, 1994, p. 387).
Già nel settembre del 1606 Soranzo era stato eletto senatore; fu riconfermato in Senato nell’agosto del 1607. Il 30 ottobre fu creato nuovo ambasciatore ordinario presso Paolo V, per decisione di un Senato oramai incline alla moderazione: si sapeva infatti che Soranzo era gradito alla Curia romana (Taucci, 1939, p. 98); ma egli non fece in tempo a raggiungere la sua nuova destinazione. Difatti, già l’8 marzo 1608 il Senato fu obbligato a ritornare sulla sua decisione, trasformando in ambasceria ordinaria a Roma quella straordinaria di Francesco Contarini, a seguito della scomparsa di Soranzo.
Morì a Venezia tra il gennaio e il febbraio del 1608. Una lacuna dei Necrologi dei provveditori alla Sanità ci impedisce di conoscere la data esatta.
Fu sepolto nella chiesa di S. Giustina, nel sestiere di Castello. Nel 1640, a ornamento della facciata disegnata da Baldassarre Longhena, i parenti commissionarono allo scultore Clemente Molli i tre busti in marmo, oggi perduti, di Soranzo, del padre Giovanni e del fratello Girolamo, sotto cui fu collocata un’iscrizione che celebrava i servizi resi alla Repubblica.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. codd., s. II, 23, St. veneta: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VII, p. 50; Avogaria di Comun, reg. 53: Libro d’oro. Nascite, III, c. 246r; Provveditori e sopraprovveditori alla Sanità, Necrologi, bb. 835-836; Segretario alle voci, Elezioni in Senato, reg. 5, c. 18v; reg. 6, cc. 17v-18r, 64v; reg. 7, cc. 7v, 15v, 67v; ibid., Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 7, cc. 185v-186r; Senato, Dispacci ambasciatori, Spagna, filze 30-33; ibid., Germania, filze 33-38; Venezia, Biblioteca statale Marciana, Mss. it., VII.1575 (= 7971): Consegi, 1581-1621, cc. 74v, 81r, 120v, 387v.
P. Sarpi, Istoria dell’Interdetto (1624), a cura di C. Pin, Conselve 2006, pp. 81-83, 85, 176 s., 203; F. Sansovino - G. Martinioni, Venetia città nobilissima, et singolare..., Venetia 1663, pp. 44 s.; V. Sandi, Principi di storia civile della repubblica di Venezia dalla sua fondazione sino all’anno di Nostro Signore 1700, II, 1, Venezia 1755, pp. 368-370; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, VI, Venezia 1853, p. 547; E. Cornet, Paolo V e la Republica veneta: giornale dal 22 ottobre 1605-9 giugno 1607, Vienna 1859, pp. 15, 29, 77, 97, 255 s., 315-319; G. Capasso, Fra Paolo Sarpi e l’interdetto di Venezia, Firenze 1879, p. 112; R. Taucci, Intorno alle lettere di Fra Paolo Sarpi ad Antonio Foscarini, Firenze 1939, p. 98; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini. Ricerche sul patriziato veneziano agli inizi del Seicento, Venezia-Roma 1958, pp. 36, 98, 103; Archivio di Stato di Venezia, Dispacci degli ambasciatori al Senato. Indice, Roma 1959, pp. 103 s., 290; Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, LXXXV, a cura di P. Zorzanello, Firenze 1963, pp. 50, 59; M.J.C. Lowry, The Church and Venetian political change in the later Cinquecento, Ph. D. thesis, University of Warwick, 1971, p. 184; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, a cura di A. Tagliaferri, VII, Podestaria e capitanato di Vicenza, Milano 1976, p. XXXVIII; N. Contarini, Delle istorie veneziane, in Storici e politici veneti del Cinquecento e del Seicento, a cura di G. Benzoni - T. Zanato, Milano-Napoli 1982, pp. 235 s., 280 s., 377 s., 380 s., 383; G. Cozzi, Venezia nello scenario europeo (1517-1699), in G. Cozzi - M. Knapton - G. Scarabello, La Repubblica di Venezia nell’età moderna. Dal 1517 alla fine della Repubblica,Torino 1992, pp. 84-86; G. Signorotto, Il rientro dei gesuiti a Venezia: la trattativa (1606-1657), in I gesuiti e Venezia. Momenti e problemi di storia veneziana della Compagnia di Gesù, a cura di M. Zanardi, Padova 1994, p. 387; S. Andretta, La repubblica inquieta. Venezia nel Seicento tra Italia ed Europa, Roma 2000, pp. 72 s., 75, 78 s., 84, 90 s.