STURBINETTI, Francesco
– Nacque a Roma il 28 aprile 1807 da Giovanni Battista e da Geltrude Jelmi.
Dopo gli studi elementari entrò nel seminario romano, con l’intenzione di intraprendere la carriera ecclesiastica. Abbandonata però questa idea, proseguì gli studi interessandosi dapprima di architettura, per poi conseguire la laurea in legge. Avviata la carriera forense e iscritto tra gli avvocati della Sacra Rota, nel corso degli anni Trenta e Quaranta ottenne un notevole successo, distinguendosi tra i civilisti romani. Pur avendo maturato negli anni un sincero attaccamento alla causa dell’indipendenza nazionale, rimase lontano dal mondo del settarismo e delle cospirazioni. La carriera politica di Sturbinetti cominciò, dunque, soltanto nel 1847, quando la linea riformista di Pio IX permise anche ai laici di entrare nelle istituzioni e di partecipare alla modernizzazione dello Stato che il nuovo sovrano sembrava voler avviare.
Sturbinetti si presentava, da un lato, partecipe degli ideali progressisti necessari a rinnovare l’antico Stato pontificio, e dall’altro fedele all’autorità papale; Pio IX, perciò, ripose in lui grande fiducia, investendolo di diverse cariche: nell’ottobre del 1847 fu nominato capitano in seconda del I battaglione della guardia civica romana e conservatore del Consiglio comunale istituito a Roma con il motuproprio del 1° ottobre; nel febbraio del 1848, quando per la prima volta fu concesso ai laici di accedere a cariche ministeriali, fu chiamato prima a reggere il ministero dei Lavori pubblici, per passare poi, in marzo, a quello di Grazia e Giustizia. Tuttavia, il 29 aprile si dimise, insieme con gli altri ministri, come conseguenza dell’allocuzione con cui Pio IX rifiutò il suo appoggio alla guerra che si stava combattendo nell’Italia settentrionale contro l’Impero austriaco. L’entusiasmo intorno alla figura di Pio IX, che aveva toccato il suo apice in marzo dopo la promulgazione dello Statuto, subì allora una battuta d’arresto. Anche il Municipio reagì agli eventi del 29 aprile, con un indirizzo al papa della cui stesura si occupò proprio Sturbinetti: nel testo si difendeva la causa dell’indipendenza nazionale e della guerra contro l’invasore straniero.
A maggio, alle elezioni per il Consiglio dei deputati, Sturbinetti venne eletto a rappresentare Roma con 138 voti e nella seduta del 12 giugno gli fu affidata la vicepresidenza della Camera, che sarebbe poi diventata presidenza a partire dal 3 agosto.
Nello stesso periodo fu chiamato da Pio IX a fare parte del Consiglio di Stato, organo che avrebbe dovuto coadiuvare il governo nella formulazione delle leggi di carattere giuridico-amministrativo. I membri erano stati scelti per la competenza in campo giuridico e la sua nomina mostrò ancora una volta quanto l’avvocato romano fosse apprezzato dal pontefice. Non a caso, fu anche scelto per accompagnare monsignore Carlo Luigi Morichini nella delicata missione con cui il pontefice tentò una mediazione tra Austria e Piemonte. Tuttavia, la scelta di adottare una soluzione diplomatica alla prima guerra d’indipendenza contrastava nettamente con la linea politica che avrebbe voluto seguire il ministero del conte Terenzio Mamiani della Rovere, il quale infatti si oppose al coinvolgimento di laici nella missione, spingendo così Sturbinetti a rifiutare l’incarico.
Nonostante i molti impegni, e approfittando della sospensione delle sedute della Camera decisa in agosto, Sturbinetti riuscì a concentrarsi sul lavoro all’interno del Municipio.
In quell’ambito si distinse per una forte volontà di modernizzare la città e razionalizzarne l’amministrazione. Propose, ad esempio, una centralizzazione delle funzioni amministrative, che il nuovo Municipio doveva invece condividere con le preesistenti «presidenze regionarie», organi che controllavano il territorio cittadino di Roma con una grande varietà di funzioni. La posizione di Sturbinetti era motivata sia dalla necessità di ridurre i funzionari dipendenti dal Comune sia dalla volontà di rafforzare l’autorità del Municipio, ma la sua posizione non prevalse all’interno del Consiglio. Per limitare le spese del Municipio, propose anche un progetto che prevedeva il coinvolgimento dei privati nella gestione dei lavori pubblici, tradizionalmente usati come forma di beneficenza per aiutare le classi indigenti. Ma anche questa iniziativa, nonostante l’approvazione del Consiglio, naufragò; i margini di azione del Municipio erano infatti limitati sia dalla difficoltà di definire il proprio campo d’azione di fronte alle istituzioni preesistenti, sia dalla crisi politica che esplose a Roma nel novembre del 1848.
Alla riapertura delle Camere, il 16 novembre, il presidente del Consiglio Pellegrino Rossi fu assassinato; Sturbinetti, allora presidente della Camera, appresa la notizia, scelse di non darne annuncio pubblico e di sciogliere la seduta per mancanza del numero legale di deputati. Sul contegno tenuto in quel famoso giorno dall’avvocato romano si discusse molto; se Luigi Carlo Farini, nella sua opera sullo Stato pontificio, lo criticò per non aver denunciato e condannato immediatamente l’accaduto, secondo la testimonianza rilasciata dall’allora deputato Sebastiano Fusconi durante il processo per l’omicidio, la scelta di tacere sull’accaduto era nata dalla necessità di sgomberare l’aula senza creare agitazione nelle tribune affollate.
Dal canto suo, Sturbinetti non fece mai dichiarazioni pubbliche sugli eventi di quel giorno, né dalle poche lettere private che ci sono pervenute è possibile conoscere il suo punto di vista.
Nel vuoto di potere che si produsse dopo la fuga del papa da Roma, Sturbinetti espresse subito la convinzione che la macchina istituzionale dovesse continuare a funzionare per mantenere l’ordine pubblico nello Stato, come emergeva dal proclama con cui il 25 novembre si rivolse al popolo. Il 30 novembre, in un discorso alla Camera, insistette sulla legittimità dell’autorità detenuta dal Parlamento anche in assenza del papa, ed esortò i colleghi a non disertare le sedute. Seguendo questa stessa logica, qualche giorno prima, aveva deciso d’autorità di aprire la discussione in aula nonostante i deputati non fossero in numero legale. Il 26 dicembre, il governo annunciò la chiusura della sessione delle due Camere e la convocazione dei seggi per l’elezione di un’Assemblea costituente, e Sturbinetti presentò le sue dimissioni da deputato.
Pur mantenendosi su posizioni moderate, la fama di uomo onesto e di sincero patriota, di cui godeva, lo aveva reso popolare anche tra i repubblicani, e alle elezioni del 21 gennaio 1849, con 16.153 voti, risultò il primo tra gli eletti nel collegio di Roma; insieme a personaggi come Carlo Armellini, Carlo Emanuele Muzzarelli, Giacomo Manzoni e Giuseppe Galletti, rappresentò un elemento di continuità tra il periodo delle riforme piane e quello repubblicano.
Nella seduta dell’8 febbraio 1849, pur appartenendo inizialmente al folto gruppo degli indecisi, votò infine per la proclamazione della Repubblica. All’interno dell’Assemblea fu presidente della commissione per il conferimento degli impieghi pubblici e, da marzo, ministro della Pubblica Istruzione.
In aprile, in occasione delle nuove elezioni per il Comune di Roma, fu eletto consigliere e poi nominato senatore di Roma. In quel ruolo, tentò di proseguire il lavoro di razionalizzazione dell’amministrazione intrapreso l’anno precedente; tuttavia, ben presto l’attività del Municipio venne assorbita dall’emergenza derivata dall’attacco francese alla città. In quella fase fu in prima linea non solo come capo della municipalità, ma anche come generale della guardia nazionale, grado che gli era stato conferito in aprile dal triumvirato diretto da Giuseppe Mazzini.
Dopo aver dispiegato grandi energie nella difesa della città, al Municipio toccò la responsabilità di mediare con l’esercito francese, in seguito alla scelta dell’Assemblea di interrompere la difesa di Roma. Sturbinetti, preside della commissione incaricata di avviare le trattative con il generale Nicolas-Charles Oudinot, intendeva garantire la sicurezza dei cittadini e dei corpi volontari intervenuti nella difesa della città; ma le condizioni imposte dal generale francese andavano in tutt’altra direzione, motivo per cui, il 2 luglio, il Municipio le rifiutò; contemporaneamente, con un proclama, Sturbinetti garantì, nei limiti del possibile, la presenza del Comune a sostegno della cittadinanza, ma chiese anche al popolo di accettare con rassegnazione l’ingresso delle truppe straniere.
Esponente di quella borghesia urbana delle professioni che il biennio rivoluzionario del 1848-49 contribuì a far emergere, nella sua breve esperienza politica Sturbinetti si impegnò innanzitutto nella modernizzazione di uno degli Stati più arretrati della penisola italiana. Nonostante la sua condotta dopo la fuga di Pio IX sia stata criticata da altri esponenti moderati, come Marco Minghetti, che vi vedevano un tradimento nei confronti del papa e un opportunistico passaggio all’area repubblicana, la posizione di Sturbinetti sembra essere piuttosto espressione di un rigoroso legalismo, che lo spinse a difendere lo Statuto e a garantire l’autorità delle istituzioni parlamentari. La sua maggiore preoccupazione fu quella di evitare che la situazione degenerasse in anarchia, e in una lettera del 7 aprile 1850 all’amico Giuseppe Gozzani sottolineò proprio come le sue azioni durante la Repubblica fossero state tutte rivolte a mantenere l’ordine pubblico e a evitare possibili eccessi.
Concluso il lavoro come senatore, elogiato sia dai colleghi consiglieri sia da Oudinot, lasciò Roma e si stabilì per un breve periodo a Ginevra, ma già alla fine del 1849 ottenne il passaporto sardo e prese dimora a Genova.
Durante l’esilio, in compagnia della moglie Anna Santarelli, che aveva sposato nel 1839, continuò a esercitare la professione di avvocato, e mantenne rapporti epistolari con gli amici romani.
In quegli anni, spinto dal desiderio di ottenere il perdono del papa e di tornare nell’amata città natale, si tenne lontano dal mondo politico. Del resto, il suo forte senso religioso lo aveva forse spinto a riconsiderare le scelte fatte nel 1849 se, come raccontava Filippo Gualtiero in una lettera a Tommaso Tommasoni del 29 maggio 1856, tornò su posizioni federaliste di stampo neoguelfo; si trattava però di una strada che, in quegli anni, non era più vista come percorribile e che quindi contribuì a estraniarlo dal movimento liberal-patriottico.
Fin dai primi anni di esilio, amici e parenti si prodigarono per permettergli il ritorno a casa; così, nei primi mesi del 1857 gli fu accordato dapprima di spostarsi in Toscana, e poi di risiedere a Frascati.
A partire dall’anno successivo, e dopo un’udienza con Pio IX, potè recarsi a Roma e soggiornarvi per brevi periodi, ogniqualvolta gli occorresse; tuttavia, non ottenne mai dal papa la piena assoluzione, come avrebbe voluto.
Morì a Frascati il 26 agosto 1865.
Fonti e Bibl.: Documenti relativi alle sue cariche politiche e lettere personali sono conservati a Roma presso il Museo centrale del Risorgimento nei fondi Calandrelli, bb. 116 (che nel f. 8 contiene una biografia di Sturbinetti) e 118, Massimo d’Azeglio, b. 565, Francesco Pentini, b. 21, della Repubblica Romana e della Guardia civica (1847-1850), voll. 20 e 40, Carte varie, bb. 41, 63, 68, 75, 105, 349, 365, 542, 655. A Roma, Archivio storico capitolino, Carte Galeotti, b. 3, f. 14, si trovano otto lettere di Sturbinetti all’amico e collega Federico Galeotti, risalenti agli anni 1849-52. Documenti relativi all’attività politica del 1848-49 si trovano anche in Archivio di Stato di Roma, Miscellanea del periodo costituzionale; Miscellanea della Repubblica romana; Miscellanea di carte politiche e riservate, b. 115, f. 3706; nel fondo Direzione generale di Polizia, b. 379, f. 7970, si trova la documentazione relativa al suo rientro nello Stato pontificio. I documenti sulla sua attività all’interno del Comune si conservano presso l’Archivio storico capitolino, nei fondi: Comune moderno pontificio (1848-1870), Amministrazione, e Segreteria generale; Comune moderno postunitario, Ufficio VI, Istruzione pubblica e servizi amministrativi storici artistici (1871-1907).
L.C. Farini, Lo Stato romano dall’anno 1815 al 1850, Firenze 1850, passim; G. Spada, Storia della rivoluzione di Roma e della restaurazione del governo pontificio, Firenze 1868, passim; Lettere inedite di Massimo d’Azeglio e Filippo Gualtiero a Tommaso Tommasoni, a cura di G. Tommasoni, Roma 1885, ad ind.; R. Giovagnoli, Pellegrino Rossi e la Rivoluzione romana su documenti nuovi, Roma 1898, ad ind.; Le Assemblee del Risorgimento, Roma, I-IV, Roma 1911, passim; G. Leti, La rivoluzione e la Repubblica Romana, Milano 1913, ad ind.; F. Gentili, Il Consiglio di Stato romano del 1848 e il suo vice-presidente Carlo Luigi Morichini, in Rassegna storica del Risorgimento, VI (1919), 3, pp. 476-496; Carteggio tra Marco Minghetti e Giuseppe Pasolini, a cura di G. Pasolini, I, 1846-1854, Torino 1924, ad ind.; G. Ceccarelli, F. S. Senatore della Repubblica Romana, in Roma. Rivista di studi e di vita romana, XI (1933), luglio-agosto, pp. 319-338, settembre-ottobre, pp. 419-440; A.M. Ghisalberti, A proposito di F. S., in Rassegna storica del Risorgimento, XXI (1934), 1, pp. 183-185; E. Michel, S. F., in Dizionario del Risorgimento nazionale, a cura di M. Rosi, IV, Le persone, R-Z, Milano 1937, pp. 362 s.; F. Ercole, S. F., in Enciclopedia bio-bibliografica italiana. Gli uomini politici, III, Roma, 1942, pp. 214 s.; D. Demarco, Una rivoluzione sociale. La Repubblica Romana del 1849 (16 novembrte 1848-3 luglio 1849), Napoli 1944, ad ind.; V.E. Giuntella, Il Municipio di Roma e le trattative col generale Oudinot, in Archivio della Società romana di storia patria, LXXII (1949), 1-4, pp. 121-137; L. Pirotta, F. S. senatore di Roma, allievo dell’Accademia di San Luca, in Capitolium, 1960, n. 3, pp. 21-23; M. Bocci, Il Municipio di Roma tra riforma e rivoluzione, Roma 1995, ad ind.; L’opera della municipalità romana durante la Repubblica del 1849, in Rassegna storica del Risorgimento, LXXXVI (1999), pp. 5-150; M. Severini, Nascita, affermazione e caduta della Repubblica Romana, in La primavera della nazione. La Repubblica Romana del 1849, a cura di M. Severini, Ancona 2006, pp. 15-123; G. Monsagrati, Roma senza il papa. La Repubblica Romana del 1849, Roma-Bari 2014, ad indicem.