SUSINNO, Francesco
– Non se ne conosce la data di nascita, e scarse sono le notizie pervenute su di lui. La notorietà di Susinno è tutta incentrata sulle Vite de’ pittori messinesi, unico suo lavoro che, rimasto inedito, è stato rintracciato nel Kupferstichkabinett del Kunstmuseum di Basilea (ms. A.45) e reso noto nel 1960 da Valentino Martinelli. In esso l’autore si firma «pittore e sacerdote messinese», inserendo anche un autoritratto a matita nel quale appare di circa cinquant’anni. Per questo motivo Martinelli (in Susinno, 1724, 1960, p. XXII), ritenendo il disegno eseguito in un momento prossimo alla conclusione delle biografie, vale a dire intorno al 1724, ha suggerito che Susinno fosse nato tra il 1660 e il 1670.
Caio Domenico Gallo (ante 1780, 1882), dandoci notizie di prima mano, lo ricorda «cappellano della chiesa di San Cristoforo» di Messina, che «dopo il corso di filosofia applicossi in Roma ed in Napoli alla pittura» (p. 310). Quanto riferito da Gallo ha trovato conferma nelle rare allusioni autobiografiche riportate nelle Vite.
Su queste basi si può supporre, ancorché approssimativamente, che nel 1690 il biografo fosse a Catania (Susinno, 1724, 1960, pp. XXII, 230) e forse anche a Napoli, qui in tempo per incontrare Francesco di Maria, che morì in quell’anno e con il quale sembra avesse intessuto un rapporto diretto (Susinno, 1724, 1960, pp. 41, 147). Il passaggio a Roma, invece, dovrebbe collocarsi in concomitanza con il restauro delle «tavole della Basilica di San Pietro» che le fonti dicono avviato nel 1694 da Giuseppe Montano (F. Buonanni, Pontificum Romanorum numismata templi Vaticani fabricam chronologicam indicantia, Roma 1696, pp. 118 s.). Costui, menzionato anche come autore delle Vite dei pittori pesaresi, mai pubblicate ma attese dai contemporanei, lasciò un’impronta significativa sul futuro di pittore-restauratore del giovane messinese (Susinno, 1724, 1960, pp. XXIII, 293, 295). La trasferta romana di Susinno si protrasse verosimilmente almeno fino al 1700, quando partecipò ai funerali di Agostino Scilla, da lui descritti con dovizia di particolari (pp. XXIII, XLVI), ma forse ancora per qualche anno oltre, se si considera frutto di una valutazione personale il plauso al palermitano Giacinto Calandrucci per gli interventi di restauro delle Stanze Vaticane, conclusi nel 1702 (pp. 48, 292).
Di fatto il biografo figura successivamente a Messina nelle vesti di perito di pittura: il 18 maggio 1706 stimò la collezione Arena Pellegrino e il 29 aprile 1709 quella di casa Cianciolo (Di Bella, 1997, pp. 15 nota 7, 87). Secondo Martinelli (in Susinno, 1724, 1960, p. XXVI) cade in questo periodo la gestazione della sua fatica letteraria, per la quale effettuò i propedeutici sopralluoghi, da lui menzionati, nella vicina Calabria, a Siracusa e Palermo.
Nel 1724 le Vite – così come appare nel manoscritto di Basilea – erano pronte per essere date alle stampe, rifinite in ogni dettaglio: dal frontespizio, agli indici, ai due imprimatur delle autorità ecclesiastiche (p. XVIII).
Nelle Vite de’ pittori messinesi Susinno presentava senza alcuna ripartizione interna, ma in successione cronologica, ottantuno biografie di artisti (a dispetto del titolo, anche di scultori e di architetti, e non tutti isolani), alcune con relativo ritratto, attraverso le quali ricostruiva l’evolversi del linguaggio figurativo locale a partire da Antonello «Juniore», «fondatore della pittura messinese» (Susinno, 1724, 1960, p. 3), fino a Filippo Tancredi, morto nel 1722.
Indubbiamente l’architettura dell’opera rientra nella visione storiografica vasariana, che viene personalizzata dal biografo con l’intento di rivendicare alla memoria e al presente i fondamentali misconosciuti del patrimonio figurativo cittadino. La Storia pittorica o vero le Vite de’ pittori messinesi (verosimile titolo originario: Susinno, 1724, 1960, p. XXXV) fa il suo esordio attraverso gli occhi del pittore-conoscitore, il quale, ancorché con intento campanilistico, si mostra di volta in volta impegnato a intrecciare le vicende culturali locali con quanto si era già sviluppato nei maggiori centri del continente. Punto di partenza di tale percorso è il legame con la pittura di Oltralpe sancito da Giorgio Vasari nel rapporto intessuto a Bruges tra Antonello e il vecchio Jan van Eyck, che prima di morire avrebbe rivelato al siciliano i segreti del dipingere a olio, facendone il portabandiera di quella tecnica in Italia. Da qui il senso di tracciare gli sviluppi della cultura fiamminga a Messina in un’appendice di eccezione sui principali suoi artefici, redatta sulla falsariga delle Vite di Domenico Lampsonio (1572), per spingersi, oltre l’ormai celebre Peter Paul Rubens, al seguace di questi, Jan van Houbracken, e ad Abraham Casembrot. Se ne ricava il ritratto di una città in continuo e costante aggiornamento, favorito ora dai viaggi di studio, promossi dalla politica illuminata del Senato cittadino a favore degli artisti locali, ora dall’accoglienza riservata a figure come Polidoro da Caravaggio, il napoletano Deodato Guinaccia, o il fiorentino Filippo Paladino, meritevoli di una biografia in quanto messinesi di adozione. Anche l’inclusione di Caravaggio nelle Vite è legittimata, nonostante la «torbidezza del suo [dipingere] naturale» (Susinno, 1724, 1960, p. 109), non solo dalle opere realizzate dal lombardo nella città, ma dal fatto che il suo travagliato soggiorno aveva generato una vera e propria scuola che, capeggiata da Alonzo Rodriguez («prencipe de’ messinesi pittori», p. 129), viene puntualmente ripercorsa da Susinno attraverso i suoi esponenti, più o meno in parallelo con la pista di matrice classicista battuta da Antonino Barbalonga e da Agostino Scilla per arrivare a Filippo Tancredi, alla quale andavano le sue simpatie (Susinno, 1724, 1960, pp. XXVIII-XXXIX).
Martinelli ha ben sottolineato quanto il discorso elaborato da Susinno, e calibrato secondo le norme belloriane del ‘bello ideale’, rispecchi «il quadro d’una educazione artistica informata alla poetica del classicismo marattesco ch’era consolidato a Roma» (p. XXXIII). In effetti è solo tenendo presente l’esperienza romana dell’autore che si possono comprendere appieno il risultato ottenuto e le circostanze che favorirono a Messina, geograficamente lontana dai più aggiornati centri artistici, la genesi di una storia dell’arte locale modellata sugli esempi seicenteschi di una storiografia improntata a istanze municipalistiche. Fu grazie, quindi, alle conoscenze acquisite, verosimilmente sotto l’egida di Scilla – pittore che a Roma godette, presso i circoli patrocinati da Cristina di Svezia, di un’ottima reputazione come collezionista e antiquario –, che il biografo poté elaborare la sua ‘genealogia de’ pittori’ messinesi, taluni (Antonello e Barbalonga) peraltro già celebrati dai ‘forestieri’ (Vasari, Giovan Pietro Bellori, Giovan Battista Passeri). In queste premesse affondano anche le radici della Lettera responsiva sopra l’accomodare le tavole o tele logore inserita a conclusione del manoscritto delle Vite: una sorta di manifesto sulle teorie della conservazione dei dipinti attraverso cui Susinno, nell’esprimere le proprie conoscenze nel campo, si conferma aggiornato sul dibattito allora in corso, che aveva come portavoce autorevole Bellori, e protagonista Carlo Maratti, con il quale ultimo lo scrittore messinese sembra avere avuto a Roma diverse occasioni di incontro (Susinno, 1724, 1960, pp. XIII, 68, 140, 292; Raffa, 1999, pp. 32 s.).
Non si conoscono i motivi della mancata pubblicazione della fatica di Susinno «che venne forse giudicata, per la sua mole e per la sua natura, una spesa improduttiva» (Susinno, 1724, 1960, p. XLV nota 37).
Nel 1724, comunque, Susinno risulta ancora attivo nella sua città allorché gli venne chiesto di subentrare a Giovanni Tuccari per dipingere un «quatrum in fresco» nell’oratorio della Candelora, del quale però non abbiamo ulteriori notizie (Di Bella, 2007, p. 17). Nel 1726 altri due referti notarili lo indicano impegnato di nuovo in qualità di esperto: il 14 agosto nella stesura dell’elenco dei dipinti di Raimondo Moncada principe di Monforte (Di Bella, 1984, pp. 26 s.), e il 20 dicembre nel dare una propria valutazione della Probatica piscina di Alonzo Rodriguez, all’epoca contesa tra la Confraternita dei medici e speziali e i padri crociferi della chiesa dei Ss. Pietro e Paolo dei Pisani di Messina (Di Bella, in corso di stampa).
Allo stato attuale l’ultima traccia documentaria nota è del 1731, anno in cui il biografo curò l’inventario della ricca raccolta messinese di Vincenzo di Giovanni duca di Saponara (Di Bella, 1997, pp. 27, 88), nome più volte ricorrente nel suo scritto.
Per ciò che concerne l’attività di pittore, di cui Susinno si fregiò anche nel testo, non ci sono pervenute testimonianze, fatta eccezione dei ventuno ritratti a matita, non tutti della stessa qualità, inseriti a corredo delle Vite (Susinno, 1724, 1960, pp. LII-LX). Non è da escludere che egli si sia soprattutto dedicato al restauro di dipinti, così come lasciano intendere la sua conoscenza della materia e la frequentazione di pittori-restauratori, come il pesarese Giuseppe Montano e il messinese Luciano Foti che, forse non a caso, entrò in possesso del materiale rimasto inedito del biografo.
Ignoti restano a tutt’oggi il luogo e la data di morte.
È solo dal 1960, con la pubblicazione delle Vite, che Susinno si è imposto quale figura chiave nel panorama della storiografia artistica messinese. La sua opera, benché inedita, fu utilizzata dai contemporanei Filippo Giacomo d’Arrigo (1733) e Giovanni Natoli Ruffo (1755); e ancora da Giuseppe Allegranza (1755; Hyerace, 2007, p. 165 nota 3) – portavoce, peraltro, della diceria che per la sua ‘storia’ il biografo si sarebbe appropriato di ignoti scritti di Scilla – e da Gallo (ante 1780). Questi ultimi due, in particolare, nell’indicare il manoscritto a Messina presso il restauratore e collezionista Foti, rinviarono a una numerazione dei fogli che non corrisponde a quella dell’esemplare di Basilea (Susinno, 1724, 1960, pp. XV s.). In forza di questi rilievi si è ipotizzato che circolasse un’altra versione, forse preparatoria alla stesura conosciuta (pp. XVII s.), verosimilmente la stessa utilizzata ma non menzionata da Jakob Philipp Hackert e Gaetano Grano per le Memorie de’ pittori messinesi del 1792 (ibid., pp. XLVIII-L) e ancora da rintracciare; d’altro canto prima Gabriele Mandel (L’opera completa di Antonello da Messina, Milano 1967, p. 90, n. 20) e poi Francesca Valdinoci (2010, p. 148) hanno indicato genericamente la presenza di un manoscritto di Susinno nella non meglio precisata «Biblioteca di San Gennaro a Napoli».
Quanto all’opera riesumata da Martinelli si sa che fu acquistata da Achille Ryhiner, probabilmente dallo stesso Foti, negli anni Cinquanta del Settecento in occasione di un suo soggiorno a Messina, per la sua biblioteca di Basilea, dove risulta presente sin dal 1763 e da dove passò nel Kunstmuseum della città (Füssli, 1814; Susinno, 1724, 1960, pp. XVI s.). Le Vite di Susinno, alcune delle quali riassunte nei passaggi principali da Achilles Ryhiner nel suo Essai d’un catalogue raisonné de mes desseins, Portefeuille VIII (ms. del 1785 sul mercato antiquario, http://nbn-resolving. org/urn:nbn:de:bvb:255-dtl-0000003535, 29 gennaio 2019), sarebbero servite al collezionista come supporto per lo studio di disegni di sua proprietà realizzati da artisti messinesi (U. Pfisterer, Der Katalog als Dialog: Achilles Ryhiner-Delons ‘Essai d’un catalogue de mes desseins’ von 1785, in Kunstchronik, LXXI (2018), pp. 261-277).
Fonti e Bibl.: Basilea, Kunstmuseum, ms. A.45: F. Susinno, Le vite de’ pittori messinesi (1724), a cura di V. Martinelli, Firenze 1960 (in partic. V. Martinelli, Introduzione, pp. XV-LX); F.G. d’Arrigo, La verità svelata nel dritto restituito a chi si deve, overo prerogative e privilegi della nobile, esemplare città di Messina, Venezia 1733, p. 189; G. Allegranza, Lettere familiari di un religioso domenicano toccanti varie singolari antichità, fenomeni naturali, vite ed opere di alcuni uomini illustri del Regno di Sicilia e di Malta, in Giornale dei letterati per l’anno MDCCLV, Roma 1755, pp. 8 s.; Minacciato (G. Natoli Ruffo), Storia dell’illustrissima prim’Arciconfraternità di Nostra Signora del Rosario sotto titolo de’ Ss. Apostoli Simone e Giuda scritta dal Minacciato, segretario della Real’Accademia de’ Pericolanti Peloritani, Napoli 1755, p. 38; J.R. Füssli, F. S., in Allgemeines Künstlerlexikon, II, Zurich 1814, p. 1792; C.D. Gallo, Annali della città di Messina, a cura di A. Vayola, IV, Messina 1882, l. IV, p. 310; S. Di Bella, Collezioni messinesi del ’600 (quadri dispersi di pittori siciliani e non), I, Messina 1984, pp. 5-46; Id., Il collezionismo a Messina nei secoli XVII e XVIII, in Archivio storico messinese, LXXIV (1997), pp. 5-90; A. Raffa, Il restauro di dipinti nell’opera di F. S., in Commentari d’arte, V (1999), 12, pp. 29-34; S. Di Bella, Una traccia documentale su Giovanni Tuccari e F. S., in Karta, I (2007), p. 17; L. Hyerace, Ancora su Agostino Scilla, in Prospettiva, 2007, nn. 126-127, pp. 156-167; V. Pinto, «In traccia della maniera moderna»: la Vita di Girolamo Alibrando di F. S., in Itinerari d’arte in Sicilia, a cura di G. Barbera - M.C. Di Natale, Roma 2009, pp. 179-184; F. Valdinoci, Vite di Caravaggio, Padova 2010, pp. 147-152; S. Di Bella, Una lunga lite per la Probatica piscina di Alonzo Rodriguez, in corso di stampa.