TADOLINI, Francesco
TADOLINI, Francesco. – Figlio di Antonio Maria e di Anna Maria Teresa Barbieri, Francesco Maria nacque a Bologna il 15 settembre 1723 nella parrocchia di S. Biagio, e fu battezzato l’indomani al fonte della cattedrale di S. Pietro (Bologna, Archivio generale arcivescovile, da qui in poi AGABo, Registri battesimali della Cattedrale).
Gli Stati delle anime di S. Biagio e altri documenti informano sulla composizione del nucleo familiare. Nato forse nel 1687 e coniugato con una donna più giovane di circa tredici anni, il padre svolgeva la professione di capomastro edile, probabilmente a livello umile, dal momento che si ha notizia di una sola opera di rilievo da lui eseguita (ma forse non progettata), cioè la villa del Farneto dei senatori Bolognini (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, da qui in poi BCABo, ms. B95). La casa nella quale abitò con la famiglia tra il 1722 e il 1726 (la prima a destra in via dei Coltelli, entrandovi da via Santo Stefano) non era di sua proprietà, ma apparteneva alla famiglia Vecchi.
La famiglia Tadolini era composta, oltre che da Antonio Maria e sua moglie, da due figlie, Cecilia e Teresa (nate nel 1720 e 1721), e tre figli, Francesco, Domenico Maria (nato nel 1725, poi musicista), Petronio (nato nel 1727, poi scultore; v. la voce in questo Dizionario); con loro viveva anche un nipote di Antonio Maria, Francesco, nato nel 1708 (AGABo, Parrocchia di S. Biagio, Stati d’anime, 1721-26), e forse impiegato come aiutante nell’impresa dello zio. Non è facile collocare Antonio Maria nei numerosi ceppi genealogici dei Tadolini: poiché il suo nome non figura tra quelli dei battezzati in S. Pietro, unico fonte battesimale entro le mura di Bologna, egli doveva essere nato nel contado o altrove.
Il nome dei Tadolini o Tedolini è comunque documentato a Bologna fin dal XVI secolo, forse indicativo di una provenienza dal borgo del Tedo (odierna Altedo); alcuni rami avevano raggiunto nel Settecento una discreta posizione sociale, come quello che comprendeva l’omonimo orafo Antonio Maria (nato nel 1642), sposato con Diamante (figlia di Odoardo Argoagni, orafo di Sant’Angelo in Vado) e padre di Giovanni Battista (nato nel 1692), dottore di legge e notaio (BCABo, Baldassarre Carrati, Estratti dai registri battesimali).
Francesco imparò il mestiere di muratore dal padre, ma gli furono forniti anche studi più elevati, grazie all’apprendistato presso il disegnatore di architettura Domenico Civoli e l’architetto Carlo Francesco Dotti (BCABo, ms. B132, p. 336). Allievo dell’Accademia Clementina, risultò vincitore in più occasioni, con disegni d’indubbia qualità, dei premi Fiori (1748, 1750, 1752) e Marsili Aldrovandi (1747, 1748); in età più avanzata ritornò all’Accademia come accademico – svolgendo quindi attività d’insegnamento dell’architettura – ed ebbe anche la funzione di ‘principe’ nel 1782 (Giumanini, 2003, pp. 6, 30 s., 107, 110, 134, 158).
Esperienza fondamentale nella sua formazione e nell’avvio della carriera fu l’incontro con il conte Cesare Malvasia, buon dilettante di architettura e in stretti rapporti con Francesco Algarotti. Nel corso della sua permanenza a Bologna (1757), quest’ultimo aveva sollecitato un ritorno della pratica costruttiva felsinea alle forme e alle regole della classicità, dopo il misurato barocchetto di Carlo Francesco Dotti e Alfonso Torreggiani, portando come esempi ai quali ispirarsi le architetture del Cinquecento maturo bolognese, come il palazzo Magnani di Domenico Tibaldi (già debitore a modelli del primo Cinquecento romano). Il rinnovamento del linguaggio architettonico bolognese, inizialmente intrapreso con il più dotato Mauro Tesi, fu proseguito, alla morte di quest’ultimo, dal solo Tadolini (Decoratori..., 2002). Emblematica di questo rapporto fu la costruzione del palazzo cittadino di Malvasia (1760): dopo aver fatto restaurare la sua prima residenza in Strada Maggiore con la costruzione di uno scenografico scalone bibienesco, il conte entrò in possesso dei contigui palazzi Pannolini e Manzoli in strada San Donato, complesso più vasto ma bisognoso di rinnovamenti. Il progetto di rifacimento della facciata e dei cortili fu realizzato a più mani da Malvasia stesso, Giuseppe Jarmorini e Tadolini; ma l’esecuzione definitiva dell’opera spetta a quest’ultimo. Il risultato è una facciata elegante, modellata su quella del vicino palazzo Magnani, con piano terreno a portico bugnato e piani superiori unificati da un ordine gigante composito (Nel segno di Palladio..., 2008, pp. 28-30).
A questa prima esperienza seguirono altre ristrutturazioni di edifici urbani, che adottano con poche variazioni lo stesso schema di facciata caratterizzato da un livello terreno bugnato e livelli superiori più ornati: la facciata del monastero e della chiesa di S. Giovanni Battista dei Celestini (oggi rialzata di un piano; 1765), la palazzina dell’orto botanico (1765), palazzo Stella-Castelli (con un sistema cortile-scalone di grande dinamicità, oggi purtroppo in gran parte snaturato per eventi bellici e successive ricostruzioni; 1768-70), palazzo Malvezzi-Locatelli (1777 per la facciata, 1786-88 per la facciata laterale, la loggia e il cortile interno), palazzo Gnudi (con il maestoso ma un po’ rigido doppio cortile con scalone a tre rampe; 1785-90; Bianconi, 1820, passim; Simoncini, 2000). L’aggiornamento stilistico di Tadolini non si limitò alle residenze cittadine: nel contado bolognese costruì la villa Aldrovandi (oggi Mazzacorati, 1770-72), con una raffinata facciata di tipo palladiano affiancata da porticati curvilinei, vero manifesto della nuova architettura classicista a Bologna; l’oratorio di villa Boschi (1771), dal brillante impianto centrico; e probabilmente la villa Pallavicini di Borgo Panigale (1779-84), più semplice, ma ugualmente caratterizzata da un pronao colonnato in facciata (Nel segno di Palladio..., 2008, pp. 21-27, 210-214, 216-218).
L’opera di Tadolini comprende numerosi altri interventi, non tutti databili con precisione e di discontinuo valore qualitativo, talvolta ancora legati – specialmente a inizio carriera – a modi tardobarocchi: l’oratorio del casino Vanotti a Lavino di Mezzo (sua prima opera, non più rintracciabile), la chiesa di S. Prospero (1749; distrutta), il portico di palazzo Zagnoni-Spada (1764), la brillante sistemazione dei cortili e del fondale dell’atrio di accesso al palazzo Legnani (1765), lo scalone e il vestibolo del piano nobile di palazzo Guidotti (1770), il portale (e forse lo scalone) di palazzo Bianconcini (1770), l’ospedale dei Poveri abbandonati (1772), l’imponente portico del seminario (1772-73), il restauro del teatro Formagliari (1776; distrutto), la chiesa dei Ss. Cosma e Damiano (1776, poi ricostruita a inizio Novecento), la casa Bugami in via San Felice, la casa Bacialli in via Lame, la ricostruzione del timpano della facciata della cattedrale (1776), gli ornamenti interni del portale mediano e di quello in fondo alla navata destra della basilica di S. Petronio (1783), l’altare della Madonna dei Sette Dolori in S. Maria dei Servi, l’altare di S. Apollinare in cattedrale, due cappelle e il voltone di accesso nel palazzo arcivescovile (1786), il parco della villa Sampiera, la revisione del progetto di Giuseppe Tubertini per l’aulico teatro Comunale di San Giovanni in Persiceto (1790), il casino Bugami a Castenaso (1792), la cappella del Santissimo nella chiesa di S. Stefano di Bazzano (BCABo, ms. B132; Bianconi, 1820, passim; Riccomini, 1977; Murolo, 1978).
L’attività di Tadolini non si limitò a Bologna e al suo contado. A Faenza lasciò alcune delle sue opere più importanti: gli è attribuito l’altare di S. Filippo Benizzi in S. Maria dei Servi, mentre sicuramente autografi sono il palazzo Laderchi (1770-80) e soprattutto la monumentale chiesa di S. Domenico (1760-66): pur con alcune ingenuità esecutive, essa costituisce un notevole omaggio all’architettura cinquecentesca e palladiana (L’età neoclassica..., 2013). Meno chiaro è il suo ruolo nel cantiere del palazzo del maresciallo Gian Luca Pallavicini (già Bevilacqua) di Ferrara, nel quadrivio degli Angeli: tra le sue perizie è documentata, a tale scopo, la fornitura di notevoli quantità di materiale da costruzione (e in particolare di pietra di Verona; Bologna, Archivio Malvasia della Serra Gabrielli, AMdSG). Fu interpellato anche per progettare, a Modena, la trasformazione del palazzo del Principe Foresto in sede universitaria, ma senza esito (Bertuzzi, 1987).
Accanto all’attività architettonica, Tadolini lavorò per tutta la vita come perito: ne rimane ampia traccia nelle sue carte conservate nell’archivio Malvasia; tra gli incarichi di maggiore impegno ci furono una verifica della tenuta statica della torre degli Asinelli (1774; Bianconi, 1820, p. 121) e la stima di un gran numero di conventi soppressi nel 1797 (AMdSG). Come architetto pubblico della città di Bologna fu incaricato di alcuni interventi su fabbriche civili, come i rifacimenti della volta della sala d’Ercole (Foschi, 1999, p. 92) e della mostra dell’orologio del palazzo d’Accursio (1773), o la costruzione di opere idrauliche (Milizia, 1827).
Sposatosi con Maddalena de Maria, ebbe diversi figli: Tommaso (1763), Antonio Gioseffo (1768, poi sacerdote), Antonio Maria (1771), Gertrude Maria, Cattarina, Anna, Maria Catterina (sposata nel 1788 con Vincenzo Baruzzi da Imola e madre dello scultore e architetto Cincinnato Baruzzi; BCABo, Baldassarre Carrati, Estratti dai registri battesimali).
Trasferitosi fin dal 1789 in una casa che aveva acquistato e restaurato egli stesso, situata nell’attuale piazza Aldrovandi, vi morì il 31 agosto 1805 (Guidicini, 1872).
L’opera architettonica di Tadolini, che oscilla tra lavori d’indubbio pregio e altri di routine professionale, è testimonianza imprescindibile, nella città di Bologna, delle tendenze fautrici di un ritorno all’ordine classico che attraversarono la cultura italiana nella seconda metà del Settecento. Il misurato neocinquecentismo tadoliniano, dapprima non apprezzato dai contemporanei (BCABo, ms. B132, p. 336), che criticarono aspramente il palazzo Malvasia (Milizia, 1827), s’impose ben presto come elemento innovativo ma al contempo rassicurante e adeguato alla classe borghese che si stava via via affermando. L’attività didattica svolta con costanza da Tadolini favorì l’affermazione di questo stile e la sua evoluzione nel pieno classicismo propugnato dal suo allievo Angelo Venturoli.
Fonti e Bibl.: Bologna, Archivio generale arcivescovile, AGABo, Registri battesimali della cattedrale, 176 (1723), c. 189r; Parrocchia di S. Biagio, Stati d’anime (1717-1726); Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, BCABo, ms. B870-B879 (1680-1779), Baldassarre Carrati, Estratti dai registri battesimali; ms. B95, Vita di Petronio Taddolini scultore bolognese scritta da lui medesimo (ante 1787), c. 145rv; ms. B132, M. Oretti, Notizie dei professori del dissegno (1760-87 circa), X, pp. 336-338; Archivio Malvasia della Serra Gabrielli, AMdSG, III, 46, 2995, Perizie Tadolini (seconda metà del XVIII secolo), cc. 1-2.
G. Bianconi, Guida del forestiere per la citta di Bologna e suoi sobborghi..., Bologna 1820, p. 121 e passim; F. Milizia, Opere complete, V, Bologna 1827, p. 484; G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna..., IV, Bologna 1872, p. 355; E. Riccomini, Vaghezza e furore. La scultura del Settecento in Emilia e Romagna, Bologna 1977, pp. 128-136; M.G. Murolo, L’Ospedale dei Poveri Abbandonati, in Strenna storica bolognese, XXVIII (1978), pp. 293-311; G. Bertuzzi, Il rinnovamento edilizio a Modena nella seconda metà del Settecento, II, Modena 1987, pp. 99-124; P. Foschi, Dal Seicento all’Ottocento: si conclude un ciclo, in Il Palazzo Comunale di Bologna: storia, architettura e restauri, a cura di C. Bottino, Bologna 1999, pp. 89-97; G. Simoncini, L’edilizia pubblica nell’età dell’Illuminismo: studi di storia urbana e del territorio, Firenze 2000, p. 536; Decoratori di formazione bolognese tra Settecento e Ottocento. Da Mauro Tesi ad Antonio Basoli, a cura di A.M. Matteucci, Milano 2002, p. 81; M.L. Giumanini, Competere in arte. I concorsi Fiori e Marsili Aldrovandi dell’Accademia Clementina, Bologna 2003; Nel segno di Palladio. Angelo Venturoli e l’architettura di villa nel Bolognese tra Sette e Ottocento, a cura di A.M. Matteucci - F. Ceccarelli, Bologna 2008; L’età neoclassica a Faenza. Dalla rivoluzione giacobina al periodo napoleonico, a cura di F. Bertoni - M. Vitali, Milano 2013, pp. 72 s., 90-111.