TAMAGNO, Francesco (Innocenzo). –
Nacque a Torino, figlio di Carlo, oste, e di Margherita Protto, e fu battezzato in Ss. Simone e Giuda il 28 dicembre 1850. Ebbe quattordici fratelli, dei quali solo in cinque sopravvissero al colera del 1854: Domenico (1843-1905), Francesco, Giovanna (1852-1911), Giovanni (1858-1910) e Giuseppe.
Cominciò a cantare in un’associazione di dilettanti, poi all’oratorio di don Bosco a Valdocco, partecipando agli spettacoli ivi promossi sotto la guida di don Giovanni Cagliero, che lo volle per solista all’inaugurazione della basilica di Maria Ausiliatrice (9 giugno 1868). Dal 1870 al 1873 frequentò il liceo musicale, iscritto come tenore corista, e in tale veste nel 1870 calcò le scene del teatro Regio negli Ugonotti di Giacomo Meyerbeer. Nel 1871 fu chiamato alla leva nel 1° reggimento di artiglieria a Varese, ma vi rimase solo sei mesi, avendo il padre pagato per abbreviargliela, come consentiva la legge vigente. Tamagno debuttò al Regio il 27 febbraio 1872, nella particina di Gaspero nel dramma lirico La colpa del cuore di Francesco Cortesi. L’anno dopo fu confermato come comprimario in alcuni titoli tra cui Poliuto di Gaetano Donizetti (Nearco); nella recita del 27 gennaio avrebbe emesso un si naturale non scritto, ma talmente potente da destare il fremito della sala e l’interesse del pubblico. Tamagno stesso, tornando spesso sull’episodio, alimentò il mito di una voce titanica fin dagli esordi.
Il 29 giugno 1873 Tamagno firmò un contratto oneroso con Antonio Rosani, agente teatrale che per quattro anni speculò su cachet sempre più importanti e però non sempre lo seppe consigliare con la prudenza che gli esordi richiedono. Cantò così al Bellini di Palermo, Riccardo in Un ballo in maschera, parte che correttamente si affidava ai tenori forza, essendo stata scritta per Gaetano Fraschini, e poi come protagonista nel Poliuto. Lo ascoltò Pietro Platania, che gli diede ottimi consigli per migliorare una tecnica ancora grezza. I successi al Comunale di Ferrara, dove debuttò nella Forza del destino, indi al Sociale di Rovigo (Roberto il Diavolo e I Capuleti e i Montecchi) e alla Fenice (Il Guarany di Antônio Carlos Gomes, Poliuto, Il franco cacciatore, Lucia di Lammermoor, Selvaggia di Francesco Schira), gli valsero la scrittura al Liceu di Barcellona nelle stagioni 1875-76 e 1876-77: cantò rispettivamente undici e dieci opere, debuttando nell’Africana e in Saffo, Lucrezia Borgia, Ruy Blas, Il trovatore, La traviata, Marta, Don Carlo (versione italiana in cinque atti), Gli ugonotti, Ernani, Aida e Messa di requiem. Al suo ritorno a Torino, al Vittorio Emanuele, la critica osservò che alla potenza si aggiungeva la dolcezza. Seguirono concerti all’Accademia filarmonica, al Carignano, in duomo (Messa di requiem). Il 26 dicembre 1877 aprì la stagione della Scala con L’africana, in un allestimento sfortunato. La critica lodò Tamagno, un emergente di belle speranze, ma sottolineò la necessità ch’egli temperasse le doti naturali con un’arte più raffinata. Nel febbraio del 1878 riscosse un bel successo nella seconda versione della Fosca di Gomes. In maggio intraprese la prima di numerose tournées in America Latina, che rappresentarono un momento fondamentale nella sua carriera, in particolare al Colón di Buenos Aires (dieci stagioni dal 1878 al 1898) e a Rio de Janeiro (1878, 1879, 1881), mentre fu due volte a Montevideo (1884, 1896) e Città del Messico (1890 e 1894).
Risale alla fine del 1878 la relazione con la madre dell’adorata figlia Margherita, una donna di cui s’ignora tuttora il nome (ipotesi fondate ma non verificate conducono a una signora di rango, sposata a un Savoia Aosta, cui la figlia fu fatta vedere fino all’età di sei anni; cfr. Piovano, 2005, p. 113). La figlia Margherita, che il 6 gennaio 1898 avrebbe sposato l’avvocato e imprenditore Alfredo Talamona, svolse attività sociale a Torino. Nel 1921-22 fu travolta dal fallimento dell’azienda tessile del marito, che l’abbandonò per formarsi un’altra famiglia. Morì il 28 agosto 1942.
A fine 1879 inaugurò la stagione di Carnevale del São Carlos di Lisbona con Poliuto, seguito da alcuni titoli ch’erano ormai suoi cavalli di battaglia. In autunno fu al Pagliano di Firenze con L’africana, indi alla Scala per la prima assoluta de Il figliuol prodigo di Amilcare Ponchielli (26 dicembre 1880), Ernani e la prima assoluta del Simon Boccanegra rifatto da Giuseppe Verdi (24 marzo 1881). Benché già applaudito interprete di alcuni spartiti verdiani, quest’opera rappresentò il primo incontro ravvicinato tra il grande compositore e il futuro interprete di Otello. Con il suo tipico pragmatismo, e deciso a rivendicare per sé lo status del creatore, Verdi pregò Franco Faccio, direttore designato, di accertare se la vocalità di Gabriele Adorno convenisse a Tamagno: stabilitolo, tirò dritto, non modificò alcunché, neppure quando il Corriere della sera lasciò trapelare che la prima donna, Anna D’Angeri, e Tamagno erano insoddisfatti delle proprie parti, meno brillanti di quanto desiderassero. Tamagno si segnalò come cantante, ma l’attore – e non era la prima volta – lasciava a desiderare. Il tenore ritornò in America Latina: a Rio fu Faust nella prima locale del Mefistofele di Arrigo Boito, e soprattutto debuttò come Arnoldo nel Guglielmo Tell; si trattò di un evento fondamentale nella storia della diffusione del capolavoro rossiniano e dell’esecuzione di questa parte, impervia. Nel 1883 tornò a Torino al Regio per un concerto di beneficenza, destò fanatismo al Brunetti di Bologna con Poliuto e poi al Costanzi di Roma, dove ripropose l’opera donizettiana e fece furore nel Trovatore. Il 10 gennaio 1884, alla Scala, fu il protagonista nella prima del Don Carlo ridotto da Verdi in quattro atti. Per la seconda volta si trovò al centro di un’operazione di grande richiamo, legando di nuovo il proprio nome a Verdi e allo stile delle sue opere mature. Non amò tuttavia questo spartito, che riprese una sola volta a Buenos Aires. Trovò modo di sfoggiare il suo micidiale, mitico do di petto aggiungendo una puntatura (la cosiddetta puntatura Tamagno) nella stretta del duetto con il Marchese di Posa.
Dopo le consuete tournées estive in America del Sud, in autunno fu a Torino per un Poliuto memorabile, si produsse in alcuni concerti di beneficenza, comparve nel febbraio-marzo del 1885 alla Scala per Il profeta, Mefistofele e la prima assoluta di Marion Delorme di Ponchielli che, nonostante la presenza di Romilda Pantaleoni nel ruolo eponimo e la direzione di Faccio, non fu apprezzata dalla critica. Mentre continuava a mietere successi in Italia e all’estero, ebbe inizio quello che può essere definito l’affaire Otello. Tra il 1879 e il 1880 la stampa aveva diffuso la notizia che Verdi stesse scrivendo un’opera nuova. Su suggerimento di Giulio Ricordi, il tenore scrisse a Verdi nel febbraio del 1880 una lettera (perduta) per proporsi come protagonista. Verdi, allora a Parigi, fu evasivo e dichiarò che non era sicuro di musicare il libretto dell’Otello, di cui aveva acquistato la proprietà da Boito. Terminata l’opera nel 1886, Ricordi ripropose Tamagno, ma Verdi sottolineò le proprie perplessità: la parte di Otello, ch’era stata scritta senza pensare ad alcun tenore in particolare, richiedeva canto di forza e di grazia, potenza e mezzavoce, competenze che Tamagno non possedeva in egual misura. Per giunta, non era un grande attore. Le insistenze di Ricordi ebbero infine ragione delle reticenze di Verdi, il cui atteggiamento critico derivava anche alla volontà di affermare che l’idea del compositore trascendeva le qualità del cantante prescelto. Da qui derivarono la richiesta di Verdi di un’audizione privata e le rimostranze nei confronti di Ricordi per essersi sbilanciato con il tenore. L’incontro avvenne il 26 aprile 1886 e determinò la scelta, che a sua volta comportò una preparazione minuziosa, prima con Faccio, incaricato da Verdi di curare la quadratura musicale del cantante, poi da Verdi stesso circa l’azione scenico-musicale, completata durante le prove in teatro. Il compositore, preoccupato dell’egocentrica invadenza dell’artista, chiese a Ricordi di predisporre un soggiorno del tenore a Genova in autunno (Carteggio, 2010, pp. 102-104). Il 26 dicembre Tamagno fu Radamès nell’Aida che inaugurò la stagione scaligera e poi il protagonista di Otello, 5 febbraio 1887. Riscosse consensi unanimi e trovò in Ora e per sempre addio e poi nella scena della morte l’apice di un’interpretazione che non è esagerato considerare leggendaria.
Otello diventò così per antonomasia il ruolo di Tamagno, che nello stesso anno lo cantò al Costanzi di Roma, alla Fenice di Venezia, nel 1888 al San Carlo di Napoli, all’Argentina di Roma e al Colón, nel 1889 al Politeama di Palermo, al Regio di Torino, al Carlo Felice di Genova e al Lyceum di Londra, nel 1890 al Chicago Auditorium, al Nacional di Città del Messico, alla Grand Opera House di San Francisco, al Metropolitan di Denver, alla Mechanics Hall di Boston e al Metropolitan Opera (Met) di New York, alla Academy of music di Filadelfia, al Teatro Ópera di Buenos Aires, nel 1891 al Casinò di Nizza, al São Carlos di Lisbona, al Panaev di Mosca, nel 1892 al Real di Madrid, al Liceu di Barcellona, nel 1893 al Principal di Valencia, al San Fernando di Siviglia, nel 1894 alla Salle Garnier di Montecarlo, al Bol′soj di Mosca, nella tournée della Compagnia Grau che toccò Filadelfia, Brooklyn, Baltimora, Washington, Chicago, Saint Louis e New York, nel 1995 al Covent Garden, nel 1896 al Solís di Montevideo, nel 1897 nella Gran Sala del conservatorio di Pietroburgo, all’Opéra di Parigi, allo Hoftheater di Monaco di Baviera, nel 1900 alla Scala, direttore Arturo Toscanini.
Tra il 1888 e il 1889, all’apice di un successo internazionale, confermato dai cachet sempre più elevati, fu con Adelina Patti la star della Grand Opera company che Henry E. Abbey e Maurice Grau portarono negli Stati Uniti. Il debutto avvenne a Chicago con Guglielmo Tell, la tournée toccò poi piazze piccole e grandi, compreso il Met di New York. Dopo essersi esibito al Covent Garden, rientrò a Varese, dove aveva fissato la propria dimora, in una grande villa in zona Giubiano. Nel 1892 al Real di Madrid cantò alcune recite di Edgar, l’unico suo contatto con il melodramma pucciniano e con Giacomo Puccini stesso, che aveva sollecitato la sua partecipazione all’allestimento. Il 9 novembre 1893 varò come Giuliano I Medici di Ruggero Leoncavallo al Dal Verme di Milano. Nel 1896 fu impegnato a Montecarlo, dove tornò poi con frequenza, trattandosi di una piazza tranquilla che garantiva vistosi compensi, e poi in America Latina. Nel 1897 fu in tournée in Germania (a Colonia, Francoforte, Monaco, Dresda), alternando ai concerti Il profeta e Il trovatore, prima di ritrovare Pietroburgo, dove nella sala del conservatorio cantò tra l’altro Andrea Chénier. Nel 1899 ricomparve alla Scala per Guglielmo Tell e a Napoli per Poliuto, al Regio di Torino diede un concerto di beneficenza, e nel luglio dell’anno dopo si produsse in una festa musicale nei giardini reali. Risale a quest’anno, alla Salle Garnier di Montecarlo, il debutto nella prima assoluta di Messaline di Isidore de Lara, nella parte di Hélion, che il compositore modellò sulle sue caratteristiche vocali. Già nel 1897, sempre a Montecarlo, aveva cantato la parte di Leicester in Amy Robsart dello stesso compositore. Nell’ultimo lustro della carriera si prodigò in numerosi concerti di beneficenza su piazze di varia importanza, intercalati ancora a qualche titolo di opera, come Messalina ripresa alla Scala nel 1901, anno in cui comparve al Covent Garden con Otello, Aida, Messaline, Hérodiade, e alla Salle Garnier di Montecarlo nel 1903 con Hérodiade e La damnation de Faust. Nel 1904 al Vittorio Emanuele di Torino si produsse per due serate nel secondo e terzo atto del Poliuto, che riprese al Dal Verme di Milano il 9 giugno: fu il suo addio alle scene, mentre l’addio al canto avvenne con un concerto al Circolo degli artisti di Torino il 27 marzo 1905. Frattanto lo stato di salute si era fatto precario.
Morì il 31 agosto 1905 a Varese. I funerali furono celebrati a Giubiano il 5 settembre, e l’indomani la salma, che era stata imbalsamata, fu traslata e inumata nella cappella di famiglia al cimitero Monumentale di Torino; il 30 aprile 1912 venne tumulata nel mausoleo che la figlia, raccogliendo il desiderio del padre, aveva deciso di far costruire a Torino. Il mausoleo, nel quale sono seppelliti numerosi membri della famiglia Tamagno-Talamona, è stato acquistato dal Comune, vincolato come bene culturale, restaurato e restituito alla città con cerimonia ufficiale il 27 novembre 1998.
Il 4 febbraio 1903 nella ‘villa Jolanda’ che aveva acquistato nel 1897 a Ospedaletti, al termine di una laboriosa trattativa, Tamagno aveva inciso per la G&T brani da Otello, Andrea Chénier, Il profeta, Il trovatore, Hérodiade, Sansone e Dalila, Guglielmo Tell, Il re di Lahore, Messalina e l’Ave Maria di Luigi Mapelli. Si trattò di quarantuno facciate, numero che non deve stupire, giacché in molti casi lo stesso pezzo venne più volte ripetuto. Da questi dischi fu pubblicata una serie di undici incisioni, poi portate a dodici nel 1924 per intervento di Talamona. Sulla presenza della romanza per baritono O casto fior del mio sospir dal Re di Lahore di Jules Massenet sono state avanzate ipotesi diverse, che attribuiscono il disco al fratello Giovanni Tamagno, baritono ancora in carriera, o ad Antonio Cotogni, amico del tenore e forse presente a Ospedaletti in quella circostanza. Le ulteriori incisioni di alcuni degli stessi e di altri nuovi, da realizzarsi a Varese nel teatrino della villa di Tamagno, non ebbero seguito per la morte del cantante.
Francesco Tamagno fu considerato leggendario, per la potenza della voce, lo smalto di un timbro argenteo e adamantino, lo squillo irresistibile, il vigore di un canto che incarnò, forse per l’ultima volta, il tipo del tenore stentoreo, così come si era venuto configurando sulle orme di Fraschini e di Enrico Tamberlick, di cui egli fu reputato il legittimo erede. L’identificazione con il personaggio di Otello, perseguita con determinazione, contribuì alla leggenda, nonostante le riserve più o meno sfumate di Verdi, che per il Moro avrebbe desiderato una vocalità più complessa e screziata. Il successo fenomenale del primo Otello contribuì a farne una star e a portare alle stelle i suoi cachet.
Dagli esordi alla maturità Tamagno compì evidenti progressi, documentati nelle incisioni (da ascoltare con criterio, data la tecnica rudimentale con cui furono realizzate): maturò una tecnica soddisfacente, capace anche di morbidezze e di passaggi a fior di labbra, non diversamente peraltro dai tenori stentorei che lo avevano preceduto. L’impostazione alta del suono, la proiezione accentuata, il rifiuto di ogni turgore nel centro, il fraseggio nitido e la dizione martellante puntavano a trasmettere l’immagine eroica dei personaggi affrontati. Tamagno concentrò il proprio repertorio su alcuni titoli romantici, tra cui Guglielmo Tell, Poliuto e Lucia di Lammermoor, su una manciata di opere verdiane, tra cui Il trovatore, Aida, La forza del destino, e sulla triade meyerbeeriana (Gli ugonotti, Il profeta e L’africana), affrontata con la vocalità robusta che si era sviluppata nella scia di Gilbert Duprez. Si tenne lontano dalla Giovane Scuola: l’approccio a Cavalleria rusticana nella tournée americana del 1904-05 o ad Andrea Chénier fu episodico, inevitabili concessioni ai gusti del momento, laddove la vocalità dell’Edgar di Puccini e dei Medici di Leoncavallo guardava ancora al tardo Ottocento romantico. La rivoluzione operata da Enrico Caruso, che inaugurò lo stile di canto del Novecento, relegò Tamagno nel passato. Spesso la critica discografica ha sottolineato con enfasi gli aspetti fenomenali di Tamagno, definito «tenore-cannone»; ma la sua arte del canto andrà studiata con attenzione per comprendere il linguaggio vocale nella produzione del secondo Ottocento.
Un’osservazione a sé richiede l’interpretazione di Otello, comunque esemplare ad onta delle critiche, anche feroci, per esempio in occasione delle recite londinesi, quando gli venne rimproverata sia l’impostazione stentorea del canto sia una lettura a senso unico del personaggio, risolto alla stregua di un selvaggio e dunque troppo semplificato rispetto all’originale shakespeariano. Non a caso in Italia ci fu chi gli preferì la lettura meno travolgente e più meditata di Giovan Battista De Negri o di Franco Cardinali. Non va peraltro dimenticato che Tamagno non fu mai un grande attore. L’ascolto dei dischi dell’Otello di Tamagno consente di capire che la sua vocalità si collocava nel solco di quella di Radamès e Don Carlo, senza la tinta scura e baritonale che poi sarebbe venuta in voga nel Novecento, a eccezione dell’Otello di Giacomo Lauri-Volpi, il quale tuttavia, nel proprio giudizio (1977, pp. 134 s.), fu piuttosto riduttivo e ingeneroso, e non volle riconoscere l’importanza storica di un interprete che nel tardo Ottocento fece spicco, anche al di là di Otello.
Fonti e Bibl.: A. Brisson, Le ténor T., in Portraits intimes, IV, Paris 1899, pp. 183-189; E. De Amicis, F. T. Ricordi della sua vita, Palermo 1900; G. Monaldi, Cantanti celebri del secolo XIX, Roma 1907, pp. 250-267; M. Corsi, Tamagno, il più grande fenomeno canoro dell’Ottocento, Milano 1937; E. Gara, F. T., in La Scala, 1950, n. 50, pp. 32-39, n. 51, pp. 27-31; G. Ugolini, Umberto Giordano e il problema dell’opera verista, in Umberto Giordano, a cura di M. Morini, Milano 1968, pp. 19-88; G. Lauri-Volpi, Voci parallelle, Bologna 1977, pp. 134 s.; H. Sachs, Toscanini, Torino 1981, pp. 37, 55 s., 87 s., 93 s.; G. Gualerzi, Grands Otello du passé, in Opéra international, 1987, febbraio, pp. 20-22; Id., «Otello». The legacy of T., in Opera, XXXVIII (1987), pp. 122-127; M. Aspinall, Ricordando T., in L’opera, 1993, n. 66; M. Scott, The record of singing, I, Boston 1993, pp. 10, 110, 116, 131-133; U. Piovano, «Potrei fare per Tamagno una frase, forse d’effetto». F. T. e il rapporto tra Verdi e i suoi interpreti, in Studi verdiani, 1997, vol. 12, pp. 67-132; Il titanico oricalco. F. T., Torino 1997; U. Piovano, «Otello fu». La vera vita di F. T., il ‘tenore cannone’, Torino 2005; J. Kesting, Die großen Sänger, IV, Kassel 2010, pp. 99-112; Carteggio Verdi-Ricordi (1886-1888), a cura di A. Pompilio - M. Ricordi, Parma 2010, ad indicem.
(Innocenzo)
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