TEBALDESCHI, Francesco
– Nacque a Roma intorno al 1307 dal nobilis Giovanni di Tebaldo Tebaldeschi (de Thebaldescis) e da una nipote del cardinale Jacopo Stefaneschi.
Risiedette probabilmente (la testimonianza è però tarda, del 1378) nel rione Parione, ove compare anche un suo autorevole parente, il ricco mercante agricolo, bovattiere, e nobilis vir Nicola de’ Tebaldeschi che figura nel 1360 fra i compilatori dei nuovi statuti di Roma. Il fratello Tebaldo e un nipote acquisito (Niccolò di Giovanni Marroni, figlio di una sorella di Tebaldeschi) furono canonici di S. Pietro in Vaticano.
Agli inizi della sua carriera religiosa, ottenne (nel 1324, grazie ai legami con Stefaneschi) benefici ecclesiastici a Burgos, che tenne sino al 1356 (5 marzo 1356, Archivio segreto Vaticano, Reg. Aven., 134, c. 382v). La richiesta di un canonicato di S. Maria in Trastevere (5 luglio 1329, Jean XXII (1316-1334). Lettres communes, a cura di G. Mollat, 1904-1947, n. 45604) lo mostra ben inserito nel contesto ecclesiastico romano; alcuni anni dopo (1334) probabilmente ottenne un canonicato a Padova (prescelta forse in quanto sede universitaria). Sotto il nuovo papa Benedetto XII (gennaio 1335) Tebaldeschi appare per la prima volta come esecutore di lettere beneficiali papali. Nel maggio del 1336 subentrò a un Orsini in un canonicato a Santiago di Compostela. Ma particolarmente caro gli fu il canonicato di S. Pietro in Vaticano.
Di S. Pietro fu camerarius nel 1344 (7 gennaio, Biblioteca apostolica Vaticana, Archivio Capitolo di S. Pietro, Capsulae, LIX, f. 382, n. 3) e poi (dal 1355 circa) priore ossia decano (ma mai arciprete). Vi eresse una cappella detta Ossibus Apostolorum, dotandola di tre chierici beneficiati per i servizi liturgici, con beni a Velletri, a Torricella (diocesi di Porto) e a Roma. Anche questi possedimenti lasciano trapelare un patrimonio immobiliare tipico di un esponente dell’aristocrazia comunale di Roma. In quanto priore concluse transazioni importanti, come l’acquisto di metà del castello di Attigliano da Orso di Napoleone Orsini (25 agosto 1360, ibid., Capsulae, XLI, c. 333).
Per la notorietà acquisita, già dagli anni Quaranta divenne – specialmente fra i chierici legati alla famiglia Orsini – un richiestissimo esecutore di lettere di provvista per benefici ecclesiastici.
In questa veste è menzionato nel 1348 nella lettera contenente l’assegnazione di un canonicato del duomo di Rieti a Paride di Giovanni Orsini e di un canonicato a S. Maria in Trastevere al fratello di quest’ultimo, Deifebo. Il cardinale Annibale da Ceccano, nel suo testamento del 17 giugno 1348, elenca Tebaldeschi, che è uno dei suoi consanguinei et cappellani, fra i suoi tanti esecutori testamentari.
Nel maggio del 1363 Tebaldeschi era già così apprezzato da essere incluso fra gli emissari inviati a Roma da Urbano V; a essi fu affidata l’amministrazione del finanziamento di lavori di restauro alle chiese dell’Urbe, e a Tebaldeschi, insieme all’abate di S. Paolo fuori le mura, fu assegnata la fabbrica dell’abbazia di S. Paolo fuori le mura (per 800 ducati). Nel settembre Tebaldeschi fu indicato dal pontefice come uno degli interlocutori di Giacomo Muti, che doveva preparare il suo ritorno a Roma, in particolare per l’acquisto di Castel Sant’Angelo dagli eredi di Napoleone Orsini. Il 18 giugno 1367 il papa ad Avignone lo nominò capellanus honoris papale e Tebaldeschi giurò davanti al camerlengo Arnaud Aubert.
Il ritorno di Urbano V a Roma nel 1368 aprì nuove possibilità alle élites cittadine di Roma, che secondo il papa e i suoi consiglieri politici avrebbero dovuto costituire i contrappesi al potere delle famiglie baronali. L’Urbe si considerava infatti assai trascurata da Avignone. In questo quadro – e al papa era forse anche noto che Cola Tebaldeschi era coinvolto nella stesura degli statuti di Roma del 1360-63 – rientra la nomina di Tebaldeschi a cardinale (del titolo di S. Sabina: ma prevalse la denominazione corrente di cardinale di S. Pietro, per i legami con la basilica vaticana), nel concistoro di Montefiascone (22 settembre 1368). Fu una magra consolazione per i romani, visto che ebbero il cappello cardinalizio con Tebaldeschi sei francesi e un inglese; tuttavia, si insediò nel comune un regime popolare che eliminò le famiglie baronali dalle posizioni apicali (come la carica di senatore, affidata ora a non romani).
A Tebaldeschi (che continuò ovviamente ad accumulare rendite e benefici in Francia, a Langres e Valence, e in Spagna, a Maiorca, e adottò uno stile di vita adeguato al suo rango) furono in quegli anni affidati altri incarichi importanti per il miglioramento delle infrastrutture urbane di Roma. Tale la riparazione del ponte di S. Maria (oggi Ponte Rotto), finanziata nel 1369 dal comune di Roma mediante una concessione in appalto dei pedaggi del porto di Ripa (affinché gli appaltatori concorressero alle spese con 900 fiorini; maggio 1369, Archivio storico Capitolino, Arch. Urbano, I/649, vol. 10, c. 45v). Nel dicembre del 1369 inoltre il cardinale fece parte con Bernard du Bosquet di una commissione per la «visitatio hospitalium et monasteriorum monialium Urbis» (13 dicembre 1369, Archivio segreto Vaticano, Reg. Vat., 250, c. 17rv), e nello stesso anno ricevette a Roma con altri tre cardinali la solenne professione di fede dall’imperatore bizantino Giovanni I Paleologo. Il 16 aprile 1370 Tebaldeschi, in presenza del pontefice, dei cardinali Pierre Roger e Rinaldo Orsini nonché dei vertici del comune di Roma, assistette alla traslazione delle teste degli apostoli martiri Pietro e Paolo dalla cappella del Sancta Sanctorum all’altare maggiore della basilica di S. Giovanni in Laterano.
Dopo la morte di Urbano V (Avignone, 19 dicembre 1370), Tebaldeschi non ebbe un ruolo di rilievo nel conclave (dominato da tredici cardinali francesi, contro tre italiani) che elesse Gregorio XI (Pierre Roger), ma con il nuovo papa la sua fortuna non ebbe scosse (forse anche per i rapporti amichevoli con il cardinale Pierre de Monteruc). Sul piano beneficiale, ereditò tre benefici (ad Assisi e Perugia) del defunto cardinale Rinaldo Orsini; condivise la politica antiviscontea del papa (1374) e fu il terminale in curia di molti potenti italiani, come i Gonzaga. Non stupisce che sia stato utilizzato dal papa per preparare il rientro a Roma, in veste di legato a Roma, nella Sabina, nella Campagna e Marittima, nel patrimonio di S. Pietro e nel ducato di Spoleto (1376), con un lauto stipendio (500 e poi 600 fiorini), amplissimi poteri giurisdizionali e di riforma (dello Studio di Perugia, degli Ordini mendicanti). Nell’Urbe Tebaldeschi placò gli animi dei cittadini, trasmettendone ad Avignone – a mo’ di sollecitazione al papa – le bellicose intenzioni qualora Gregorio XI non fosse rientrato in Italia; prese inoltre provvedimenti per il restauro del palazzo apostolico e per la sicurezza della città (per esempio ingaggiando, il 30 novembre 1376, il condottiero Roberto d’Altavilla di Capua contro l’irrequieto Francesco de Vico, Archivio segreto Vaticano, Reg. Aven., 200, cc. 644r-645r). Dal papa – giunto a Roma nel gennaio del 1377 – Tebaldeschi, che aveva gestito in parte le trattative con la cittadinanza romana (la Felice società dei balestrieri e dei pavesati) ottenne una volta di più concessioni (come la facoltà di farsi sostituire per tre anni nel decanato di Lichfield, del 13 settembre 1377, Reg. Aven., 203, c. 113rv) e benefici per parenti, familiares e servitori (italiani, tedeschi, catalani).
Dopo la morte di Gregorio XI l’ormai anziano (settantenne) e malato (di podagra) Tebaldeschi partecipò al celebre conclave dell’aprile del 1378, il primo a Roma dopo settantacinque anni, sotto la pressione del popolo («Romano lo volemo o almanco italiano»). Dopo il primo scrutinio (7 aprile) favorevole a Bartolomeo Prignano arcivescovo di Bari, fu Tebaldeschi a suggerirne un secondo (cui parteciparono solo undici cardinali su quattordici), che confermò il napoletano Prignano. Nell’attesa dell’eletto, i cardinali – temendo la folla tumultuante intorno al palazzo – ricorsero all’espediente di esibire come prescelto il romano Tebaldeschi al quale – quasi paralizzato dalla gotta – fu imposta contro la sua volontà, forse su incitamento di Roberto da Ginevra, la mitra e la cappa papale.
La notizia si diffuse subito e nei disordini che seguirono fu invasa la sede del conclave e saccheggiata la residenza romana di Tebaldeschi secondo una tradizione, ritenuta antica ma in realtà più recente, secondo la quale si riteneva legittimo depredare un papa neoeletto in vista del suo nuovo status. I primi a credere all’elezione di Tebaldeschi furono naturalmente i suoi parenti e amici romani.
Due giorni più tardi (9 aprile) fu riconfermata e resa nota l’elezione di Prignano con il nome di Urbano VI. A lui Tebaldeschi rimase sempre fedele, mentre tutti gli altri cardinali via via lo abbandonarono, a causa delle scelte politiche e del carattere intransigente.
Un documento dell’8 giugno 1378 – nel quale Tebaldeschi «tamquam antiquior et plenissime informatus de statutis et de antiquis consuetudinibus» (Biblioteca apostolica Vaticana, Archivio Capitolo di S. Pietro, Capsulae, III, f. 6, nn. 1 s.) fu chiamato ad arbitrare una lite relativa alle offerte della capella sudarii, contestata ai canonici vaticani – dimostra che egli non nutriva dubbi sulla legittimità di Urbano, il cui nome appare nella datazione.
In quel mese e nel successivo Tebaldeschi, malato, non partecipò alle iniziative dei cardinali dissidenti che abbandonarono Roma, dichiararono nulla l’elezione di Urbano e il 21 settembre elessero Clemente VII. Quando ciò accadde Tebaldeschi era morto da pochi giorni, per un attacco di epilessia (il 6 o 7 settembre; il suo medico Francesco di Fara confermò in seguito la sua fedeltà al papa romano anche in punto di morte).
La lastra tombale di Tebaldeschi si trova oggi nelle Grotte Vaticane. Aveva dettato le sue ultime volontà già durante un soggiorno ad Avignone; il cosiddetto testamento datato 22 agosto 1378 in realtà consiste in un proclama sulla legittimità di papa Urbano VI ed è conservato in più copie, ma da alcuni contemporanei fu ritenuto un falso. La dotazione della già menzionata cappella funeraria a S. Pietro con ricche opere d’arte (tavole dipinte, croci, paramenti e utensili liturgici), le quali oggi devono considerarsi disperse, rivelano comunque un uomo pio, colto e raffinato.
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