TERRIESI, Francesco. –
Nacque a Firenze nel 1635 da Francesca Santini e da Camillo di Pompeo Terriesi; fu battezzato il 23 ottobre. Appartenente a una ricca famiglia di patrizi e mercanti toscani, mancano fonti che consentano di documentare gli anni della sua giovinezza e della sua formazione.
Presumibilmente intorno alla primavera del 1668, si trasferì a Londra dove, per conto del mercante Andrea del Rosso, dette vita a una casa commerciale per l’importazione delle sete toscane in Inghilterra. Oltre a questa attività, stando a quanto di lui alcuni anni dopo disse Gregorio Leti, «divenne Banchiere con qualche fondo, e buon valsente, & in questo stato servì sempre la Casa serenissima di Medici in tutte le trasmesse che si facevano di denaro, & in ogni altro serviggio, sopra tutto concernente materia Mercantile» (Del teatro brittanico, o, vero Historia dello stato, antico & presente, corte, governo spirituale e temporale, leggi, massime, religioni & evvenimenti della Grande Brettagna, II, Londra 1683, p. 330).
Nella primavera del 1669 incontrò il gran principe Cosimo de’ Medici allora in visita in Inghilterra. Nacque un rapporto di fiducia che sarebbe durato negli anni: a partire dall’estate del 1670, Terriesi venne frequentemente impiegato dalla corte medicea, affiancandosi al rappresentante diplomatico toscano Giovanni Salvetti Antelminelli, di cui era ben nota l’incapacità di venire incontro a richieste che andassero al di là del disbrigo dell’ordinaria amministrazione del suo impiego. Fu principalmente grazie a Terriesi che prestigiosi intellettuali britannici come Henry Neville, Samuel Morland e William Temple mantennero stretti rapporti con la corte granducale di Firenze. A Terriesi venne affidato l’incarico di acquistare libri inglesi e lui stesso segnalava a Firenze le cose più interessanti pubblicate in Inghilterra. Fu per suo tramite che, per esempio, giunsero in Italia la traduzione in inglese di Niccolò Machiavelli fatta da Neville, numerosi libri di John Milton, opere di controversistica religiosa, dizionari di lingua inglese, testi di antiquaria. A lui il granduca si rivolse regolarmente per acquistare medaglie, quadri, tenere contatti con artisti come Samuel Cooper e Richard Gibson (per l’acquisto di quadri ricorreva spesso a esperti, come il pittore Benedetto Gennari). Venne frequentemente utilizzato per consegnare doni e regali alle figure in vista della corte.
Fin dal primo momento ebbe anche l’incarico di far giungere a Firenze con regolarità informazioni sui ‘pubblici affari’ per integrare gli scialbi avvisi che settimanalmente inviava il residente Salvetti Antelminelli. Vero e proprio uomo di fiducia di Cosimo, per salvaguardarlo da possibili persecuzioni anticattoliche nel marzo del 1674 il granduca gli fece avere una lettera di nomina a console della nazione fiorentina di Londra, che avrebbe potuto mostrare qualora fosse stato necessario.
Nell’estate del 1677, dopo nove anni di permanenza in Inghilterra, fece ritorno in Italia. Stando alla testimonianza di Leti, Terriesi, «caduto in gravi incomodità» e ammalatosi, «si vide costretto d’abbandonar del tutto la profession di mercante» e, dopo aver «riconquistato salute», si recò in Germania, in Fiandra, in Olanda, in Francia e in Italia (Del teatro brittanico..., cit.). Fece però ritorno in Inghilterra nell’ottobre del 1678. Fu verosimilmente durante il suo soggiorno in Italia che alla corte granducale si iniziò a discutere della rimozione di Salvetti Antelminelli e della sua sostituzione con lo stesso Terriesi. Questa decisione apparentemente venne presa nella primavera del 1679, anche se fu solo un anno dopo, a partire dal 23 febbraio 1680, che Salvetti Antelminelli cessò formalmente ogni suo incarico e a lui subentrò Terriesi. Quest’ultimo inviava settimanalmente al segretario di Stato una lettera di avvisi, talvolta accompagnata da gazzette a stampa o pamphlet. Oltre a questi avvisi inviati alla segreteria, Terriesi mantenne la consuetudine di scrivere con regolarità al granduca Cosimo e al segretario della Cifra Apollonio Bassetti, cui comunicava «le cose particolari e più recondite o toccanti il privato servizio del Padrone Serenissimo» (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 4212, cc. n.n., lettera del 23 febbraio 1679 ab Incarnatione).
La nomina di Terriesi avveniva in una fase estremamente difficile e pericolosa per i cattolici in Inghilterra. Tra l’estate del 1678 e l’estate del 1681 il Paese fu scosso da un’ondata di isteria anticattolica in seguito alla rivelazione di un presunto complotto papista ordito dai gesuiti allo scopo di uccidere il re. Terriesi, succeduto a Salvetti Antelminelli, quando l’isteria collettiva contro cattolici e stranieri aveva già raggiunto il suo picco, fornì ogni settimana resoconti estremamente dettagliati sul dispiegarsi degli eventi. Allo stesso modo, dopo l’ascesa al trono inglese del cattolico Giacomo II, tenne costantemente aggiornata la corte di Firenze di quanto andava accadendo in Inghilterra, mostrando una buona capacità di analisi. Come si evince dalla sua corrispondenza, comprese subito che re Giacomo non sarebbe riuscito a governare il dissenso che si stava coagulando contro di lui. Dopo l’intervento militare di Guglielmo d’Orange, Terriesi stesso rischiò in prima persona di essere travolto dagli eventi, in quanto cattolico. Nel dicembre del 1688 la sua abitazione nello Haymarket venne saccheggiata e lui stesso poté salvarsi dalla furia della folla solo scalando il muro di cinta che separava la sua casa da quella del facoltoso mercante inglese sir Paul Rycaut, che gli offrì rifugio. Terriesi portava con sé una cassetta contenente oro, gioielli e 3500 ghinee che gli era stata affidata dallo stesso re Giacomo prima della sua precipitosa partenza da Londra dell’11 dicembre. Oltre ai soldi, Giacomo consegnò a Terriesi nove volumi di sue memorie manoscritte. Quando il re poté far ritorno a Londra il 17 dicembre fece chiamare Terriesi cui espresse il suo ringraziamento per aver salvato i gioielli e le carte che pregò di far arrivare alla regina, nel frattempo riparata in Francia. Le notizie della violazione dell’immunità diplomatica della casa di Terriesi e di quella dell’ambasciatore spagnolo Pedro de Ronquillo fecero rapidamente il giro d’Europa e lo stesso Leti ne parlò diffusamente nel Teatro Gallico (Teatro Gallico o vero La monarchia della Real Casa di Borbone in Francia, sotto i regni di Henrico IV Luigi XIII e Luigi XIV..., III, Amsterdamo 1691, Parte terza, l. VII, p. 382).
L’ascesa al trono di Guglielmo d’Orange e di sua moglie Maria – figlia del deposto re Giacomo – pose tutti gli Stati europei cattolici di fronte al problema se procedere o meno a un riconoscimento ufficiale del nuovo regime. Anche in Toscana si aprì un dibattito sull’atteggiamento da tenere nei confronti dei nuovi sovrani inglesi. Da una parte, ragioni politiche ed economiche spingevano il granduca a un riconoscimento formale. Cosimo III, pur mantenendo una posizione defilata nel conflitto allora in corso in Europa, finanziò infatti la partecipazione dell’Impero alla guerra della Lega d’Augusta. Il commercio inglese e olandese era poi fondamentale per la piazza di Livorno. Dall’altra parte, contro il riconoscimento vi erano ragioni religiose e diplomatiche: non si poteva ignorare il fatto che Giacomo fosse stato deposto perché cattolico e che palesemente non si volesse pagare alcun risarcimento per la devastazione della casa di Terriesi. La questione venne discussa ampiamente a Firenze e su questo rimane un carteggio tra Terriesi, Lorenzo Magalotti e altri consiglieri di Cosimo III. Apparentemente si decise di procedere solo a un riconoscimento informale, de facto, del nuovo regime. Era chiaramente una soluzione di compromesso e la situazione per Terriesi in Inghilterra si fece assai precaria. Chiesto il permesso di fare ritorno in Italia, egli inviò alla segreteria di Stato il suo ultimo dispaccio da Londra il 13 marzo 1691. Attraversata La Manica il 20 marzo, decise di far ritorno in Italia via terra attraverso l’Olanda. Durante il viaggio, il 20 aprile fu catturato dai francesi a Hastmanhousen sul Reno, condotto a Mont Royal e trattenuto sino al 13 maggio. Rilasciato, proseguì il suo viaggio verso Firenze dove giunse dopo circa un mese.
Nelle istruzioni per la missione diplomatica in Inghilterra di Tommaso del Bene del 1695, che portarono al riconoscimento formale da parte toscana di Guglielmo d’Orange, si menzionò la vicenda di Terriesi segnalando che sia la sua casa sia quella del residente spagnolo erano state bruciate dopo il saccheggio, ma che, mentre erano state date le debite riparazioni all’ambasciatore spagnolo, a Terriesi erano state fatte solo promesse. La questione venne spesso sollevata nei due mesi di permanenza di del Bene a Londra (ottobre-dicembre 1695).
Nel febbraio del 1695, poco meno di quattro anni dopo il suo ritorno in Toscana, a Terriesi venne affidato l’incarico di provveditore della Dogana di Livorno. Non è certamente casuale che si fosse pensato a lui per questo ruolo. Il porto era il nodo centrale per il commercio inglese nel Levante e a Livorno esisteva una fiorente e vivace nazione inglese che datava le sue origini dalla fine del Cinquecento. Terriesi nella sua nuova funzione poté mettere a frutto le conoscenze maturate in tanti anni di permanenza a Londra, potendo interagire senza intermediari con i mercanti che componevano la British Factory di Livorno e con i capitani di navi inglesi che facevano scalo nel porto.
Nell’adempimento delle sue funzioni di provveditore alla Dogana egli scriveva quasi ogni giorno sia al segretario di Guerra, sia al primo segretario di Stato: nelle lettere a quest’ultimo si limitava in genere a dare notizia degli arrivi delle navi nel porto di Livorno e a fornire le loro portate, mentre in quelle indirizzate al segretario di Guerra, solitamente più articolate e personali, dava ampie notizie sulla più generale attività della Dogana. In queste lettere non è raro imbattersi talvolta in commenti sulla situazione politica europea. A Terriesi si ricorse spesso come intermediario con la comunità mercantile inglese di Livorno. Tra il 1706 e il 1707, giocò per esempio un ruolo importantissimo nelle trattative tra la comunità inglese di Livorno e le autorità medicee, che seguirono alla richiesta del residente inglese in Toscana sir Henry Newton di poter tenere in quella città un connazionale con funzioni di cappellano. La questione si concluse, alla fine del 1707, con la concessione a Basil Kennett del permesso di rimanere a Livorno come cappellano della comunità inglese.
Terriesi morì a Livorno l’11 novembre 1715. Secondo le sue volontà venne seppellito nella chiesa di S. Ferdinando, la cui costruzione era stata completata anche grazie a sue cospicue donazioni.
Due nipoti – Maria Camilla e Lucrezia – erano state da lui nominate principali eredi di un notevole patrimonio immobiliare consistente in fondachi e case a Firenze, vigne, boschi, mulini e fattorie in Mugello, a Monte Senario e ad Arezzo.
Fonti e Bibl.: Per l’atto di battesimo del 23 ottobre 1635: Firenze, Archivio dell’Opera di S. Maria del Fiore, Registri battesimali, Maschi, Reg. 40 (5 ottobre 1635 - 25 ottobre 1635); per i dispacci personali a Cosimo III e al segretario Apollonio Bassetti dal giugno del 1670 al 1690: Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, filze 4241-4246; per la corrispondenza tra Terriesi e la segreteria di Stato: ibid., filze 4212-4214; a Londra presso la British Library, Add. 25358-25381, sono conservate trascrizioni ottocentesche della corrispondenza di Terriesi con il granduca, con Apollonio Bassetti e con Francesco Panciatichi; a Los Angeles presso il Getty Research Institute, 1371-527, 950092, è conservato il Carteggio originale della Casa Medici col suo Ambasciatore a Londra dall’anno 1681 al 1690; per il testamento del 1713 cfr. Archivio di Stato di Firenze, Notarile Moderno, Protocolli, 23413, cc. 97v-100r, per quello del 1715 ibid., 23414, cc. 3r-4v; in B. Mannini, 1713: il burocrate, la fede, il potere, in La ballata, 1998, n. 2-3-4 e 1999, n. 1-2-3, si può leggere una trascrizione del testamento del 1713 basato sulla copia conservata presso l’Archivio di Stato di Livorno, Dogana, 6, ins. 180, giustificazione del sig. Larini. Sulla famiglia Terriesi: Archivio di Stato di Firenze, Raccolta Sebregondi, 5185; G. Cherubini - G. Fanelli, Palazzo Medici Riccardi di Firenze, Firenze 1990, pp. 154-156,158.
P. Rebora, Civiltà italiana e civiltà inglese, Firenze 1936, pp. 151, 156-161, 164 s., 271; A.M. Crinò, Il Popish Plot nelle relazioni inedite dei residenti granducali alla corte di Londra (1678 - 1681). Fonti della storia d’Inghilterra nell’Archivio di Stato di Firenze, Roma 1954, passim; Ead., Fatti e figure del Seicento anglo-toscano. Documenti inediti sui rapporti letterari, diplomatici e culturali fra Toscana e Inghilterra, Firenze 1957, pp. 119-122, 130-133, 135 s., 144-146, 187, 195, 198-207, 213-260, 270-287, 294-297, 312-314, 323-335, 339-347, 350-355, 365-383; S. Villani, Note su F. T. (1635-1715). Mercante, diplomatico e funzionario mediceo tra Londra e Livorno, in Nuovi studi livornesi, X (2002-2003), pp. 59-80; John Talman. An early-eighteenth-century connoisseur, a cura di C.M. Sicca, New Haven-London 2008, pp. 25, 130; F. Freddolini, Francesco Baratta: un nome, due scultori, due secoli, in Nuovi studi. Rivista di arte antica e moderna, XIV (2009), 15, pp. 269-285.