TORALDO, Francesco
TORALDO (Toraldo d’Aragona), Francesco. – Nacque a Napoli, pare nel 1585, da Vincenzo, mentre non è certo se la madre fosse la prima moglie del padre – la nobile napoletana Diana Filomarino – come spesso si legge, o la seconda, l’aristocratica spagnola Luisa Bracamonte (o Bragamonte), come riportò Carlo de Lellis (1671, p. 188). È vero che Francesco ereditò il retaggio feudale della casa, ma il fratello Gaspare morì nel 1641, sicché ciò non dimostra che Francesco fosse il primogenito.
I Toraldo discendevano da una famiglia nobile di Sessa Aurunca, in ascesa dal XV secolo grazie a una politica matrimoniale che portò alla fioritura di due rami: a Napoli, dove furono ascritti al seggio di Nido, e in Calabria, da cui discese la linea di Francesco. A metà del Quattrocento le nozze di Giorgio Toraldo con Margherita Ruffo avevano assicurato alla casa la baronia di Badolato, poi perduta dal nonno di Francesco, Gaspare Toraldo. Il secondo matrimonio di questi con Cassandra Issacar (Izaguirre) portò alla famiglia porzione della terra baronale di Palata, in Molise, mentre il resto del feudo giunse ai Toraldo dalle nozze di Vincenzo con Luisa Bracamonte.
Francesco fu avviato all’esercizio delle armi sotto le bandiere della Spagna. Una carriera brillante, dipanatasi attraverso campagne in Lombardia, in Germania e nelle Fiandre, lo portò al grado di maestro di campo generale. Rientrato a Napoli nel 1640, vi partecipò all’approntamento delle difese da una spedizione di una flotta francese, e fu ascritto al Consiglio collaterale. Ben presto, però, fu incaricato di spostarsi in Catalogna dove era in atto una rivolta e si segnalò nella difesa dall’assedio di Tarragona.
Tornato in patria, ottenne la terra di Massa Lubrense con il titolo di principe, sebbene «non hebbe mai possesso di detta città», poiché «quei cittadini ostinatamente difesero il loro privilegio d’esser regii» (Fuidoro, 1994, pp. 108 s.). Inoltre, nel 1646, ebbe il titolo di duca su Palata, mentre l’anno successivo sposò Alvina (o Alina o Elvira) Frezza, che gli avrebbe dato una figlia nata postuma giacché, nel frattempo, scoppiò la rivoluzione napoletana avviata dai tumulti del 7 luglio 1647.
Il principe non fu tra i nobili presi di mira dal popolo nei primi giorni della rivoluzione e, contrariamente a molti altri aristocratici datisi alla fuga, restò a Napoli. Mantenne un ruolo defilato anche dopo la morte di Masaniello e il governo di Giulio Genoino. Tuttavia, alla caduta di questi, coincisa con la «cosiddetta “seconda rivoluzione”» del 21 agosto, «si creò un vuoto di direzione politica del movimento popolare» ed emerse la necessità di «un autorevole comando centrale in grado di mantenere l’ordine nella città e la disciplina delle milizie» (Villari, 2012, pp. 432, 434-438).
Dapprima i popolari si rivolsero a Carlo della Gatta, principe di Monasterace, che declinò l’offerta per motivi di salute. Emerse, quindi, il nome di Toraldo, avanzato dal popolare Giuseppe Palumbo. Il principe cercò di opporre resistenza, ma, di fronte a forti pressioni, chiese a garanzia un atto notarile che attestasse la fedeltà alla monarchia. Ottenuto l’atto, Toraldo accettò e fu eletto capitano generale del Popolo: «Generalissimo» (Donzelli, 1647, p. 86), come Masaniello.
Di certo nella scelta giocò il prestigio di cui era ammantato e il fatto che nessuno, tra i popolari, potesse garantire un efficace comando militare. Inoltre, era ancora maggioritaria nello schieramento popolare la corrente riformatrice fedele alla Corona, che mirava a modificare, senza stravolgerlo, l’assetto dello Stato, mentre montavano le correnti indipendentistiche e repubblicane. Infine, è possibile che avesse indirizzato i popolari sul suo nome il cardinale Ascanio Filomarino, arcivescovo di Napoli, dati i suoi rapporti di stretta parentela con i Toraldo e visto il suo protagonismo nel ruolo di mediatore fra i popolari e il viceré Rodrigo Ponce de León duca d’Arcos. Meno convincente, invece, appare la tesi secondo cui agì dietro le quinte lo stesso viceré, in combutta «con alcuni capi popolari traditori della patria» (Tutini - Verde, 1997, p. 129). Segrete intese fra Toraldo, il viceré e il Collaterale sono documentate, ma ciò avvenne nella fase successiva alla sua nomina.
Il principe si impegnò nell’approntare difese più efficaci per la città ma soprattutto cercò di svolgere, con il cardinale Filomarino, un ruolo di mediazione. Un primo risultato fu di convincere il popolo ad accettare una tregua per riprendere le trattative con il viceré, il che portò alla stesura di nuove capitolazioni, dopo le prime elaborate all’indomani dell’avvio della rivoluzione.
Fra le scelte di Toraldo ci fu, poi, quella di dissuadere i popolari dal conquistare Castel S. Elmo; questa e altre decisioni contribuirono a metterlo in cattiva luce. La situazione precipitò quando si presentò a Napoli una flotta spagnola guidata da don Giovanni d’Austria, iniziando il bombardamento della città. Il comportamento di Toraldo, che temporeggiava spingendo per la tregua, mise sempre più in sospetto i popolari fin quando, il 21 ottobre, una mina esplosa senza danni fece fallire un tentativo di attacco delle forze del popolo. La confessione di un artificiere, che disse di aver usato due terzi di sabbia e uno di polvere su ordine del principe, segnò la sua fine.
Accusato di tradimento, Toraldo fu tratto in arresto e decapitato a Napoli quello stesso giorno, il 21 ottobre 1647. La testa fu esposta nel Mercato; inoltre, «fu spogliato ignudo il suo corpo e, trattone il cuore, [...] mandato ad Alvina Frezza sua moglie», mentre egli «fu impiccato per un piede ad una forca allo stesso luogo del Mercato» (Diario di Francesco Capecelatro..., 1850-1854, II, 1, p. 146) restandovi due giorni, prima di essere sepolto.
La notte stessa della morte fu eletto generalissimo Gennaro Annese; il 22 ottobre questi diffuse un manifesto (sottoscritto dal leader repubblicano Vincenzo D’Andrea) che giustificava con il tradimento l’uccisione e la sostituzione di Toraldo. Poco dopo fu proclamata la Repubblica.
Fonti e Bibl.: G. Donzelli, Partenope liberata o vero Racconto dell’heroica risolutione fatta dal popolo di Napoli per sottrarsi con tutto il Regno dall’insopportabil giogo delli spagnoli, Napoli 1647, pp. 86-89, 96-99, 108, 156-161, 163-166, 170-173, 175, 182 s., 187-191; C. de Lellis, Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli, Napoli 1671, pp. 188-191; L. Crasso, Elogii di capitani illustri, Venezia 1683, pp. 227-231; B. Aldimari, Memorie historiche di diverse famiglie nobili, così napoletane, come forestiere..., I, Napoli 1691, p. 168; R.M. Filamondo, Il genio bellicoso di Napoli..., I, Napoli 1694, pp. 271-286; Diario di Francesco Capecelatro contenente la storia delle cose avvenute nel Reame di Napoli negli anni 1647-1650..., a cura di A. Granito, I-III, Napoli 1850-1854, ad ind.; V. Conti, Le leggi di una rivoluzione. I bandi della Repubblica napoletana dall’ottobre 1647 all’aprile 1648, Napoli 1983, ad ind.; M. Pellicano Castagna, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, I, Chiaravalle Centrale 1984, pp. 159 s.; G. Intorcia, Magistrature del Regno di Napoli. Analisi prosopografica secoli XVI-XVII, Napoli 1987, p. 251; G. Delille, Famiglia e proprietà nel Regno di Napoli. XV-XIX secolo, Torino 1988, pp. 215, 218; M. Bisaccioni, Istoria delle guerre civili di Napoli, a cura di M. Miato, Firenze 1991, pp. 62-64, 67 s., 71 s., 75-79, 81, 83, 89-91; I. Fuidoro, Successi historici raccolti dalla sollevatione di Napoli dell’anno 1647, a cura di A.M. Giraldi - M. Raffaeli, Milano 1994, ad ind.; R. Villari, Per il re o per la patria, Roma-Bari 1994, pp. 28, 80, 82 s., 173-175, 180 s., 188 s.; M. Schipa, Studi masanielliani, a cura di G. Galasso, Napoli 1997, ad ind.; C. Tutini - M. Verde, Racconto della sollevatione di Napoli accaduta nell’anno MDCXLVII, a cura di P. Messina, Roma 1997, ad ind.; A. Musi, La rivolta di Masaniello nella scena politica barocca, Napoli 2002, ad ind.; R. Villari, Un sogno di libertà. Napoli nel declino di un impero (1585-1648), Milano 2012, ad indicem.