TORNI, Francesco
– Nacque a Firenze intorno al 1492 da Lazzaro di Bartolomeo, fornaio, e da un’Agnese, ed ebbe come fratelli Jacopo (v. la voce in questo Dizionario), Raffaello, Filippo, Giovanbattista e Tommaso, come attestano le decime di suo zio, il borsaio Piero di Bartolomeo, in particolare una del 1504 dove viene menzionato di 12 anni (Zurla, 2010-2011, pp. 53 s., note 4-5).
Nei pochi documenti familiari conosciuti non compare menzione del cognome Torni, e non si conosce, pertanto, un possibile vincolo con la famiglia fiorentina dei Torni insediata allora nel popolo di San Niccolò (Archivio di Stato di Firenze, Raccolta Sebregondi, famiglia Torni). Il cognome è associato a Francesco da un documento legato a un suo soggiorno nell’ospedale di S. Giacomo degli Incurabili a Roma, dove nel 1562 venne registrato come «magister Franciscus Torni alias vulgariter nuncupatus l’Indaco pictor Florentinus» (Bertolotti, 1881, p. 75; Id., 1882, p. 294). Dobbiamo alla biografia che Giorgio Vasari dedicò al suo fratello maggiore «Jacopo detto l’Indaco», in entrambe le edizioni delle Vite, la menzione del soprannome Indaco che egli condivise con Francesco, «anch’egli l’Indaco», cui è riservato un paragrafo all’interno della biografia di Jacopo nell’edizione giuntina (Vasari, 1568, 1878, III, pp. 681 s.). Tuttavia è solo a suo zio – «micer Francisco» – che Lázaro de Velasco, figlio di Jacopo e pittore di libri nonché architetto a Granada, attribuisce il soprannome Indaco nell’introduzione della sua edizione commentata di Vitruvio, verso il 1564 (Vitruvio, 1564 circa, 1999, c. 5v). Sconosciute rimangono le origini del soprannome, potendo essere legato a una particolare abilità di entrambi i fratelli nell’uso di quel pigmento colorante di origine indiana, o forse alla provenienza paterna, come si potrebbe desumere dalla Vita vasariana di Ghirlandaio, dove Jacopo viene menzionato come «Jacopo dell’Indaco», essendo forse così conosciuti entrambi i fratelli, Francesco come il Giovane e Jacopo come «l’Indaco Vecchio», quale è menzionato dallo stesso Vasari nella Vita di Michelangelo (Vasari, 1568, 1881, VII, p. 175).
Agli inizi degli anni Novanta del Quattrocento, Francesco era troppo giovane per frequentare la bottega di Ghirlandaio insieme a suo fratello, ma, sebbene non abbiamo riscontri documentari, è probabile che imparasse a dipingere nella bottega di Jacopo una volta che questo iniziò il suo lavoro in proprio a Firenze dal 1499. A Firenze, Francesco dovette avere un certo riconoscimento artistico e affermazione professionale, visto che nel 1511 venne incaricato di dipingere affreschi per due archi del chiostrino dei Voti all’Annunziata, che poi furono realizzati da Andrea del Sarto, da Rosso Fiorentino e da altri affermati pittori: in particolare si trattava di quello «che è tra la porta grande e la pichola di chiesa, dove debe dipingere quando e’ Magi andorono a parlare a Herode in Jerusalem; e l’altro archo è quello che è dove è la porta del fiancho della cappella di San Bastiano, dove debe dipingere una visione della Natività di Nostra Donna con duo Sibille» (Vasari, 1568, 1878, III, pp. 679 s., nota 1).
È sempre Vasari, allo stesso modo che per Jacopo, a scrivere che Francesco non era molto dedito al lavoro, essendo «nel lavorare più che malvolentieri e nel ragionare assai». Vasari menziona alcune opere sulle quali non abbiamo ulteriori riscontri documentari: dopo «alcune cose in Montepulciano», ad Arezzo realizzò «una tavoletta per l’udienza» della Compagnia della Nunziata, con «una Nunziata et un Dio Padre in cielo circondato da molti angeli in forma di putti», e nella stessa città, in occasione dell’entrata del duca Alessandro de’ Medici, un arco trionfale «bellissimo con molte figure di rilievo» e la scenografia per la rappresentazione di un’opera teatrale, ovvero «la prospettiva d’una commedia che fu tenuta molto bella». Vasari conclude il suo breve profilo biografico con la menzione de «la miglior opera che mai uscisse delle mani di costui, e la più lodata», uno studiolo di stucco per la duchessa Margherita d’Austria nel palazzo Medici di Firenze (Vasari, 1568, 1878, III, pp. 629 s.).
Non sappiamo quando avvenne lo spostamento di Francesco a Roma, dove si trovava al momento del sacco, nel 1527, e dove rimase lavorando come pittore fino alla morte. Al momento del sacco, abitava presso la chiesa degli Orefici e lasciò «un tondo nel quale era una Madonna chol Figliuolo in bracio che dormiva e una testa d[i] uno Josef e uno san Giovannino» che erano proprietà di «Domenico detto Menichella dipintore di Terranuova», come si desume da una sua dichiarazione in tribunale nel 1531 (Bertolotti, 1875a, pp. 130 s.). Nel 1536 lavorò per gli apparati effimeri dell’ingresso di Carlo V in città insieme ai pittori Pietro da Siena, Pietro Calabrese ed Ermanno Battista: in particolare realizzò l’apparato della porta di S. Sebastiano, lavori per i quali è riconosciuto nei pagamenti come «maestro Indaco pittore e scultore», incaricato dell’esecuzione, oltre all’arco presso la porta, di «otto trofei con loro armature e quattro armi pell’arco et borchie et legature» (Bertolotti, 1875b, p. 112), possibilmente quelle «figure di terra» menzionate da Vasari insieme a «un’arme a fresco in Campidoglio» fatta per l’occasione e che «fu molto lodata» (Vasari, 1568, 1878, III, p. 682). È del 1536 la prima notizia di un suo lavoro per la corte pontificia, quando l’«Indico pictor» dipingeva nella sala Regia in Vaticano insieme a Pierino del Vaga e altri maestri (Bertolotti, 1877, p. 228). Nel 1558 Francesco effettuò, per conto della Camera Apostolica e insieme all’architetto Pirro Ligorio, la valutazione di certi lavori per la Guardia dei Cavalli, eseguiti dal pittore Pietro Condopulo (Bertolotti, 1875a, p. 132).
È de Velasco colui che menziona suo padre Jacopo e suo zio Francesco come «excellentes pintores y escultores y arquitectos en Italia y España» (Vitruvio, 1564 circa, 1999, c. 5v). A detta affermazione risale la confusione che Francesco fosse stato in Spagna insieme a suo fratello (González Simancas, 1911, pp. 520 s.). Altri indizi supportavano tale ipotesi: in particolare il riconoscimento dell’Indaco giovane con un Francesco Fiorentino che si trovò in vari cantieri dell’Andalusia dagli anni Dieci, come il castello di Vélez-Blanco, e poi negli stessi cantieri di Jacopo, in particolare la Capilla Real e la cattedrale di Siviglia, e come predecessore dell’Indaco come maestro mayor della cattedrale di Murcia. Il rinvenimento dei documenti della morte di questo Francesco a Murcia nel 1522 fa scartare definitivamente tale possibilità (Gutiérrez-Cortines Corral, 1987, p. 94, nota 104).
Nel 1562, come si è accennato, Francesco, indicato come pittore, venne registrato presso l’ospedale di S. Giacomo degli Incurabili all’età di 70 anni (Bertolotti, 1881, p. 75; Id., 1882, p. 294), per cui è probabile che Vasari si riferisca a lui, e non a suo fratello Jacopo, come a colui che morì a Roma a sessantotto anni (Vasari, 1568, 1878, III, p. 681).
Fonti e Bibl.: M. Vitruvio, Los diez libros de Arquitectura de Marco Vitruvio Polion según la traducción castellana de Lázaro de Velasco [ms. 1564 circa], a cura di P. Mogollón Cano-Cortés - F.J. Pizarro Gómez, Cáceres 1999, cc. 5v, 8r; G. Vasari, Le vite (1568), a cura di G. Milanesi, III, Firenze 1878, pp. 679-682, VII, Firenze 1881, p. 175; A. Bertolotti, Autografi di artisti servati nell’Archivio di Stato di Roma, in Giornale di erudizione artistica, IV (1875a), pp. 130-139; Id., Documenti, in Archivio storico, artistico, archeologico e letterario della città e provincia di Roma, I (1875b), pp. 99-113; Id., Spogli vaticani, in Giornale di erudizione artistica, VI (1877), pp. 197-228; Id., Einige unbekannte Familiennamen berühmter Künstler, in Repertorium für Kunstwissenschaft, IV (1881), pp. 73-77; Id., Paolo di Mariano scultore nel secolo XV, in Archivio storico, artistico, archeologico e letterario della città e provincia di Roma, IV (1882), pp. 291-309; M. González Simancas, La Catedral de Murcia. Noticias referentes a su fábrica y obras artísticas, in Revista de archivos, bibliotecas y museos, XXIV (1911), pp. 510-538; C. Gutiérrez-Cortines Corral, Renacimiento y arquitectura religiosa en la antigua diócesis de Cartagena, Murcia 1987, pp. 61-66; M. Zurla, Jacopo Torni detto l’Indaco, pittore e scultore tra Italia e Spagna, in Proporzioni, n.s., XI-XII (2010-2011), pp. 39-68.