TORTI, Francesco
TORTI, Francesco. – Nacque a Bevagna, il 30 settembre 1763, primogenito di tre figli, da Giacinto, giureconsulto, e Teresa Rubini, discendente di una famiglia nobile di Camerino.
Lo stesso giorno della nascita il padre fu eletto presidente della rota di Genova. A quattordici anni imparò da autodidatta la lingua francese, spinto dal desiderio di leggere le opere di Jean Racine e Voltaire. Intorno al 1780 intraprese il cursus studiorum presso l’Università di Camerino: fra i docenti vi era Antonio Ludeña, da cui trasse l’amore per le questioni metafisiche.
Tre anni dopo si trasferì a Roma, con l’intenzione di impegnarsi nell’attività forense; tuttavia, nonostante l’ammissione nello studio dell’avvocato Bartolucci, preferì dedicarsi alla letteratura. Strinse amicizia con Vincenzo Monti, con il quale frequentò il beau monde capitolino.
Appena ventenne elaborò La Erodiade, un poema di argomento biblico in dieci canti in endecasillabi sciolti, che apparve presso i tipi di Ottavio Sgariglia (Assisi 1784). Nel Discorso preliminare sopra i versi sciolti, posto in apertura, Torti individuava le maggiori espressioni endecasillabe nella lirica frugoniana, nel Mattino di Giuseppe Parini, nelle epistole in versi di Francesco Algarotti, nella Moda di Clemente Bondi, nell’Ossian cesarottiano e nella versione del Paradise lost realizzata da Paolo Rolli.
Alla morte del fratello rientrò a Bevagna. Mantenne però vivi i contatti con Monti, avviando nel 1785 una corrispondenza epistolare cui l’amico associava l’invio dei suoi lavori al fine di ottenerne un giudizio: prime furono le tragedie Aristodemo e Galeotto Manfredi, seguite dai sonetti sulla Morte di Giuda (con la lettera del 29 marzo 1788). L’8 giugno 1793 Monti gli trasmise i primi due canti della Bassvilliana, che Torti lodò a onta di qualche perplessità dovuta al fatto di non apprezzare il gusto antiquato di taluni vocaboli (Trabalza, 1896, p. 19). A questi seguì l’invio del terzo e del quarto canto il 26 giugno.
Invitato da Monti, compose le Osservazioni alla Bassvilliana, che l’amico lesse con entusiasmo fra il settembre e il novembre del 1793 e decise di far stampare a sue spese. Tuttavia, l’adesione di Monti agli ideali rivoluzionari, che lo portò a interrompere la cantica reazionaria e a fuggire successivamente da Roma (il 3 marzo 1797), ebbe conseguenze anche sulle Osservazioni, che avrebbero dovuto essere pubblicate nell’edizione della Bassvilliana e Torti dovette invece distruggere. Da questo momento si interruppero anche i contatti fra i due letterati.
Non conosciamo il contenuto delle Osservazioni, redatte sotto forma di lettere, se non attraverso i commenti lusinghieri di Monti. Questi, soffermandosi in particolare sul giudizio su Dante, asseriva in una lettera dell’ottobre del 1793 che nessuno aveva mai parlato in maniera altrettanto degna dell’autore della Commedia.
E proprio le pagine su Dante furono quelle che Torti salvò dalle fiamme, facendole rifluire nella prima parte del Prospetto del Parnaso italiano. Da Dante fino al Tasso, storia letteraria che uscì presso i tipi della Stamperia Destefanis (Milano 1806).
In essa dava risalto all’autore della Commedia, mettendo in secondo piano Francesco Petrarca (più celebre, a sua detta, per la scuola che da lui scaturì che per la perfezione dei suoi versi), assimilando molti lirici quattro-cinquecenteschi nella categoria della «nullità» (salvando però Giovanni Della Casa, Angelo Costanzo e Annibal Caro), indugiando poi sui poemi epico-cavallereschi (soprattutto Ludovico Ariosto e Torquato Tasso) e sul dramma pastorale.
Ignorata da Monti, la prima parte del Prospetto fu recensita positivamente da un autore che si firmava A.A.R. sul Giornale pisano di letteratura scienze ed arti, n. 21 (parte III, t. VII) del novembre-dicembre del 1807.
Una seconda parte, «dal cav. Marini fino alla fondazione d’Arcadia», e una terza, riguardante solo i poeti del Settecento, uscirono presso i tipi di Costantini, Santucci e Compagni (Perugia 1812).
Nella prima delle due parti Torti dedicava spazio all’autore dell’Adone, ai marinisti, tornando indietro a Francesco Berni e alla poesia bernesca, trascorrendo poi all’Alessandro Tassoni eroicomico, a Fulvio Testi, Gabriello Chiabrera (apprezzato per le sue canzonette), Vincenzo da Filicaia (giudicato più oratore che poeta), Alessandro Guidi, Francesco Redi (il cui Bacco in Toscana considerava goffo), Francesco De Lemene, Carlo Maria Maggi, per arrivare sino a Giovan Battista Felice Zappi (che ammirava) e all’Arcadia. Nella seconda parte, dopo una premessa in cui adduceva alcune giustificazioni per l’assenza di Vittorio Alfieri (fra cui la «cruscomania» che egli aveva resuscitato), sottolineava l’importanza di Pietro Metastasio, celebrando il genio di Carlo Goldoni (soprattutto nei suoi personaggi femminili) e il Carlo Innocenzo Frugoni anacreontico e giocoso, esprimendo riserve sul Giorno di Parini per i suoi riferimenti mitologici, ma lodando gli Amori di Ludovico Savioli (del quale invece giustificava l’asservimento della mitologia al soggetto amoroso), e chiudendo con alcuni sonettisti e Onofrio Minzoni (il cui Dove sono gli Scipj fulminanti racchiudeva, a sua detta, più poesia dei Trionfi di Petrarca).
Accusato di neologismi e arditezze linguistiche dai difensori del purismo, scrisse una lunga risposta in cui ritrovava l’origine del male purista nell’accanimento della Crusca sulla lingua di Tasso, e giudicava priva di naturalezza e armonia la prosa di coloro che cercavano di riattualizzare la lingua di Giovanni Boccaccio e del Galateo dellacasiano. Ne nacque Il purismo nemico del gusto, per i tipi della Tipografia Baduel (Perugia 1818), in cui si mostrava favorevole all’ingresso delle «voci d’uso» (accortamente trascelte) nella lingua scritta. A Domenico De Crollis, che sul Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti, t. II (aprile-maggio-giugno del 1819), sosteneva che non era lecito anteporre i forestierismi alla ricchezza della nostra lingua e alle regole degli antichi, replicò ancora con una Risposta ai puristi, stampata presso Piatti (Firenze 1819) grazie all’interessamento di Giovan Battista Niccolini, conosciuto a Firenze nel 1813.
In questo ulteriore pamphlet Torti si accostava alle posizioni di Melchiorre Cesarotti, ritenendo il cambiamento di una lingua un segno del progresso dei costumi e una forma di arricchimento. Identificava inoltre la prosa moderna nello ‘stile filosofico’ dei contemporanei Pietro Verri, Gaetano Filangieri e Cesare Beccaria.
Scrisse l’epigramma Scherzo sulla tomba di Perticari: inviato in forma privata all’amico Carlo Mancini, fu malaccortamente fatto circolare finché non giunse a Salvatore Betti, il quale lo fece conoscere a Monti. Quest’ultimo vergò allora una lettera il 5 maggio 1824, in cui, rinnegando i toni amichevoli del periodo romano, definiva Torti un tristo, rammaricandosi di aver già impresso l’ultimo volume della Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca, ove altrimenti gli avrebbe risposto a tono.
Ormai in guerra aperta, Torti indirizzò una lunga lettera a Monti, che intitolò Dante rivendicato e pubblicò presso i tipi Tomassini di Foligno nel 1825.
Rispondendo all’opinione montiana sulla Commedia come poema didascalico, il bevanate affermava che quello di Dante era un poema epico, trovando ancora modo di difendere la buona prosa italiana contro il purismo dello stesso Monti e di Giulio Perticari. Il libro riproduceva in appendice Le bellezze poetiche d’Ossian imitate dal cav. Monti, sotto forma di lettera al marchese Scipione Colelli, il quale nella Lettera filologica a Luigi Muzzi (1824) aveva mostrato di non condividere l’accostamento tortiano fra i Salmi e le poesie di Ossian nella seconda parte del Prospetto. Nel suo scritto Torti, che non aveva mai nascosto la propria ammirazione per le novità preromantiche, constatava come anche nelle opere di Monti si ravvisassero echi ossianeschi. L’ingerenza di dissapori personali nel soggetto del Dante rivendicato non sfuggì però ai lettori, fra cui quello che firmandosi S. C. segnalò il volume sull’Antologia di Vieusseux (dicembre 1825, n. 60).
Dopo aver raccolto gli scritti già editi in Antipurismo, per i tipi Tomassini (Foligno 1829), fu la volta della Corrispondenza di Monteverde, in due tomi.
Sotto forma di romanzo epistolare, l’opera notava come le cattive istituzioni sociali potessero rappresentare un ostacolo al raggiungimento della felicità, individuata negli affetti più schietti e naturali (quelli della famiglia, della patria, del lavoro), temprati alla luce della religione. Apparsa priva di indicazioni tipografiche nel 1832, la Corrispondenza, che intendeva scoprire le fallacie del governo teocratico, fu ristampata a insaputa dell’autore pochi mesi dopo e messa all’Indice malgrado gli sforzi di Torti di perorare le idee ivi espresse presso le autorità ecclesiastiche (finanche presso papa Gregorio XVI).
Scrisse poi l’Aneddoto letterario di un epigramma per la morte di Giulio Perticari, sotto forma di lettera a Clementina Mongardi il 5 novembre 1834, in cui veniva rievocata la vicenda dello Scherzo di una decina di anni prima. Pochi giorni dopo Monaldo Leopardi attaccò la Corrispondenza in alcuni articoli su La voce della Ragione fra il 15 novembre 1834 e il 15 febbraio 1835, cui Torti replicò con l’Apologia della Corrispondenza di Monteverde, apparsa sempre nel 1835 priva di indicazioni editoriali.
Raccolse dei ritratti di personaggi illustri in Filosofia delle medaglie de’ grandi uomini d’ogni secolo che più interessano la storia, la letteratura, e la filosofia, presso i tipi di Rossetti (Parma 1838), e pubblicò La patria di S.A. Properzio nell’antica Mevania, presso Rossi (Loreto 1839), in cui attribuiva a Bevagna il merito di aver dato i natali al poeta latino. Fra le ultime sue opere è Le Sibille o Storia romantica dell’Universo composta fra il 1840 e il 1842, che rimase inedita.
Morì a Bevagna il 2 febbraio 1842. Nel testamento (22 settembre 1841) destinò i propri beni alla città natale per l’istituzione di un orfanotrofio maschile. Pochi giorni prima di morire aveva firmato una ritrattazione di quanto espresso nella Corrispondenza di Monteverde.
Fonti e Bibl.: Bevagna, Biblioteca comunale, Archivio Tortiano: raccoglie i volumi e i manoscritti di proprietà dell’autore, nonché il patrimonio librario proveniente dall’orfanotrofio istituito all’indomani della sua morte.
C. Clavari, Per la morte di F. T., Todi 1842; V. Monti, Opere, VI, Epistolario, Milano 1842, pp. 67-86; A. Rossi, Notizie delle opere di F. T., Perugia 1870; C. Trabalza, Della vita e delle opere di F. T., Bevagna 1896; E. Bigi, T. critico preromantico, in La Rassegna della letteratura italiana, LXIII (1951), pp. 177-183; G. Rati, F. T. antipurista e «novatore», Bergamo 1978.