TRAINI, Francesco
(Francesco di Traino). – Si ignora l’esatta data di nascita di Francesco di Traino (ormai chiamato comunemente Traini dalla storiografia), da porsi, verosimilmente a Pisa, intorno al 1290/1295.
Citato elogiativamente già da Giorgio Vasari (ma con molte inesattezze) e oggi considerato il maggiore tra i pittori della sua città e tra i più importanti nel panorama italiano dell’epoca, la sua personalità si ricostruisce a partire da pochi documenti d’archivio (non tutti sicuramente riferibili a lui; un elenco in Caleca, 1996, p. 43 nota 78) e da una sola opera certa, il polittico di s. Domenico. Quest’ultimo appartiene agli ultimi anni di vita del pittore, e solo parzialmente può aiutare a ricostruire criticamente un’attività che si ritiene iniziata più di vent’anni prima. La prima notizia che gli viene associata è quella, del 1315, della pittura di due aste per appendere candele nel duomo di Pisa, eseguita da un «Franciscus pictor de cappella S. Nicolai» (ibid., p. 43, che lo identifica con Traini). Il riferimento troverebbe conferma in un documento del 30 agosto 1321 (pubblicato in Crowe - Cavalcaselle, 1883, p. 168 nota 3), nel quale Traini sembra citato come residente in quella cappella (del documento è stata però messa in dubbio l’autenticità: Caleca, 1996, p. 43). Nel luglio del 1322 un pittore di nome Francesco venne pagato per aver dipinto la sala del palazzo degli Anziani di Pisa e per altre cose in servizio del Comune pisano; nell’agosto dello stesso anno egli ricevette pagamenti da parte del Comune per aver dipinto una Madonna nella sala degli Anziani e per aver dipinto la sala del notaio degli Anziani (Simoneschi, 1895, p. 75). Se il pittore citato in questi atti del 1322 è effettivamente Traini, considerata l’importanza del luogo e degli incarichi affidatigli, si deve pensare a un maestro già affermato, la cui formazione dovrebbe collocarsi almeno nel secondo decennio del Trecento, quando a Pisa dominava il campo pittorico il cosiddetto Maestro di San Torpè, forse di origine senese, nel cui ambito si è ipotizzato il suo inizio (Caleca, 1986, p. 248; cfr. anche De Marchi, 1998, p. 23, e 2004, p. 22 nota 27).
La storiografia è comunque concorde nel ritenere che Traini si sia educato soprattutto su esempi senesi, con un occhio di riguardo alla raffinatezza gotica di Simone Martini e di suo cognato Lippo Memmi, entrambi esecutori di opere per chiese pisane tra il secondo e il terzo decennio del Trecento. All’interno di questo contesto, a Traini è stato lungamente riferito il grande dipinto rappresentante il Trionfo di s. Tommaso, conservato nella chiesa domenicana di S. Caterina a Pisa, solitamente ritenuto eseguito in data non lontana dalla canonizzazione del santo (1323); già ricordata da Vasari (1568, 1878, pp. 612 s.), l’opera è stata al centro di un lungo dibattito attributivo che ha coinvolto, oltre a Traini, Memmi e la sua bottega, il cosiddetto Barna, un ipotetico Maestro del Trionfo di s. Tommaso. La storiografia più recente è orientata a considerarla un prodotto della «bottega Memmi» (cfr. le considerazioni di Pisani, 2007, p. 7; per una decisa attribuzione a Traini, Volpe, 1983, pp. 285 s.), non escludendo, in qualche caso, un possibile intervento collaborativo di Traini (colto da Caleca, 1986, p. 248, nel gruppo degli scrittori che fanno corona al santo; cfr. anche le osservazioni di Chelazzi Dini, 1988).
A questo primo periodo ricostruito di attività dell’artista, caratterizzato da convinti modi seneseggianti, ma già con qualche anticipo di quella maniera più ampia e ricca di particolari realistici, a volte anche grotteschi, che è tipica del pittore, si possono riferire una raffinatissima S. Caterina a figura intera, apparsa in anni recenti sul mercato antiquario (attribuita da Bellosi, 1991), la Madonna col Bambino già Schiff-Giorgini (Longhi, 1962; Bellosi, 2008), oggi al Louvre di Abu Dhabi, e forse centro di un polittico al quale si può riferire una cuspide con Cristo benedicente dell’Ackland art museum di Chapel Hill (North Carolina). Vicina a queste opere, ma risolta con forme più plastiche, appare la Madonna col Bambino del Museo del Prado a Madrid (Laclotte, 1964). Particolarmente rappresentativo dello stile di Traini in questo momento può essere considerato il pentittico ricomposto nel Museo pisano di S. Matteo con quattro laterali con santi (Paolo, Giovanni Battista, Dorotea, Pietro) provenienti dalla collezione Zucchetti e una Madonna col Bambino proveniente dall’Opera del duomo (Carli, 1974, pp. 71 s.; cfr. Bay, 2017); la pertinenza fra loro di questi pezzi (indicata da Marangoni, 1931) non è da tutti accolta; da qualche critico l’opera è ritenuta di anni posteriori, o è distinta totalmente o parzialmente dal corpus di Traini.
Al pittore sono stati per lungo tempo attribuiti gli affreschi del Trionfo della Morte, del Giudizio Universale, della Tebaide, collocati nell’angolo est del corridoio sud del Camposanto di Pisa. Tale attribuzione, ancora molto seguita a livello popolare e divulgativo, è da ritenersi oggi definitivamente superata nella considerazione critica, che riferisce il ciclo al pittore fiorentino Buonamico Buffalmacco (Bellosi, 1974). A Traini viene invece assegnato (a volte con l’intervento di aiuti) l’affresco con la Crocifissione collocato sulla parete est del Camposanto stesso, in origine fondale dell’altare di Ognissanti e probabilmente realizzato prima del ciclo di Buffalmacco. Gravemente danneggiata prima dall’inserimento di un monumento cinquecentesco nel muro e, successivamente, dalle condizioni climatiche e dagli eventi bellici della seconda guerra mondiale, la Crocifissione, assieme alla sua sinopia recuperata, costituisce l’unico esempio rimasto dei modi di Traini nell’affresco, tecnica da lui sicuramente praticata.
La datazione può essere posta nel periodo 1330-35, e l’esecuzione collegata alla committenza dell’operaio Giovanni Rossi (Caleca, 1979, pp. 48-53). La Crocifissione mostra chiaramente l’evolversi di Traini verso sigle stilistiche più personali, con una maggiore attenzione agli esempi senesi dei fratelli Lorenzetti, e anche una particolare sensibilità nei confronti della scultura contemporanea.
Si può ritenere che risalga a questo momento di passaggio ed evoluzione, e non a un momento giovanile, come spesso ipotizzato, il polittico solo parzialmente conservato (ricomposto inizialmente da Polzer, 1971), del quale è stata recentemente scoperta la provenienza dalla chiesa di S. Paolo a Pugnano, nei pressi di Pisa (Pisani, 2007). Ne facevano parte la S. Anna Metterza dello University art Museum di Princeton (attribuita da Meiss, 1933), un S. Gregorio di ignota ubicazione (già Wildenstein), un S. Paolo del Museo di belle arti di Nancy e due cuspidi con S. Michele e S. Benedetto del Museo nazionale di Stoccolma (queste ultime rese note da Pisani, 2007, p. 11; la studiosa considera l’opera cronologicamente vicina al polittico di s. Domenico).
Nel dicembre del 1337 il pittore Cristofano di Bondio da Pietrasanta metteva il fratello uterino Giovanni di Masseo da Firenze a bottega presso Traini, per il tempo di tre anni, affinché gli insegnasse l’arte, secondo clausole molto dettagliate, rispondenti a procedure abbastanza comuni (Simoneschi, 1898). Nell’atto Traini è detto risiedere a Pisa nella cappella di S. Paolo all’Orto. S’ignorano i successivi sviluppi della collaborazione, e tuttavia è stata effettivamente notata la presenza di motivi derivati da Traini in opere conservate a Pietrasanta o pertinenti alla zona (Bernieri, 2010). Il 9 dicembre 1339 Traini riceveva da Matteo da Caprona pagamenti per pitture murali eseguite nel chiostro del convento pisano di S. Francesco, sopra la sepoltura del di lui fratello Bacciameo da Caprona, per volontà testamentaria di questi (Fanucci Lovitch, 1991, p. 120; come già Caleca, 1996, correggiamo il 1340 riportato dalla studiosa, mantenuto invece invariato in altri testi, perché la data è da intendersi in stile cronologico pisano; cfr. Fanucci Lovitch, 1991, p. 3); le pitture sono perdute. Anche in quest’atto risulta la residenza di Francesco presso S. Paolo all’Orto. Nel febbraio del 1340 Traini prestava fideiussione per Accetta del fu Alberto della cappella di S. Viviana, personaggio in rapporto con Bonifacio Novello della Gherardesca, conte di Donoratico (Fanucci Lovitch, 1991, p. 120). Nel dicembre del 1340, ancora detto residente nella cappella di S. Paolo all’Orto, si accordava con il priore della fraternita dei laudesi della cattedrale pisana per nominare degli arbitri che giudicassero il valore del gonfalone della fraternita, da lui già eseguito; il giudizio fu dato nel febbraio del 1341 (Bacci, 1930, p. 164). Questo gonfalone è stato identificato (Caleca, 1986, p. 248), ma senza prove decisive, con la bandinella raffigurante la Flagellazione, conservata nella Pinacoteca Vaticana (Rossi, 1994), opera dal carattere trainesco e con molti punti di contatto con la Crocifissione di Camposanto, ma forse eseguita dalla bottega.
L’opera principale e più certa di Traini è il polittico di s. Domenico, già nella chiesa pisana di S. Caterina, e oggi conservato nel Museo nazionale di S. Matteo. Come chiarito dalla documentazione (pubblicata già da Bonaini, 1846, pp. 109-125), l’opera nacque dalla volontà testamentaria di Albizzo delle Statere (morto nel gennaio del 1336), che aveva stabilito la creazione di un altare in S. Caterina, cui diede esecuzione Giovanni Coco, operaio del duomo. Costui pagava a Traini 18 lire e 12 soldi il 24 aprile del 1344, e la più cospicua cifra di 67 lire e 8 soldi il 15 gennaio 1345, a fronte di un compenso complessivo previsto di 110 lire (mancherebbe, quindi, l’attestazione di un ulteriore pagamento), per l’esecuzione della «taula che d’è in sue l’autare di messer Albiso delle Statee in S. Chatalina» (p. 125). L’opera aveva già trovato collocazione nel luglio del 1345, quando il domenicano frate Stefano veniva pagato per un palio di seta posto sull’altare, davanti alla tavola. In questa sede l’opera fu vista e citata da Vasari (1568, 1878, pp. 611 s.); in seguito il polittico fu scomposto e diviso fra la collezione Zucchetti (poi confluita, tramite l’Opera del duomo, nel Museo civico) e il seminario di S. Caterina; gli elementi che lo componevano erano comunque già stati riconosciuti da Francesco Bonaini (1846); nell’ultimo dopoguerra il polittico è stato ricomposto nel nuovo Museo nazionale di S. Matteo (Carli, 1974, pp. 72-74).
Il dipinto si compone di un elemento centrale rappresentante S. Domenico stante, con gli attributi del libro e del giglio, sormontato da una cuspide con il Redentore benedicente. Gli elementi laterali ospitano, in formelle mistilinee quadrilobate, otto storie del santo (e non sei come detto da Vasari, 1568, 1878, p. 612), disposte a coppie in quattro elementi verticali, componendo uno dei cicli più ampi e innovativi a lui dedicati nel corso del secolo (la descrizione degli episodi è in Carli, 1974, p. 72). Gli elementi laterali sono sormontati da cuspidi con i profeti Daniele, Isaia, Geremia, Ezechiele; la cornice inferiore ospita un’iscrizione che ricorda la committenza e termina con la firma del pittore, «Franciscus Traini pin[xit]». L’opera mostra l’evoluzione di Traini verso modi di forte saldezza plastica (la figura di s. Domenico) accompagnati, nelle storie del santo, da una vena narrativa realistica e a tratti popolaresca. Si avvertono nel dipinto sia la conoscenza dei modi di Ambrogio Lorenzetti sia l’attenzione verso le novità di realismo gotico portate a Pisa da Buffalmacco. Si è anche notata una convergenza con quanto si realizzava in quegli anni presso la corte papale di Avignone, supponendo persino un viaggio di aggiornamento di Traini in quel luogo (Castelnuovo, 1962).
Traini era ancora in vita il 3 marzo 1348, quando ricevette una cessione di credito a seguito di un mutuo da lui stesso contratto, assieme ad altra persona, nel 1343 (Fanucci Lovitch, 1995, p. 175); a questa data risultava abitare a Pisa nella cappella di S. Cristoforo in Ponte. Traini potrebbe essere deceduto prima del 16 luglio dello stesso anno; in quella data, Bartola, vedova di «Franceschino» pittore e residente nella citata cappella di S. Cristoforo in Ponte, metteva il proprio nipote Martino ad apprendere il mestiere presso un barbiere (Fanucci Lovitch, 1991, p. 110; l’identificazione di questo «Franceschino» con Traini è in Caleca, 1996, p. 43). Traini fu forse una vittima della ‘peste nera’ che iniziò a colpire la città pisana proprio in quel periodo.
Del corpus ricostruibile di Traini, non vastissimo, fanno parte altre opere, abbastanza sicure per attribuzione stilistica, ma di incerta datazione. A Traini sono tradizionalmente attribuiti i mosaici dei catini absidali dei transetti del duomo di Pisa, raffiguranti l’Annunciazione (transetto nord) e l’Assunzione (transetto sud; cfr. Caleca, 1986, p. 248; Novello, 1995). Le due opere, più volte restaurate, ma ancora leggibili nei loro valori stilistici, sono da riferire a due momenti diversi dell’attività di Traini, con l’Assunzione ancora vicina ai modi di Martini (tanto da portare Bellosi, 1992, a un’attribuzione diretta a quel maestro) e databile agli anni Trenta, mentre l’Annunciazione, dai toni lorenzettiani, è indubbiamente più vicina al polittico di s. Domenico.
Di particolare importanza qualitativa è un piccolo trittico a sportelli con la Crocifissione e altre figurazioni, attribuito da Millard Meiss (1971), già dell’antiquario De Carlo a Firenze, forse opera dell’ultimo periodo. A Traini è sicuramente riferibile una tavola, in cattivo stato conservativo, con S. Michele Arcangelo, del Museo di Villa Guinigi a Lucca (Bucci, 1962), proveniente dal convento dell’Angelo a Tramonte di Brancoli (Bertolini Campetti, 1968), così come una Crocifissione, già in collezione Sterbini a Roma (Longhi, 1962; cfr. anche Rossi, 1994, per un possibile collegamento con la Flagellazione e con il gonfalone dei laudesi). Un’altra Crocifissione, o meglio un’Allegoria della Crocifissione, di singolare iconografia, si trova nel Carnegie Museum of art di Pittsburgh (inv. 74.37; Wilkins, 1978; Pisani, 2007, pp. 9, 14). Riferibile a Traini, e forse giovanile, è un polittico disperso, ricostruibile (Polzer, 1971, p. 387 nota 11) mettendo insieme una S. Caterina del museo pisano di S. Matteo (Carli, 1974, pp. 74 s.), un S. Paolo della senese collezione Chigi-Saracini (Bellosi, 1986), una S. Barbara già sul mercato antiquario (Asta Christie’s, Londra, 21 aprile 1967, n. 41, come Turino Vanni), e una S. Agnese di ubicazione ignota (Meiss, 1971). Di più incerta attribuzione, ma quantomeno di ambito trainesco, una Madonna col Bambino della chiesa pisana di S. Nicola (attribuito da Carli, 1971), un’altra Madonna col Bambino della chiesa suburbana di S. Giusto in Cannicci (attribuito da Meiss, 1960, forse di bottega), e la molto consunta tavola cuspidata con la Madonna col Bambino, santi e storie sacre, già Linsky, oggi al Metropolitan Museum of art di New York (1982.60.2; Testi Cristiani, 2001).
Un discorso a parte merita l’attività di miniatore di Traini, non documentata, ma che si suppone da lui esercitata; la sua ricostruzione è frutto soprattutto di analisi moderne, ed è in questo campo che si registrano molti interventi negli anni più vicini (Balbarini, 2003, e 2005; Pasut, 2010). La critica è concorde (a partire da Meiss, 1956) nel riferirgli le miniature che ornano un codice (Chantilly, Musée Condé, ms. 597) contenente il commento di Guido da Pisa all’Inferno dantesco, dedicato al genovese Lucano Spinola, che fu consul Pisanorum a Genova; la sua datazione è stata variamente posta, ma dovrebbe collocarsi nella seconda metà del quarto decennio (Balbarini, 2003, p. 32). Presentano caratteri fortemente traineschi anche le miniature del Breviario di Eufrasia dei Lanfranchi (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Strozzi 11) e degli Antifonari A, B, D, E, F, L del Museo di S. Matteo, provenienti da S. Francesco (un tempo ritenuti erroneamente pertinenti al convento di S. Nicola). Nel primo caso si pensa all’opera di un artista (Maestro di Eufrasia dei Lanfranchi, Caleca, 1986, p. 249) già fortemente influenzato da Traini a date precoci; nel secondo si è ravvisato anche un possibile intervento diretto di Traini come coordinatore del vasto lavoro. A queste opere sono collegabili altri codici o frammenti di essi (Caleca, 1986, p. 249; Balbarini, 2003, pp. 115 ss.) che dimostrano la grande vitalità della produzione miniatoria pisana della prima metà del Trecento, tutta legata ai modi di Traini.
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