TRANCHEDINI, Francesco
– Nacque attorno al 1439, figlio primogenito di Nicodemo (v. la voce in questo Dizionario) e di Allegrezza Monaldi.
Visse con la madre e i numerosi fratelli in diverse città, e in particolare a Firenze e a Todi, mentre il padre si spostava frequentemente per le sue occupazioni di agente diplomatico e oratore di Francesco Sforza.
Il padre Nicodemo volle per lui un’educazione distinta e scelse i migliori maestri: Tranchedini studiò a Firenze con Andrea da Calabria, poi con Onofrio Macari a Roma, a Todi e a Firenze dal 1452 al 1456. Dopo Macari, precettore con il quale ebbe un rapporto stretto e duraturo, fu affidato a Francesco Patrizi, futuro vescovo di Gaeta, esule da Siena dopo una congiura. Con Patrizi visse a Pistoia nei primi mesi del 1457, e poi si trasferì a Verona. Anche di questo maestro si conservano le lettere che riferiscono a Nicodemo le letture e i progressi educativi del promettente allievo.
Nel 1459 fu spinto dal padre a intraprendere gli studi legali, in vista di una remunerativa carriera. Pur poco entusiasta, il giovane Tranchedini si dispose a obbedire, ma l’intervento dei maestri convinse il padre ad assecondare la sua spiccata vocazione allo studio delle lettere. Nel novembre del 1461 seguì pertanto le lezioni di vari umanisti presso lo Studio fiorentino, dedicandosi agli studi prediletti.
Alcuni suoi componimenti, sollecitati dalla lettura dei poeti della classicità greca e romana, sono reperibili in vari codici umanistici (sono indicizzati da Kristeller, 1977-1992, ad ind.). In un codice della Riccardiana di Firenze si trovano, autografi, degli epigrammi dedicati a personaggi della corte sforzesca (Sverzellati, 1998, p. 505). Molte sue lettere al padre e ad altri sono negli epistolari formati da Nicodemo (Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. 834, elenco in Sverzellati, 1997, pp. 502-509).
Per favorire la permanenza del figlio a Firenze, nel 1462 Nicodemo Tranchedini acquistò due case in città e inoltre, desideroso di procurargli una degna e utile carriera, fece in modo di presentarlo ai suoi amici della cancelleria sforzesca. Nel corso di un breve soggiorno milanese, Tranchedini fece molti incontri significativi: ebbe colloqui con il duca Francesco Sforza e con Cicco Simonetta, conobbe intellettuali, segretari e letterati che frequentavano la corte, e vi trovò un ambiente vivace e stimolante. Così, grazie ai contatti stabiliti e all’influenza paterna, dopo un ulteriore periodo di studio a Firenze fu ufficialmente ammesso nella cancelleria ducale e all’inizio del 1464 si trasferì a Milano, con un salario di 9 fiorini e un incarico speciale, scriba personale del primo segretario Cicco Simonetta. Si dedicò per molti anni all’attività cancelleresca, intervallata da letture, componimenti e studi letterari e filologici.
Tra i registri sforzeschi restano atti e testi a cui mise mano, compreso un codice di cifrari segreti oggi conservato a Vienna (Österreichische Nationalbibliothek, ms. 2398).
Finché visse il padre, corrispose con lui assiduamente, trattando non solo di cose domestiche. Chiedeva al genitore di procurargli testi che gli servivano per i propri studi o per gli amici, scambiava notizie su novità librarie, sulle comuni amicizie nelle cerchie umanistiche, su trascrizioni di epistole e di sermoni, su codici ben emendati che gli consentivano di migliorare le edizioni di testi noti, classici e moderni. La corrispondenza tra padre e figlio è in gran parte radunata nell’epistolario che Nicodemo volle trasmettere ai posteri, e nel quale sono nominati vari dotti e nobili milanesi, come i Borromeo, i Cotta, i Toscani, i Guidoboni, il poeta Antonio da Cornazzano; umanisti come Giorgio Valla, Gabriele Paveri Fontana e naturalmente Francesco Filelfo, sempre bisognoso dell’aiuto degli amici annidati nella cancelleria sforzesca.
Nel 1471 Tranchedini senior volle procurare al figlio un buon matrimonio («una bona et richa mogliera»: Sverzellati, 1998, p. 510) e grazie all’intercessione di Cicco Simonetta fu prescelta Caterina di Francesco Salvatico, proprietario di un bel palazzo in parrocchia di S. Maurilio in porta Ticinese. A partire dal 1475 la carriera di Tranchedini fece un salto di qualità. Il duca lo incaricò di missioni diplomatiche in varie città italiane e anche all’estero, presso la corte dei Savoia e in Austria. Dal 1490 circa fu stabilmente insediato a Bologna, come oratore e tramite tra il duca di Milano e i Bentivoglio.
La corrispondenza con la cancelleria e la corte di Milano è costituita da varie centinaia di missive che coprono, in modo pressoché continuo, circa dieci anni. Il notevolissimo carteggio è inedito, con l’eccezione delle poche lettere trascritte da Pier Desiderio Pasolini, biografo della signora di Forlì Caterina Sforza e di quelle incluse nella monografia di Cecilia M. Ady sui Bentivoglio. I suoi interlocutori erano Giovanni Bentivoglio e Ginevra Sforza, ma, oltre alle vicende politiche bolognesi, Tranchedini commentava i fatti politici di tutta Europa, dato che la città bentivolesca era luogo di passaggio e di soggiorno di principi, ambasciatori, uomini di stato, messaggeri, in transito da e per Firenze, Roma e Napoli. Vi si trovano informazioni e analisi della vita politica di Firenze tra la morte di Lorenzo de’ Medici, l’arrivo di Carlo VIII, l’ascesa e la rovina di Girolamo Savonarola, verso il quale Tranchedini non nasconde una profonda ostilità; non meno interessanti sono i rapporti sugli endemici sommovimenti delle città e signorie di Romagna, tra Caterina Sforza, i Malatesta, i Manfredi, gli Estensi e l’enclave sforzesca di Cotignola; vi si trovano anche riferimenti alle novità di Ungheria e Polonia, alle mosse del Turco, agli eventi salienti dei regni di Inghilterra, Francia e Spagna e della corte di Roma. Nel giugno del 1493 Tranchedini scrisse a Ludovico il Moro per commentare una grande novità, la scoperta del Nuovo Mondo.
Dai carteggi bolognesi si traggono anche frequenti notizie sulla vita privata di Tranchedini. Sovente egli ricordava l’opera di ambasciatore e politico del padre Nicodemo, a cui doveva l’educazione ricevuta e la spinta data alla sua carriera sforzesca. La moglie e i dieci figli vivevano a Pontremoli, eccetto alcuni dei maschi che erano con lui a Bologna per attendere agli studi universitari. Provvedere alla numerosa figliolanza non fu mai facile per Tranchedini, dati gli stipendi irregolari e discontinui: in molte e accorate lettere egli descrisse la penuria di mezzi indispensabili per svolgere la propria funzione e la necessità ricorrente di dare in pegno abiti e gioielli. Talvolta, sconfortato dalle avversità, minacciava di «redurme in quelle montagne de Pontremulo ad stare contento dela castagna et ghiande» (Archivio di Stato di Milano, Sforzesco, Potenze estere 1042, 31 dicembre 1492), ma il suo più vivo desiderio era di sistemare i figli (uno dei quali, Ludovico, fu accolto alla corte di Milano) e di accasare le figlie, possibilmente presso qualche marchesotto di Lunigiana (ibid., lettera a Bartolomeo Calco, 30 ottobre 1492).
La sua permanenza a Bologna, con qualche temporanea interruzione, continuava ancora nella tragica estate del 1499, quando le milizie francesi attaccarono Milano e Ludovico il Moro dovette fuggire dal ducato. Si concluse così la lunga legazione bolognese di Tranchedini: probabilmente era troppo compromesso con gli Sforza per trovare spazio nel nuovo governo francese. Era sicuramente defunto nel 1504, quando i figli stipularono atti di successione.
Fonti e Bibl.: Il carteggio da Bologna, inedito, è in Archivio di Stato Milano, Sforzesco, Potenze estere, 1041-1050.
P.D. Pasolini, Caterina Sforza, Roma 1893, III, passim; C.M. Ady, I Bentivoglio, Milano 1967, pp. 145, 150 s., 162 s. e passim; L. Cerioni, La diplomazia sforzesca e i suoi cifrari segreti, Roma 1970 (ed. del cifrario); P. Kristeller, Iter italicum, I-VI, London-Leiden 1977-1992, ad ind.; P. Sverzellati, Il libro-archivio di Nicodemo Tranchedini da Pontremoli, in Aevum, LXX (1996), pp. 371-391; Ead., Il carteggio di Nicodemo Tranchedini e le lettere di Francesco Filelfo, ibid., LXXI (1997), pp. 441-529 (in partic. pp. 502-509); Ead., Per la biografia di Nicodemo Tranchedini, ibid., LXXII (1998), pp. 485-557 (in partic. pp. 500-512).