FRANCESCO V d'Austria-Este, duca di Modena, Reggio e Guastalla
Battezzato come Francesco Geminiano, nacque a Modena il 1° luglio 1819, secondogenito e primo maschio dei quattro figli di Francesco IV d'Austria-Este e Maria Beatrice di Savoia.
Il padre volle che F. fosse educato nella sicura fede religiosa tipica della Restaurazione. Un curriculum educativo, dunque, preordinato in tutto dal padre di cui tuttavia F. non possedeva né l'intelligenza, né l'attiva ambizione. Fisicamente gradevole in modo insolito, molto adatto alla precisione sobria e senza slanci della vita militare, il padre lo aveva nominato nel 1842 comandante generale delle truppe estensi, preferendo tenerlo lontano dalla vera e propria vita politica del Ducato di Modena. Lo stesso anno, il 30 marzo, F. sposava Adelgonda, figlia del re Luigi I di Baviera: dal loro matrimonio solo il 19 ott. 1848 sarebbe nata l'unica figlia, Anna Beatrice Teresa, morta il 9 luglio 1849.
F. salì al trono alla morte del padre, avvenuta il 21 genn. 1846, in un anno foriero di grosse novità nella penisola: il 16 giugno, infatti, fu eletto pontefice Pio IX e già i suoi primi atti andavano a incrementare il mito del "papa liberale". E non è privo di valenze - almeno simboliche - sottolineare che negli stessi mesi, senza attendere la scadenza del lutto ufficiale per Francesco IV, si celebrassero le nozze di Maria Teresa di Modena, sorella maggiore di F., con Enrico di Borbone, duca di Bordeaux e conte di Chambord, capo dei legittimisti di tutta Europa, re di Francia in pectore col nome di Enrico V; e quelle, di poco successive, dell'altra sorella Maria Beatrice con don Juan di Borbone, figlio del pretendente carlista al trono di Spagna.
La casa di Modena ribadiva, così, pubblicamente la volontà di schierarsi con il legittimismo più esasperato. Risalgono agli ultimi mesi del 1847 i fatti che tolsero dall'ombra la figura di Francesco V. Il 5 ottobre Carlo Lodovico di Borbone, duca di Lucca, preparandosi alla successione di Parma, abdicava in favore della Toscana in seguito ai disordini provocati da elementi liberali. F. invocava l'immediata applicazione del trattato a suo tempo negoziato dal padre nel 1844 e i relativi, previsti, scambi di territori tra Toscana e Modena. A nulla valsero le proteste delle popolazioni interessate che, ovviamente, avrebbero preferito dipendere dal granduca Leopoldo: Modena ebbe partita vinta.
Più significativo ancora fu il rifiuto opposto all'invito avanzatogli nel novembre di quell'anno dagli inviati dello Stato pontificio, del Granducato di Toscana e del Regno di Sardegna, ad aderire al progetto di unione doganale fra gli Stati italiani. Indubbiamente l'esclusione del Ducato di Parma e del Regno Lombardo-Veneto conferiva all'iniziativa un carattere politico di chiara marca antiaustriaca, ma la drastica risposta di F., date le circostanze politiche, fu doppiamente inopportuna perché lo lasciava del tutto in balia dell'Austria, cui aveva, a sua volta, proposto una convenzione commerciale per la quale attendeva ancora una risposta. Del resto il rapporto tra il piccolo Ducato padano e la potenza asburgica inevitabilmente non si svolgeva sull'onda della limpidezza o dell'acquiescenza tout-court. Ce ne sarebbe stata la riprova nel 1850, quando l'Austria, isolando e tenendo all'oscuro il governo di Modena, concesse alla vicina Parma particolari vantaggi.
Le trattative tra F. e l'Austria furono lunghe, non prive di qualche asperità anche se avviate a un cedimento motivato - da parte del duca di Modena - più da un personale orientamento ideologico che da veri e propri interessi economici; da questa vicenda emerge il ritratto di un principe dignitoso, geloso della propria sovranità ancorché conscio "che siamo piccoli e che si tratta con un grosso" (lettera al Forni del 3 ag. 1852, cit. in Amorth, p. 375). Del resto, entro l'ambito della concezione politica del duca, era giocoforza, in mancanza di alternative, appoggiarsi all'Austria in odio a idee liberali di qualunque provenienza e intensità fossero. Alla stessa ottica intendeva rispondere la convenzione militare stipulata, sempre con l'Austria, alla fine del 1847, in cui si prevedeva il soggiorno e il mantenimento delle truppe imperiali nei Ducati di Parma e di Modena, onere gravoso al punto da suggerire più oltre una ricontrattazione, condotta a termine solo nel 1855.
Negli stessi anni, tra il 1846 e il 1852, si collocano pure le iniziative migliori prese dal duca di Modena sul piano economico accentuando i lati moderni ancorché paternalistici che già erano stati di suo padre: un regolamento generale per la tutela e l'incremento del patrimonio boschivo, leggi che prevedevano l'esproprio motivato da pubblica utilità, il collegamento telegrafico del Ducato di Modena con il resto d'Europa, l'istituzione di un servizio postale e l'inizio dei lavori per la costruzione della ferrovia che avrebbe dovuto collegare Piacenza con Bologna e Pistoia.
In sostanza, però, nonostante queste iniziative di innovazione, la non equivoca collocazione internazionale e l'orientamento interno - già fatto proprio da Francesco IV - di appoggio incondizionato al ceto dei possidenti irrigiditi in formule produttive e contrattuali vecchie, resero inevitabile il disastroso impatto sul Ducato di Modena degli avvenimenti che andavano coinvolgendo, nella primavera del '48, tutta la penisola a partire dal Regno delle Due Sicilie.
Già nel dicembre precedente entrava in Modena un distaccamento di truppe ungheresi in forza del trattato che aveva letteralmente aperto i Ducati di Modena e Parma all'Impero asburgico; il che aveva provocato sgradevole sorpresa nella popolazione e qualche contrasto con le milizie estensi. Di fatto gli innocui tafferugli del marzo ma ancor più le notizie che giungevano da tutta Italia ed Europa sconsigliarono F. dal rimanere a Modena. Istituito un Consiglio di reggenza, egli si diresse verso Mantova e Verona per passare poi con i familiari a Vienna.
Da quel momento anche la residua autonomia rimasta nei confronti delle iniziative politiche e militari austriache venne del tutto meno; a F. non rimase che la possibilità di inoltrare il 20 giugno di quell'anno una protesta formale alle potenze firmatarie del trattato di Vienna contro l'usurpazione operata nei suoi confronti dal Regno di Sardegna e dalla Toscana. Verso Carlo Alberto il risentimento di F. fu particolarmente profondo in forza della consuetudine - almeno epistolare - che aveva legato per anni la dinastia estense ai Savoia e si concretò, fra l'altro, nella restituzione sdegnosa delle onorificenze sabaude a suo tempo ricevute. Ormai la dipendenza dall'Austria si era fatta totale: oltretutto fu proprio alle armi austriache che F. dovette il suo rientro a Modena il 10 ag. 1848, una volta mutate le sorti della guerra. La relativa mitezza mostrata in quell'occasione, e concordata certo con Vienna, è anche da mettersi in relazione alla consapevolezza che le ostilità tra l'Austria e il Regno di Sardegna erano solo sospese e che si prevedeva a breve una ripresa del conflitto, chiuso poi definitivamente con la sconfitta dell'esercito piemontese a Novara.
Il decennio intercorso sino al 1859 e apertosi con la pace di Milano (6 ag. 1849) tra l'Austria e il Regno di Sardegna - alla quale i Ducati padani non furono ufficialmente ammessi - ripropose per Modena la situazione di amicizia-soggezione con l'Austria, che, ancora una volta, già durante le trattative di pace aveva mostrato di non tener conto degli interessi degli alleati minori preoccupandosi soprattutto di ottenere dai Piemontesi cospicui indennizzi per sé.
La linea politica portata avanti da F. in questi anni consistette nel tutelare il proprio onore di sovrano assoluto e, tramite questo, la posizione delle genti che guidava, pur nella consapevolezza dell'evidente sproporzione nei rapporti di forza fra il Ducato di Modena e gli altri Stati. In questo senso era orientato il progetto, accarezzato a lungo dal duca, di una lega tra i sovrani d'Italia in cui l'Austria avrebbe dovuto entrare non più come garante ma come forza paritaria rispetto alle altre; questo progetto costituisce lo sforzo più significativo di questi anni e, al tempo stesso, rappresenta perfettamente il grado di anacronistica ingenuità insita nel conservatorismo di F., che, proprio entro i suoi domini, doveva vedere insorgere la scintilla che avrebbe innescato il precipitare della precaria tregua italiana. Alcuni fatti di sangue accaduti a Massa e Carrara, infatti, offrirono il pretesto perché Torino chiedesse l'intervento francese al proprio fianco.
Tra l'aprile e il giugno 1859 F. si vide crollare attorno l'intero suo mondo: Leopoldo II, Maria Luigia di Parma, Ferdinando II delle Due Sicilie abbandonarono i loro rispettivi Stati e insostenibile si fece la situazione anche a Modena, soprattutto dopo la sconfitta austriaca a Magenta. L'11 giugno 1859 F. abbandonava per la seconda volta la sua città in modo estremamente dignitoso, seguito dalle truppe che gli resteranno accanto sino al 1863, sciolte solo dalla rottura formale da parte austriaca del trattato difensivo del 1847.
Amareggiato dal lungo esilio e dalle defatiganti vertenze legali con il Regno d'Italia per il possesso delle collezioni d'arte estensi (barattate infine con i sequestrati beni allodiali del duca), F. si spense a Vienna solo molti anni dopo, il 20 nov. 1875, nominando suo erede il dodicenne arciduca Francesco Ferdinando d'Austria, figlio di Carlo Lodovico e di Annunziata di Borbone-Sicilia, e lasciando la consorte Adelgonda che l'avrebbe seguito solo nell'ottobre 1914.
Fonti e Bibl.: Documenti riguardanti il governo degli Austro-estensi in Modena dal 1814 al 1859, Modena 1860, ad Ind.; L. Bosellini, Francesco IV e V di Modena, Torino 1861, pp. 107-156; T. Bayard de Volo, Vita di F. V, Modena 1878-85; C. Fano, F. V. Il Risorgimento nel Ducato di Modena e Reggio dal 1846 al 1849, Reggio Emilia 1941; P. Forni, I concordati estensi del 1841 e 1851, in Riv. di st. della Chiesa in Italia, VIII (1954), pp. 356-382; F. Manzotti, Alcuni aspetti della politica economico-sociale di Francesco IV e V d'Este a Reggio, in Rass. storica del Risorgimento, XLIV (1957), pp. 439-444; U. Marcelli, Un progetto di nesso economico italo-austro-germanico perseguito da Vienna fra il 1849 e il 1859, ibid., pp. 445-453; O. Rombaldi, Gli Estensi al governo di Reggio dal 1523 al 1859, Reggio Emilia 1959, pp. 144-152; G. Bertuzzi, Sul pensiero politico di F. V d'Austria d'Este arciduca austriaco e principe italiano, in Atti e mem. della Deput. di storia patria per le antiche prov. modenesi, s. 8, XII (1960), pp. 12-24; U. Marcelli, F. V di Modena, nazionalista e colonialista, in Convivium, XXX (1962), pp. 704-712; T. Ascari, La cultura nel Ducato di Modena tra il '48 e il '60, in Aspetti e problemi del Risorgimento a Modena, Modena 1963, pp. 175-192; O. Rombaldi, La lega austro-estense-parmigiana, Modena 1963, ad Ind.; A. Archi, Gli ultimi Asburgo e gli ultimi Borbone in Italia (1814-1861), Bologna 1965, pp. 87-120; L. Amorth, Modena capitale, Milano 1967, pp. 371-417; G. Bertuzzi, Lettere dall'esilio di F. V ultimo duca di Modena, in Atti e mem. della Deput. di storia patria per le antiche prov. modenesi, s. 10, II (1967), pp. 227-255; L. Chiappini, Gli Estensi, Milano 1967, pp. 493-508; A. Namias, Storia di Modena e dei paesi circostanti dalle origini fino al 1860, Bologna 1969, pp. 772-859; M.L. Trebiliani, I Ducati dell'Italia centrale, in Bibliografia dell'età del Risorgimento in onore di A.M. Ghisalberti, II, Firenze 1972, pp. 98-103; L. Marini, Lo Stato estense, in Storia d'Italia (UTET), XVII, Torino 1979, pp. 189-192.