Valori, Francesco
Nacque nel 1439 da Filippo e Picchina Capponi, in una famiglia di ottimati; sposò Costanza Canigiani. Fu dei priori nel 1471 e nel 1478, capitano di Pistoia nel 1483, gonfaloniere di giustizia nel 1484, 1489 e nel 1493. Collaborò a lungo con i Medici, anche come consigliere di Piero, che accompagnò a Roma nel 1492 per recare le felicitazioni della città al nuovo papa Alessandro VI. Fu incaricato, con Pier Capponi, di trattare con il re di Francia Carlo VIII quando questi, nel suo intervento in Italia, invase il territorio fiorentino. Ma Piero de’ Medici decise precipitosamente di cedere le fortezze al re, provocando la ribellione della città (9 novembre 1494) e la fuga dei Medici (oltre allo stesso Piero, i fratelli Giovanni e Giuliano). V., tornato a Firenze, fu accolto trionfalmente perché ritenuto «uomo netto ed amatore del bene» (F. Guicciardini, Storie fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di A. Montevecchi, 1998, p. 203; giudizio ribadito anche in seguito, p. 246); un altro contemporaneo, Niccolò Cerretani, ne dà il ritratto fisico, dicendolo di «presenza grande, volto lungo e rosso» (G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, 2° vol., 1875, p. 233). Con Pier Capponi e altri fu incaricato di trattare con Carlo VIII per salvaguardare i diritti di Firenze: avvenne allora (novembre 1494) il noto scontro fra il re e Capponi. In seguito, V. fu nominato tra i riformatori del governo, per abolire le principali istituzioni medicee, come gli Otto di pratica e i Settanta. Fu eletto tra i venti accoppiatori, collegio da cui venne invece escluso un popolano coerente come Paolantonio Soderini (F. Guicciardini, Storie fiorentine, cit., p. 215; Weinstein 1970, trad. it. 1976, p. 167). Nonostante fosse considerato da molti come un opportunista, dati i suoi trascorsi filomedicei, e spesso si trovasse in contrasto con altri ottimati, come lo stesso Soderini e Capponi, V. emerse però come il vero capo del movimento savonaroliano, di cui meglio sintetizzò le idee di libertà cittadina: «dominio della legge, libertà di azione per i cittadini fiorentini, autogoverno e nessuna interferenza straniera, neanche da parte della Chiesa» (Weinstein 1970, trad. it. 1976, p. 263). Lo storico Piero Parenti lo definisce un «capo senza coda», mentre fino allora i piagnoni erano «una coda senza capo» (cit. in Weinstein 1970, trad. it. 1976, p. 292). Francesco Guicciardini (Storie fiorentine, cit., pp. 215-16) lo colloca tra quegli «uomini da bene» che si adoperarono per limitare le troppe vendette dei popolani contro il vecchio ceto dirigente mediceo. Nella crisi costituzionale che si concluse con l’istituzione del Consiglio grande, V. apparve come l’uomo di fiducia di Girolamo Savonarola. Nominato commissario a Pisa con Paolantonio Soderini (1495), divenne di nuovo gonfaloniere di giustizia per il bimestre gennaio-febbraio 1497. Gli subentrò nella carica Bernardo Del Nero, ritenuto filomediceo e dotato di «credito grandissimo», così che si accese una forte rivalità fra lui e V. (F. Guicciardini, Storie fiorentine, cit., p. 246). In seguito, V. fu tra i deputati delle opposte parti politiche per pacificare la città, agitata anche da un tentativo compiuto da Piero de’ Medici di riprendere il potere con la sospetta connivenza di alcuni cittadini (F. Guicciardini, Storie fiorentine, cit., pp. 248-49). La situazione si esacerbava ulteriormente per la scomunica papale comminata a Savonarola il 18 giugno 1497 e la successiva denuncia di un complotto filomediceo, di cui furono accusati Bernardo Del Nero, Niccolò Ridolfi, Lorenzo Tornabuoni, Giannozzo Pucci e Giovanni Cambi (F. Guicciardini, Storie fiorentine, cit., p. 256). V., forse mosso anche da personale animosità e dando sfogo alla rabbia popolare contro gli ottimati, fu il principale promotore della immediata condanna a morte degli imputati. Levandosi «furiosamente da sedere, e dicendo che o morrebbe egli o morrebbero loro», indusse la Signoria a respingere l’appello legittimo dei condannati davanti al Consiglio grande (F. Guicciardini, Storie fiorentine, cit., p. 259). In tal modo V., e forse inconsapevolmente anche il frate (Ridolfi 1952, 1° vol., pp. 314-16), assunsero una posizione estrema, in contrasto con l’opera di pacificazione svolta in precedenza. Una volta giustiziati i cinque (23 agosto 1497), V. «rimase assolutamente capo» e dominatore della città fino alla morte (F. Guicciardini, Storie fiorentine, cit., p. 263). Il 7 aprile 1498 si tenne l’ordalia che, pur in circostanze controverse, fu considerata sfavorevole a Savonarola. Il giorno successivo i Compagnacci e gli Arrabbiati diedero l’assalto al convento di S. Marco, e V. fu ucciso in casa insieme con la moglie (F. Guicciardini, Storie fiorentine, cit., p. 271). Tracciando un bilancio delle sue qualità lo storico lo definisce saggio e onesto («netto circa la roba»), dedito al bene pubblico come pochi, ma di carattere troppo vivace e bizzarro («stranezza»), pronto a offendere chi lo contraddiceva e a crearsi dei nemici (p. 272).
M. cita V. nelle Nature di uomini fiorentini perché fu lui a introdurre nella vita pubblica Antonio Giacomini (§ 4, in N. Machiavelli, Opere storiche, a cura di A. Montevecchi, C. Varotti, 2010, p. 74 ) e lo loda per le sue qualità (§§ 1-6, p. 76). Lo menziona nei Frammenti storici (4 § 25), negli Spogli (§ 32, p. 985, § 36, p. 990), nel Frammento autografo 2 (§ 3, p. 1017). Nei Discorsi (I vii 12) modifica il suo giudizio, accusandolo di aver governato la città «come principe» e di aver spinto i nemici a ricorrere a mezzi straordinari.
Bibliografia: G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, 2 voll., Firenze 1875; R. Ridolfi, Vita di Girolamo Savonarola, 2 voll., Roma 1952; D. Weinstein, Savonarola and Florence. Proph ecy and patriotism in the Renaissance, Princeton 1970 (trad. it. Bologna 1976); F. Guicciardini, Storie fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di A. Montevecchi, Milano 1998.