VENDRAMIN, Francesco
– Nacque a Venezia il 10 ottobre 1555, primogenito di Marco di Luca dal banco e di Maria Contarini di Simone.
Prestigiosi gli esordi nella politica, come si conveniva al giovane esponente di una ricca e illustre famiglia patrizia; pertanto fu eletto savio agli Ordini non appena raggiunto il requisito dell’età e sostenne l’incarico per il primo semestre del 1581 e 1582. Poi, nell’agosto del 1583, venne scelto dal Senato quale uno dei nobili deputati ad accompagnare il duca di Guisa in visita a Venezia; al compito diplomatico seguì la prima vera missione politica e il 17 ottobre 1585 venne eletto ambasciatore al duca di Savoia, Carlo Emanuele I.
Giunto a Torino nella primavera dell’anno successivo, nei suoi dispacci Vendramin si dimostra un estimatore del duca, che ammira per quell’attivismo politico di cui nell’autunno del 1588 avrebbe fornito prova con l’occupazione del Marchesato di Saluzzo; era questo un protettorato francese incuneato nei domini sabaudi al di qua delle Alpi e Carlo Emanuele volle approfittare della debolezza politica che minava la Francia, paralizzata dalle guerre civili. Non altrettanto bene riuscì l’anno dopo il tentativo di occupare Ginevra, in seguito alla guerra con gli svizzeri fomentati, per ritorsione, da Enrico III. Questo conflitto con il Cantone di Berna fu attentamente descritto da Vendramin, che seguì il duca al campo nei primi mesi del 1589; di lì a poco, con l’ascesa al trono di Enrico IV, la guerra sarebbe scoppiata direttamente con la Francia, ma a quella data Vendramin aveva appena lasciato la Savoia (l’ultimo suo dispaccio è del 6 agosto 1589, da Chambéry).
A Venezia divenne savio di Terraferma dall’ottobre del 1589 al marzo del 1590 e ancora nel primo semestre del 1591. Nel corso di questo secondo incarico, il 20 aprile fu eletto ambasciatore in Spagna. Ricevette le commissioni quasi un anno dopo, il 7 marzo 1592, e compì il viaggio via terra.
La Spagna di Filippo II, dopo il disastro dell’Invencible Armada e la fine delle guerre di religione in Francia con l’incoronazione di Enrico IV, convertito al cattolicesimo, manteneva ancora un’assoluta preponderanza nel Mediterraneo centroccidentale e aveva ristretto la rivolta dei Paesi Bassi alle province settentrionali; tuttavia il grande progetto di eliminare le posizioni antispagnole e anticattoliche nel Nord Europa poteva dirsi fallito. L’Inghilterra e le Province Unite, inoltre, si avviavano a un periodo di grande espansione manifatturiera e marinara, che le avrebbe portate a incrinare l’egemonia spagnola in Europa. Donde l’interesse, manifestato nei suoi dispacci da Vendramin, per la Francia e l’Olanda, in particolare per i successi dello statolder Maurizio di Nassau, poi d’Orange.
La simpatia con cui Venezia guardava ai protestanti non era ignota al re di Spagna, per cui l’azione di Vendramin fu condizionata da un clima di diffidenza e reciproci sospetti che si stemperarono con l’assoluzione di Enrico IV (17 settembre 1595); il diplomatico stava allora per rimpatriare, ma poteva lasciare Madrid con la speranza che la chiusura dei conflitti in campo cattolico potesse aprire la strada, nel Mediterraneo, alla costruzione di un fronte antiottomano. Un ulteriore motivo di soddisfazione, sul piano personale, accompagnò Vendramin nel suo rientro a Venezia: si trattava dell’ottimo rapporto da lui stabilito con il nunzio pontificio presso la corte spagnola Camillo Borghese, il futuro papa Paolo V, che aveva dimostrato di apprezzarlo.
Creato cavaliere da Filippo II, Vendramin lesse la relazione in Senato nel dicembre del 1595, quando il mese prima (11 novembre) era già stato eletto a un’altra importante ambasceria, stavolta in Germania, presso l’imperatore.
Partì sei mesi dopo (il primo dispaccio, da Innsbruck, è dell’8 luglio 1596) e a Praga, dove Rodolfo II aveva voluto risiedere con la sua corte, trovò ancora una volta un ambiente sfavorevole alla Repubblica per diverse ragioni: anzitutto per la mancata partecipazione di Venezia alla guerra allora in atto contro i turchi, che aveva visto il papa e molti principi cristiani schierarsi al fianco dell’Impero; poi per l’irritazione suscitata dalla recente costruzione della città-fortezza di Palmanova, a ridosso dei confini con gli arciducali (peraltro presentata dalla Serenissima proprio come suo contributo alla guerra contro gli Ottomani), ma soprattutto per la spinosa questione dei pirati uscocchi, che dalla base di Segna, sul litorale austriaco, taglieggiavano il naviglio veneto. Già più volte la Repubblica aveva manifestato l’intenzione di distruggere i loro porti, ma puntualmente l’imperatore era intervenuto promettendo (invano) che avrebbe represso le violenze e fatto restituire le prede; così successe anche con Vendramin, nonostante le sue reiterate proteste e la mano tesa dimostrata con il far giungere dall’Ungheria, tramite il mercante veneziano Luca Bazin, mandrie di bovini per ovviare alla carestia che aveva colpito la Boemia.
Vendramin si trovava ancora a Praga quando, in un ininterrotto susseguirsi di incarichi, venne eletto ambasciatore straordinario in Francia, il 19 agosto 1598, per congratularsi della pace con la Spagna (Vervins, 2 maggio) e per le nozze della sorella del re, Caterina, con Enrico di Bar, figlio del duca di Lorena, che furono celebrate il 31 gennaio 1599. Vendramin spedì il primo dispaccio da Parigi il 2 gennaio 1600, l’ultimo il 1° maggio; oltre ai dispacci ci è pervenuto un abbozzo della sua relazione.
Pur nella sua incompletezza, il documento si mostra all’altezza della migliore tradizione diplomatica veneziana: dopo aver descritto la situazione politica del Regno e i rapporti con gli altri Stati europei, lo scritto indugia sulla figura di Enrico IV: «Il re è canuto tanto, che sebben di 48 anni ne mostra 60, segno dei travagli e fatiche che ha sofferto; è però robusto di corpo e con gran vigore di animo [...]. Stanca tutti, e con la medicina in corpo esce alla caccia; prende cibo gagliardamente due volte il giorno; disordina nei piaceri di Venere, dorme poco [...]. È il primo capitano di guerra, forte nei pericoli e nelle avversità, clemente verso i nemici» (Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, V, Francia, a cura di L. Firpo, 1978, p. 1067). Quanto ai francesi, «sono buonissimi soldati, arditi, pronti di mano [...]; dimostrano umiltà, e nei fatti sono diversi; si scordano ugualmente benefici e malefici, sono collerici e passano all’improvviso dall’amore all’odio» (p. 1073). Ottimi i rapporti con Venezia, verso la quale il re «ha mostrato gran confidenza [...], e specialmente nel voler esser fatto nobile di questo Stato» (p. 1075).
Poco dopo il suo ritorno a Venezia, il 24 giugno dello stesso 1600 Vendramin entrò savio del Consiglio, ma depose subito l’incarico perché eletto ambasciatore a Roma (1° luglio), probabilmente nella speranza di rabbonire Clemente VIII, adirato con la Repubblica che, con il taglio di Porto Viro, aveva sottratto a Ferrara, ora pontificia, la possibilità di creare un porto alla Mesola. A Roma Vendramin giunse all’inizio del 1602, ma il tempo non aveva stemperato la collera del papa, che esplose nell’udienza accordatagli il 19 luglio 1603, nel corso della quale il pontefice prese a gesticolare minaccioso, mettendosi «le mani alla barba et alla testa, stirandosi li propri suoi vestimenti da tutte le parti» (Benzoni, 1987, p. 76). Venezia però non concesse nulla, contando anche sulla personale buona disposizione di Clemente VIII nei confronti dell’ambasciatore, che infatti nel maggio del 1604 riuscì a congedarsi dal pontefice senza ulteriori disgusti.
Dopo il rimpatrio, Vendramin fu consigliere di Dorsoduro dal 25 novembre 1604 al 17 aprile 1605; qualche giorno prima, il 9 aprile, era stato eletto a far parte dell’ambasceria straordinaria ‘di obbedienza’ al pontefice Leone XI, che però morì dopo neppure un mese, per cui il diplomatico si vide confermata la nomina per il nuovo papa Paolo V. Ma neppure stavolta Vendramin lasciò Venezia, essendo stato eletto patriarca il 26 luglio.
Come il predecessore Matteo Zane, era un laico, ma la sua rettitudine e generosità erano note, sia nell’ambito privato sia in quello pubblico. L’approvazione del titolo venne però dilazionata, a motivo del contrastato esame previsto per la conferma del nuovo eletto; inoltre l’anno dopo scoppiava la crisi dell’Interdetto, una delle più gravi nella storia dei rapporti tra Roma e Venezia.
Nel corso della spinosa congiuntura Vendramin osservò una condotta prudente, affidando il governo della diocesi al suo vicario. La ragione addotta, cioè le cattive condizioni fisiche, era peraltro giustificata da una precaria salute che fra il 1606 e il 1609 ne faceva intravvedere prossima la fine. Pertanto Paolo V volle affrettare la venuta a Roma di Vendramin, che il 28 maggio 1608 indossò il pallio, dopo aver sostenuto un colloquio-esame puramente formale. Con il trascorrere del tempo il senso del servizio, così a lungo prestato da Vendramin alla Serenissima, si trasferì con altrettanta adesione (sebbene con minore fortuna) verso la S. Sede, donde l’ammonimento rivoltogli dal Collegio in data 15 gennaio 1610. Convocato il patriarca a palazzo ducale, gli fu letto e consegnato uno scritto nel quale si stigmatizzava il comportamento da lui recentemente tenuto nei confronti della Curia romana: «Siamo per sicura via – così il Collegio – avvisati ch’Ella [...] ha procurato di far partire da questa città per andare a Roma teologi, et altri nostri provisionati, quali hanno colle loro scritture sostenuto la difesa delle nostre giustissime ragioni nella perturbatione che abbiamo ultimamente dal Pontefice [...]. Che contro ogni dovere Ella ha fatto prova di persuadere sino ne’ nostri senatorii di privarsi e stracciare le dette scritture che tengono appresso di loro [...], e finalmente che con grande iniquità Ella abbia profferito parole di molta denigrazione della ripputatione, dignità e grandezza della nostra Repubblica». Pertanto, dopo averne deplorato l’ingratitudine per i molti riconoscimenti ricevuti, lo si ammoniva a tenere in futuro altro comportamento «perché se procederà altrimenti, lo stesso Senato procederà contro di Lei et della sua casa» (Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Cicogna 2223, c. 129rv).
L’ammonimento non mancò di fare il suo effetto, poiché da allora Vendramin si occupò solo della sua diocesi con provvedimenti di ordinaria amministrazione, quali la revisione della normativa sulle doti monacali e il disciplinamento del clero; effettuò puntualmente le triennali visite diocesane, istituì varie mansionerie, spesso a sue spese, realizzò importanti restauri nella cattedrale di S. Pietro di Castello e affidò ai somaschi la direzione del seminario patriarcale di S. Cipriano a Murano.
Nel Concistoro segreto del 25 dicembre 1615 il papa lo designò cardinale e la nomina ebbe luogo il 16 novembre 1616, nell’ambito del processo di normalizzazione dei rapporti tra Venezia e la S. Sede. Ormai però Vendramin si avviava al termine della sua intensa vita. Il 20 dicembre 1618 fece testamento: nel testo di questo documento appariva molto ricco; le sue disposizioni, oltre a numerosi lasciti ed elemosine e alla realizzazione nella chiesa patriarcale di una cappella di famiglia, prevedevano che erede della sua facoltà fosse il nipote omonimo.
Morì il 7 ottobre 1619 a Murano, in una sua casa abbellita da quadri e statue, con orto e giardino; fu sepolto a S. Pietro di Castello, nella cappella del Carmine.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. Codd., s. 1, 20, Storia veneta: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VII, p. 208; Notarile. Testamenti, b. 56/235; Notarile. Atti, b. 605, cc. 340-347, b. 655, cc. 251-252 (Inventari dei suoi beni a Murano). Per la carriera politica ed ecclesiastica: Segretario alle voci, Elezioni Pregadi, reg. 6, c. 161; Senato, Deliberazioni, Roma, reg. 14, cc. 67-69, reg. 16, c. 84, reg. 17, cc. 124-125; Collegio, Esposizioni Roma, reg. 17, cc. 12-13; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., cl. VII: Consegli, 829 (= 8908), cc. 310, 327; 830 (= 8909), c. 54; 831 (= 8910), cc. 53, 101, 187, 204; 832 (= 8911), cc. 5, 45, 107, 135, 184, 230; 833 (= 8912), cc. 65, 267; Biblioteca del Civico Museo Correr, Provenienze Diverse, Venier, reg. 66, cc. 293, 300, reg. 68, cc. 235, 239, reg. 69, cc. 269, 273; per l’ammonizione rivoltagli dal Collegio nel 1610, Cicogna 2223, c. 129rv; Senato, Dispacci ambasciatori, Savoia, ff. 8-10, passim; Senato, Dispacci ambasciatori, Spagna, ff. 24-27, passim; Senato, Dispacci ambasciatori, Germania, ff. 25-29, passim; Senato, Dispacci ambasciatori, Francia, ff. 28-29, passim; Senato, Dispacci ambasciatori, Roma, ff. 47-52, passim; Relazioni degli Stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel secolo decimosettimo, a cura di N. Barozzi - G. Berchet, s. III, Italia. Relazioni di Roma, I, Venezia 1877, p. 7; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, II, Germania (1506-1554), a cura di L. Firpo, Torino 1970, p. XXXIX; V, Francia (1492-1600), a cura di L. Firpo, 1978, pp. XVIII-XIX, 1063-1077; VIII, Spagna (1497-1598), a cura di L. Firpo, 1981, pp. XIV, 889-918; XI, Savoia (1496-1797), a cura di L. Firpo, 1983, pp. X, 403-470.
Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, IV, a cura di P. Gauchat, Monasterii 1935, pp. 12, 362; A. Niero, I patriarchi di Venezia da Lorenzo Giustiniani ai nostri giorni, Venezia 1961, pp. 15 s., 109-117, 272; G. Benzoni, I papi e la “corte di Roma” visti dagli ambasciatori veneziani, in Venezia e la Roma dei Papi, Milano 1987, p. 76; S. Tramontin, La diocesi nelle relazioni dei patriarchi alla Santa Sede, in La Chiesa di Venezia nel Seicento, a cura di B. Bertoli, Venezia 1992, pp. 60-68, 72-75, 78 s., 82 s., 86; A. Menniti Ippolito, “Sudditi d’un altro stato?”. Gli ecclesiastici veneziani, in Storia di Venezia dalle origini alla caduta della Serenissima, VII, La Venezia barocca, a cura di G. Benzoni - G. Cozzi, Roma 1997, p. 352.