VERLA, Francesco
– Nacque in una data compresa tra il 1470 e il 1474 da tale Bernardino, un calzolaio originario di Villaverla, vicino a Vicenza, mentre della madre non si conosce il nome.
Queste informazioni si desumono dal più antico documento che lo riguarda, un atto notarile del 17 dicembre 1499, nel quale Francesco di Bernardino da Villaverla fece da testimone (Zorzi, 1916, p. 60). Il nome di Verla, con cui è noto, deriva forse dalla località berica che gli diede i natali, considerando che in altri incartamenti è spesso presentato come residente a Vicenza, ma non da cittadino. Spetta a Luigi Lanzi (1809) l’aver correttamente riconosciuto Verla nell’altrimenti ignoto pittore vicentino ricordato da Giorgio Vasari con il nome di Veruzio, una probabile corruzione del diminutivo Verluzo o Verlucio.
Non ne conosciamo il maestro, ma Vasari (1568, 1881) lo annovera tra gli artisti vicentini che si formarono a contatto con le pitture di Andrea Mantegna, accanto a Bartolomeo Montagna e a Giovanni Speranza. In ogni caso, benché non si conservino opere del periodo giovanile, si è anche ipotizzato che la prima educazione fosse avvenuta ai margini della bottega di Montagna, che all’epoca dominava la scena artistica vicentina (I. Gallazzini, in Viaggi e incontri..., 2017, p. 178). La più precoce impresa di cui si trova traccia nelle carte d’archivio risale al 19 agosto 1500, quando fu ingaggiato, insieme a Girolamo Mocetto, per affrescare la facciata di un’ala del Monte di Pietà di Vicenza con un ciclo all’antica che è andato distrutto (ibid.).
Un soggiorno in centro Italia, decisivo per la maturazione del suo stile, era già stato proposto da Giuseppe Gerola (1908, p. 332) su basi stilistiche e ha trovato conferma in un atto notarile del 4 febbraio 1503, che prorogava il termine di una lite giudiziaria perché in quel momento il pittore si trovava a Roma (Zorzi, 1916, p. 148). Qui egli dovette rivolgersi allo studio dell’arte antica, specialmente le rovine della Domus Aurea, assimilandone la decorazione a grottesche sull’esempio di Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio (A. Galli, in Viaggi e incontri..., 2017, pp. 15-17). Plausibilmente si trattenne anche a Perugia, dove avrebbe conosciuto Pietro Vannucci, detto il Perugino, la cui pittura esercitò su di lui un influsso notevole: un’esperienza che gli permise di emanciparsi dal retroterra montagnesco per abbracciare uno stile più morbido, devoto ed elegante, con un repertorio di cornici estrose e bizzarre di gusto classico.
Rientrato in patria, si affermò come uno dei pittori più apprezzati di Vicenza e dintorni. Nel 1503 firmò la Madonna col Bambino già in palazzo Clementi e tuttora in proprietà privata. A queste date risale anche la Madonna col Bambino in trono tra i ss. Antonio abate e Domenico (o Pietro martire) per la chiesa dei Ss. Martino e Giorgio a Velo d’Astico (Vicenza), la cui matrice peruginesca emerge dal confronto con La Sacra Parentela (1502 circa) di Vannucci già in S. Maria degli Angeli a Perugia e ora al Musée des beaux-arts di Marsiglia (ibid., pp. 20 s.). Quanto, invece, allo Sposalizio della Vergine affrescato nella cappella della Natività di Maria nel duomo di Montagnana (Padova), rivendicatogli con una cronologia intorno al 1505-06 (Dal Pozzolo, 1995), esso costituisce una desunzione della pala di Perugino dello stesso soggetto attualmente al Musée des beaux-arts di Caen. Il 21 luglio 1508 «magistro Francisco pictore» è attestato in casa del nobile Gian Galeazzo da Thiene a Vicenza, dove assistette come testimone alla stesura di un atto notarile (Zorzi, 1916, p. 60).
L’anno successivo contribuì alla decorazione della chiesa vicentina di S. Bartolomeo: nello specifico stipulò un contratto con Filippa Sarego, vedova di Andrea Pagello, per una pala d’altare destinata alla cappella di famiglia, che avrebbe dovuto anche essere affrescata (Mantese, 1964, pp. 249 s.). La tavola, che mostra una Madonna in trono col Bambino, i ss. Giovanni Battista, Agostino, Girolamo e Antonio di Padova, riprende esplicitamente l’edificio nello sfondo del già citato Sposalizio di Perugino a Caen. Il dipinto di Verla restò in chiesa almeno fino al 1677, quando fu ammirato per l’ultima volta da Marco Boschini (1677, 2008), prima di essere sostituito da un’altra opera. Acquistato dall’antiquario fiorentino Stefano Bardini, è oggi in deposito nella villa medicea di Cerreto Guidi, presso Empoli, dov’è stato recentemente identificato (I. Gallazzini, in Viaggi e incontri..., 2017, pp. 124-127).
Il precipitare degli eventi legati alla guerra della Lega di Cambrai, nella quale Vicenza si era pesantemente compromessa con lo schieramento asburgico, spinse Verla ad abbandonare la città berica (Puppi, 1967, p. 17). Sfruttando i suoi rapporti con la famiglia Thiene, nel 1512 il pittore passò prima a Schio (D. Cattoi, in Viaggi e incontri..., 2017, p. 49), dove dipinse un pregevole Sposalizio mistico di s. Caterina d’Alessandria tra i ss. Lucia, Agata, Giuseppe e Giovanni Battista, tuttora nella chiesa di S. Francesco. Forse già nell’autunno del 1513 decise di riparare nel principato vescovile di Trento, attratto dalle opportunità offerte dalla nobiltà filoimperiale cittadina (pp. 52 s.). Al 1515 va così collocata la Madonna col Bambino in trono, i ss. Benedetto, Giovanni Battista, Antonio abate e di Padova pervenuta al Museo diocesano di Trento dalla cattedrale di S. Vigilio. La pala fu allogata da Girolamo Brezio Stellimauro, medico e letterato della corte del vescovo e futuro cardinale Bernardo Clesio, per onorare la memoria del figlio deceduto prematuramente, come recitava un’iscrizione, ora abrasa, apposta nel dipinto stesso.
Nel lungo, e fecondo, periodo trentino Verla fu impegnato come frescante in varie località: Trento (palazzo Pretorio), Calliano (casa Wetterstetter, 1515), Seregnano (Canonica) e Rovereto (palazzo Del Bene, 1514), città dove prese dimora negli ultimi anni di vita (ibid., pp. 57-67). Dispersa è una pala che gli fu richiesta nel 1517 per la chiesa di S. Maria Assunta a Villa Lagarina, ma ancora esistenti sono Il matrimonio mistico di s. Caterina d’Alessandria con s. Pietro e l’arciprete Giovanni Francesco Betta nella chiesa di Mori e gli interessanti affreschi nel presbiterio della parrocchiale di S. Pantaleone a Terlago, condotti a termine nel 1518. Se gli esordi furono segnati dall’incontro con Perugino, in seguito egli si avvicinò alla lezione di Mantegna, come dimostra la pala del 1520 giunta all’Accademia di Brera di Milano dalla chiesa francescana di S. Maria delle Grazie a Valdagno (Vicenza). La composizione dipende, in effetti, dalla Madonna della Vittoria (1496) di Mantegna, oggi al Louvre di Parigi.
Il trasferimento nel Trentino non impedì a Verla, tuttavia, di attendere ad alcune commissioni vicentine: come i lavori eseguiti nel 1517 per il villaggio di Magrè, noti soltanto attraverso le carte d’archivio (Snichelotto, 2001, pp. 86-88). Nello stesso anno licenziò la notevole pala di Sarcedo, tuttora nella chiesa di S. Andrea apostolo, per la quale dopo la sua morte scoppiò una lite seguita dal figlio Alessandro, anche lui pittore (Zorzi, 1916, pp. 61, 66).
Il decesso di Verla avvenne probabilmente tra la fine del 1520 e gli inizi del 1521, quando il figlio assunse le redini della famiglia (I. Gallazzini, in Viaggi e incontri..., 2017, p. 178): di sicuro entro il 27 maggio 1522, quando lo stesso Alessandro è citato in un documento come figlio del defunto padre (Zorzi, 1916, pp. 61, 66). Francesco aveva sposato Maria di Giovanni Giacomo di Castelnuovo, ancora viva nel 1532 quando dettò il testamento in cui nominava erede universale il figlio Alessandro e ricordava un’altra figlia di nome Maddalena (p. 66).
In un’area, quella trentina, ancora saldamente legata alla stagione tardogotica, Verla avviò un rinnovamento artistico che poi si affermò durante tutto il vescovato di Clesio. La perdita di molte sue pitture e l’avvicendarsi alla corte clesiana di artisti come Girolamo Romani, detto il Romanino, Dosso Dossi e Marcello Fogolino contribuirono a oscurarne i meriti. A questo si deve aggiungere una malcelata ostilità della vecchia storiografia artistica verso un pittore ritenuto talmente estraneo alla scuola locale da spingere Adolfo Venturi (1915) a definirlo un «copiatore degli umbri, corrompitore dello stile vicentino» (p. 656). Dopo le ricerche fondamentali di Gerola (1908, e 1918) e di Lionello Puppi (1960, e 1967), che hanno contribuito a tracciarne il profilo biografico e pittorico, una recente e puntuale esposizione monografica ha finalmente restituito l’effettiva fisionomia del pittore vicentino, riscattandola da malintesi e pregiudizi (Viaggi e incontri..., 2017).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori (1568), a cura di G. Milanesi, VII, Firenze 1881, pp. 526 s.; M. Boschini, I gioielli pittoreschi, virtuoso ornamento della città di Vicenza... (1677), a cura di W.H. de Boer, Firenze 2008, p. 353; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, III, Bassano 1809, p. 57; G. Gerola, F. V. e gli altri pittori della sua famiglia, in L’Arte, XI (1908), pp. 330-347; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, VII, 4, Milano 1915, pp. 654-656; G. Zorzi, Contributo alla storia dell’arte vicentina nei secoli XV e XVI, I, Venezia 1916, pp. 60 s., 65 s., 148; G. Gerola, Nuovi appunti sui Verla, in Arte e storia, s. 6, XXXVII (1918), pp. 29-36; N. Rasmo, Nuovo contributo a F. V., in Arte veneta, I (1947), pp. 284-287; L. Puppi, F. V., in Rivista dell’Istituto nazionale d’archeologia e storia dell’arte, n.s., IX (1960), pp. 266-297; G. Mantese, Notizie intorno a tre opere d’arte perdute, in Studi in onore di Antonio Bardella, a cura di M. Bardella, Vicenza 1964, pp. 235-254; L. Puppi, F. V. pittore, Trento 1967; F. Russell, Two Italian Madonnas, in The Burlington Magazine, CXX (1978), pp. 152-155; F. Barbieri, Pittori di Vicenza, 1480-1520..., Vicenza 1981, pp. 39-41; P. Marchi, Forse scoperta in un istituto di Schio un’importante tela di F. V., in Vicenza, XXIII (1981), p. 15; E.M. Dal Pozzolo, Un tassello per F. V.: appunti sulle presenze pittoriche di parlata umbra nel duomo di Montagnana, in Terra d’Este, V (1995), pp. 127-156; C. Rigoni, Lo Sposalizio mistico di Santa Caterina di F. V. a Schio: studi per il restauro, in Progetto restauro, V (1998), pp. 30-33; C.B. Tiozzo, Una inedita decorazione di F. V., in Ateneo veneto, n.s., XXXVII (2000), pp. 221-223; P. Snichelotto, Ambiente pittorico scledense tra Quattrocento e Cinquecento, in Schio numero unico, 2001, pp. 83-88; A. Montedoro, F. V. e Marcello Fogolino nella Casa dei Brezio Stellimauro a Seregnano, in Venezia arti, XXI (2007), pp. 27-41; Viaggi e incontri di un artista dimenticato: il Rinascimento di F. V. (catal.), a cura di D. Cattoi - A. Galli, Trento 2017.