ZORZI, Francesco.
– Nacque a Verona il 2 luglio 1900 da Giuseppe e da Teresa Caliari, sesto di sette fratelli.
La sua vita fu segnata dalle due guerre mondiali, durante le quali si distinse come figura di intellettuale patriota e antifascista, e dalla sua precoce passione per la paletnologia e la speleologia.
Rimasto orfano del padre a soli tre anni, Zorzi trascorse l’infanzia nella casa di famiglia. Appena raggiunta l’età per l’arruolamento, presentò domanda per il fronte, partendo come volontario il 5 settembre 1917. Destinato al 55° reggimento fanteria, allora impegnato sul fronte orientale, prestò servizio tra gli arditi. Durante l’attacco sferrato tra il 6 e l’8 luglio del 1918 a Levani Saban, sulla Malakastra, in Albania, Zorzi fu decorato sul campo e cinque anni più tardi ricevette effettivamente la medaglia d’argento al valor militare per aver messo fuori uso una mitragliatrice e trascinato il suo battaglione alla conquista della trincea nemica. Nei mesi successivi dovette però lasciare il fronte. Ricoverato per malattia all’ospedale militare di Valona, fu rimpatriato su una nave ospedale militare il 4 novembre.
A due anni dalla fine del conflitto, assunse l’incarico di funzionario della civica amministrazione veronese. Nel 1921 nacque la sua prima figlia, Ada, avuta dalla friulana Maria Tommasi che Zorzi sposò solo l’anno seguente, il 19 settembre 1922. Nel 1924 nacque il loro secondo figlio, Giuseppe. Nel dicembre del 1930, pur senza alcuna formazione naturalistica alle spalle – aveva interrotto gli studi per arruolarsi – Zorzi ottenne il suo primo incarico presso il Museo civico di storia naturale allora guidato da Vittorio Dal Nero.
Negli anni Venti la paletnologia italiana attraversava una fase di stagnazione. Dopo un lungo periodo in cui gli studi di preistoria erano stati al centro del discorso patriottico nazionale, durante il regime fascista essi subirono una progressiva marginalizzazione dovuta essenzialmente a due fattori concomitanti. Il primo, politico, risiedeva nell’interesse preponderante per l’archeologia classica imposto dal culto della romanità del regime. Il secondo, di matrice culturale, era rappresentato dall’influenza dell’idealismo di Benedetto Croce e Giovanni Gentile che da un lato etichettava le scienze sociali come ‘pseudoscienze’ e dall’altro era aspramente ostile verso lo studio delle età preistoriche. Tuttavia, negli stessi anni, altri settori della ricerca collegati agli studi di preistoria si rinnovarono, e tra questi la biospeleologia di cui Zorzi fu un pioniere.
Inoltre, grazie alla comune passione per l’esplorazione delle grotte, nell’ambiente del Museo veronese Zorzi strinse presto amicizia con due formidabili studiosi, più giovani di lui, l’entomologo Sandro Ruffo e il geologo e paleontologo Angelo Pasa. Studio della fauna sotterranea e studio delle testimonianze umane procedettero di pari passo e nacque così a Verona un sodalizio amicale e scientifico che avrebbe portato il Museo civico a divenire uno dei centri principali di studi naturalistici e preistorici italiani nei decenni seguenti.
Zorzi, Pasa e Ruffo condussero la loro prima significativa esplorazione a grotta Damati (Badia Calavena), che fu oggetto della loro prima pubblicazione scientifica (F. Zorzi - A. Pasa - S. Ruffo, La grotta dei Damati e la grotta del Falasco nel Veronese, in Le grotte d’Italia, VIII (1934), pp. 12-18). Negli anni Trenta, Zorzi si adoperò inoltre per portare in Museo le collezioni preistoriche conservate al teatro romano e intraprese una prima campagna di scavi nella zona palafitticola delle Barche di Solferino (Mantova) seguita da una seconda campagna a Quinzano Veronese.
Il 1939 segnò per Zorzi l’avvio di un importante sodalizio con Maria Fioroni, intellettuale e filantropa originaria di Legnago, concretizzatosi con gli scavi di un abitato palafitticolo dell’Età del bronzo in località Morandine (Cerea-Casaleone). La collaborazione tra i due sarebbe proseguita poi dopo la guerra, quando Fioroni divenne anche mecenate di Zorzi finanziandone alcune campagne di scavo, tra cui quella di Oppeano (1951), sostenendo economicamente il Museo con generose donazioni e chiamando Zorzi a fare da consulente e amministratore per la Fondazione palazzo Fioroni, istituzione che svolse un ruolo importante nella raccolta e nella conservazione di reperti dell’area veronese fino agli anni Settanta.
La seconda guerra mondiale portò tuttavia al momentaneo scioglimento del gruppo che si andava consolidando attorno al Museo. Durante il conflitto Zorzi venne arruolato come tenente di commissariato nella Croce rossa italiana. Non mancò però di adoperarsi per mettere in salvo i reperti del Museo trasferendoli in ricoveri sotterranei e salvando così le collezioni veronesi dai successivi bombardamenti che danneggiarono gravemente l’edificio. Dal 1943 fu attivo, assieme ai fratelli Giovanni e Vittorio e al cugino Renzo, nella lotta di liberazione dal nazifascismo. Entrò quindi nel Partito d’azione, allora guidato proprio dal fratello Vittorio, che in seguito divenne anche capo del terzo Comitato di liberazione nazionale veronese.
Alla fine del 1943 Zorzi venne a conoscenza della missione Rye, appoggiata direttamente dagli Alleati, che aveva un importante ruolo di supporto e collegamento tra gli angloamericani e i gruppi partigiani nei territori della Repubblica sociale italiana. Grazie alla sua posizione nella Croce rossa, che gli permetteva di muoversi liberamente attraverso le linee nemiche, Zorzi si rivelò un candidato ideale per essere arruolato nella Rye e ne divenne in breve un «ottimo collaboratore» (Brescia, Fondazione biblioteca-archivio Luigi Micheletti, Fondo Carlo Perucci, faldone IV, b. 1, f. 4, sf. 1: Rapporto finale per Vampa) assumendo come nome di battaglia Maramaldo.
In questa veste compì anche alcune missioni a Roma, dove incontrò i generali Giulio Cesare Tamassia e Quirino Armellini che pure in un primo momento tentarono di dissuaderlo dal proseguire i rapporti con la missione Rye, ritenendola una trappola tesa dai tedeschi. Solo dopo che egli si spese anche con il Vaticano per cercare un contatto con l’ambasciata inglese, il ruolo di Zorzi nel Comitato di liberazione nazionale veronese e nella Rye venne riconosciuto negli ambienti antifascisti della capitale e la missione romana, dopo le iniziali difficoltà, venne portata a termine.
Negli ultimi mesi del conflitto la casa di Zorzi fu perquisita dai reparti della Repubblica sociale italiana e da quelli tedeschi. Fu quindi costretto a lasciare la città scaligera e a nascondersi assieme alla figlia Ada, anch’ella staffetta partigiana. Nell’ottobre del 1944 i due furono intercettati da una pattuglia di soldati tedeschi e arrestati. Si misero però in salvo fortunosamente, saltando dal camion sul quale erano stati caricati e fuggendo a piedi. L’ultima fase della Resistenza Zorzi la passò dunque non più nella Rye, ma da combattente con il ruolo di vicecomandante della divisione Vespri, spostandosi tra Vicentino e Veronese. Assieme alla brigata Val d’Adige della stessa divisione, prese parte anche ai combattimenti tra Coriano e Cologna Veneta.
Sebbene padre e figlia riuscissero a mettersi in salvo, la sorte non fu comunque favorevole alla famiglia Zorzi. Il 4 febbraio 1945 il figlio Giuseppe, partigiano come il padre e gli zii, venne catturato. Fu deportato con la matricola 126507 e poi giustiziato dalle Schutzstaffel assieme ad altri 83 deportati politici nel campo di concentramento di Mauthausen, durante la rappresaglia contro gli internati italiani, il 22 aprile.
Dopo il 25 aprile 1945, grazie ai meriti ottenuti nella lotta di Liberazione, Zorzi venne chiamato a fare parte della commissione di giustizia insediata a Verona allo scopo di processare i fascisti repubblichini, con compiti di polizia ordinaria e giudiziaria. Tuttavia, l’esperienza della guerra aprì una ferita profonda nella famiglia di Francesco: nel 1946 la moglie Maria chiese e ottenne la separazione consensuale dal marito, lasciando la casa di famiglia, mentre la figlia Ada, divenuta insegnante, rimase a vivere con il padre fino al proprio matrimonio (1956).
Ritornato all’attività scientifica, Zorzi fu uno di quei ‘patrioti municipali’ che maggiormente impressero un indirizzo nuovo e dinamico all’ambiente veronese. Già dal momento in cui era divenuto conservatore con funzioni di dirigente a seguito del pensionamento di Vittorio Dal Nero (1933), Zorzi aveva iniziato una lunga e costante opera di riorganizzazione, ampliamento e modernizzazione del Museo anche tramite l’acquisto di moderne apparecchiature per la ricerca. Terminata la guerra e divenuto finalmente direttore, egli riprese quest’opera con rinnovato slancio. Con la direzione Zorzi iniziò a cambiare progressivamente il ruolo stesso del Museo civico: da sede dedicata primariamente alla conservazione e alla raccolta, esso si trasformò in un centro pulsante della società veronese, divenendo un polo di ricerca e di fervente attività divulgativa e didattica. Nel 1955 il suo ruolo di innovatore della museologia italiana trovò anche una sanzione nazionale e politica durante il convegno di museologia tenutosi a Perugia, cui Zorzi venne invitato direttamente dal ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Ermini (Verona, Istituto veronese per la storia della Resistenza, Fondo Zorzi, b. 1).
In linea con questo programma di compenetrazione tra scienza e società, Zorzi si adoperò per la fondazione di un organo scientifico, edito in forma di Bollettino del Museo civico di storia naturale di Verona a partire dal 1948. Iniziò inoltre a raccogliere attorno al Museo un gruppo di appassionati di escursionismo e speleologia. Dal 1946 il gruppo fece parte dell’Unione italiana naturalisti che si era costituita a Roma due anni prima. Tuttavia, in polemica con l’eccessiva burocratizzazione della società nazionale, già nell’ottobre del 1949 Zorzi – che era a capo della sezione veronese fin dalla sua nascita – promosse la scissione del gruppo e la fondazione di una autonoma Associazione dei naturalisti veronesi che oggi porta il suo nome. Sempre nel 1949 divenne socio dell’Accademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona di cui in seguito fu anche assessore (1956-59). Assunse quindi permanentemente la docenza del corso (obbligatorio) di preistoria presso la Libera Scuola superiore di scienze storiche L.A. Muratori di Verona, istituzione nata nel 1950 per impulso di alcuni docenti della città scaligera e che godeva del pieno sostegno del ministro della Pubblica Istruzione Guido Gonnella.
Sul piano dell’attività scientifica, fino alla fine degli anni Quaranta Zorzi si era limitato ai sondaggi e agli scavi in territorio veronese o nelle provincie limitrofe. Nel 1949 iniziò alcune fortunate campagne di scavo fuori regione che si protrassero per più di un decennio. Tra il 1949 e il 1960 esplorò vari giacimenti preistorici all’aperto nelle Isole Tremiti e sul promontorio del Gargano. Queste nuove indagini ne aumentarono la fama a livello nazionale e ne favorirono l’accesso all’insegnamento universitario in qualità di libero docente, avvenuta con decreto ministeriale del 21 marzo del 1952 (confermata in forma definitiva nel 1957).
Entrato alla facoltà di scienze dell’Università di Padova come docente di paletnologia vi tenne, a partire dall’anno accademico 1953-54, un insegnamento complementare dal titolo La preistoria nel veronese.
Nel suo programma iniziale comparivano, accanto allo studio della civiltà palafitticola del lago di Garda e della necropoli di Bovolone, anche le famose ‘selci strane’ di Breonio, sostituite negli anni successivi da un’attenzione comparativa allo sviluppo delle antiche civiltà della pianura Padana.
Nel 1954 contribuì a fondare a Firenze l’IIPP (Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria) e la sua fama di ‘palafittologo di grido’ ne fece un punto di riferimento per i colleghi che ne richiesero negli anni seguenti la collaborazione e la consulenza. Fu questo un periodo di successi, nonostante i numerosi e talvolta aspri dissidi all’interno dell’IIPP, che finirono per coinvolgere anche «un tipo così conciliante» (Tarantini, 2004, p. 69) come Zorzi. Nonostante la conflittualità interna alle istituzioni italiane, continuò con slancio le sue esplorazioni. Tornato sul Gargano, tra l’autunno del 1960 e la primavera del 1961 decise di spostare le sue ricerche verso la piana di San Severo, presso l’ingresso di grotta Paglicci. Dopo aver proceduto a liberare l’accesso alla grotta, ne proseguì quindi l’esplorazione (F. Zorzi, Pitture parietali e oggetti d’arte mobiliare del Paleolitico scoperti nella grotta Paglicci (Rignano Garganico), in Rivista di scienze preistoriche, XVII (1962), pp. 123-137). La scelta si rivelò fortunata e gli fruttò la sua più importante scoperta: il rinvenimento delle prime pitture rupestri risalenti al Paleolitico superiore scoperte in Italia.
Seppur già gravemente malato, Zorzi prese parte tra il giugno e il luglio del 1961 alla spedizione archeologico-naturalistica italo-peruviana nel Perù settentrionale patrocinata dal Consiglio nazionale delle ricerche, che portò nelle raccolte del Museo scaligero reperti naturalistici provenienti dal Sudamerica e vari volumi allora non conosciuti in Italia. Un secondo viaggio, in Africa meridionale, arrivò invece alla vigilia del suo congedo dall’attività scientifica: nel novembre del 1963, pochi giorni prima del suo ricovero in clinica, tenne l’ultima conferenza al Lions Club di Verona per parlare proprio del recente viaggio africano. Morì l’11 maggio 1964 nella sua città natale.
Fonti e Bibl.: Verona, Archivio anagrafico comunale, Fogli familiari, Registro della popolazione, Censimento, sez. 57, D.A. 2027 (sulla famiglia di Zorzi); Museo civico di storia naturale, Archivio Zorzi, bb. 1-17 (sull’attività scientifica); Istituto veronese per la storia della Resistenza, Fondo Zorzi; Fondo Zangarini, b. 1, ff. 4-5 (sul Partito d’azione e la Rye); Archivio di Stato di Verona, Distretto militare, Ruoli matricolari, cl. 1900, matricola 26 612; schede dei partigiani (in via di catalogazione); Associazione naturalisti veronesi, 1 faldone miscellaneo (note varie); Brescia, Fondazione biblioteca-archivio Luigi Micheletti, Fondo Carlo Perucci, faldone IV, b. 1, f. 4, sf. 3 (sulla fuga da Verona nel 1944).
S. Ruffo, F. Z. e il Museo di storia naturale di Verona, in Natura e montagna, IV (1964), 3, pp. 121-126; Id., In memoriam: F. Z., in Vita veronese, XVII (1964), pp. 339 s.; E. Tortonese, F. Z. (necrologio), in Annali del Museo civico di storia naturale di Genova, LXXIV (1964), pp. 425 s.; Atti della X Riunione scientifica dell’Istituto italiano di preistoria e protostoria: in memoria di F. Z. … 1965, Verona 1965; V. Giacomini, F. Z. (necrologio), in Archivio botanico e biogeografico Italiano, LVI (1965), p. 77; Una vita per la divulgazione delle scienze naturali: F. Z., a cura dell’Associazione naturalisti veronesi, Verona 1965; G. Vesentini, F. Z. (necrologio), in Natura, LVI (1965), 1, pp. 77-80; A. Pasa, F. Z. (necrologio), in Sibrium. Collana di studi e documentazioni, VIII (1966), pp. 244-246; S. Ruffo, F. Z. e Angelo Pasa, in Atti e memorie dell’Accademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona, s. 6, XIX (1968), pp. 1-10; M. Tarantini, Dal fascismo alla repubblica, in Rivista di scienze preistoriche, LIV (2004), pp. 64-78; L. Latella, Il contributo del Museo civico di storia naturale di Verona allo sviluppo della biospeleologia, in Studi trentini di scienze naturali. Acta biologica, LXXXI (2004-05), pp. 15-22; Dizionario biografico dei veronesi. XX secolo, a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, pp. 908-910; G.M. Varanini, A proposito dell’autobiografia di Sandro Ruffo, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, CLXIX (2011), pp. 117-127; M. Zangarini, Storia della Resistenza veronese, Verona 2012, pp. 45, 65, 76, 110, 111, 115, 117, 172 s., 177, 188, 205, 215, 218 s., 270, 281 s., 288 s., 310, 449, 451, 454, 457, 460, 463, 476, 484, 529; La biblioteca pubblica della Fondazione Fioroni, a cura di A. Ferrarese, Legnago 2014.