ZUCCARELLI, Francesco
Giacomo Francesco, da sempre noto semplicemente come Francesco, nacque a Pitigliano, località gravitante per posizione geografica e vocazione commerciale nell’orbita di Grosseto, il 15 agosto 1702, figlio di Bartolomeo († 1706) e di Orazia Parrini. Il benessere della famiglia era frutto di una bottega ben avviata dal padre, originario di Bagnoregio, e di piccoli possedimenti terrieri coltivati a vigna. Per seguire oggi il suo percorso giovanile, fondamentali si rivelano le testimonianze dei contemporanei, tra cui quella di Francesco Nicolò Gabburri, che fu suo committente e autore del primo medaglione biografico. Ettore Romagnoli lo ricorda a Roma, poco più che dodicenne, fra il 1712 e il 1713, mentre Luigi Lanzi informa che il giovane fu allievo di Paolo Anesi, pittore paesaggista da cui apprese probabilmente i primi rudimenti del mestiere. Pochi anni dopo, secondo Francesco Maria Tassi, conte bergamasco e in seguito amico stretto dell’artista, fu a bottega presso Giovanni Maria Morandi, fra i principali ritrattisti della Roma barocca, e presso il suo allievo Pietro Nelli.
Al 1725 sono documentate alcune delle sue prime opere, due grandi pale per la cattedrale di Pitigliano, S. Michele Arcangelo e Le anime del Purgatorio (Pitigliano, Museo di Palazzo Orsini). Il linguaggio dei due dipinti mostra quanto Zuccarelli avesse assorbito in quasi quindici anni di permanenza a Roma, cioè una «speculazione di una classica e accademica impostazione secentesca, in un disegno corretto e magniloquente» (Baldini, 1963, p. 354).
Dopo alcuni anni dei quali non abbiamo testimonianze dirette, prima di spostarsi nei territori della Repubblica di Venezia Zuccarelli si stabilì fra il 1728 e il 1730 a Firenze. Qui entrò in contatto con Gabburri, mecenate e collezionista, e si orientò prevalentemente alla grafica. Il soggiorno fiorentino fu principalmente dedicato alla ricerca: studiò i nudi dell’Accademia e riprodusse in disegno le sculture della Real Galleria. Per conto dello stesso Gabburri, incise due importanti serie di acqueforti: la prima tratta dalle opere di Giovanni da San Giovanni; la seconda dal ciclo di Andrea del Sarto per il chiostro della SS. Annunziata, nell’ottica di preservarne la memoria a causa del progressivo deterioramento degli affreschi. Negli anni fiorentini si collocano anche i primi disegni a soggetto paesaggistico (tra cui una veduta della città di Firenze) e, più in generale, le prime prove grafiche nel medesimo ambito, che mostrano un afflato riconducibile al periodo di studio nella città toscana.
Sono ancora sconosciuti i motivi che spinsero Zuccarelli a trasferirsi repentinamente da Firenze a Bologna, dove soggiornò per alcuni mesi, e infine a Venezia, dove si stabilì per circa un ventennio; la data del suo arrivo in città è stata spesso oggetto di speculazioni, ma oramai si tende a collocarla al 1732 (Spadotto, 2007, pp. 12 s.).
In laguna, prima di dedicarsi esclusivamente a quel paesaggismo arcadico-pastorale che l’avrebbe reso famoso, dipinse «nel principio quadri grandi istoriati e ritratti», come ricorda Tassi.
La svolta verso la pittura di paesaggio si concretizzò nei primi anni trascorsi in laguna. Sono state avanzate molte proposte per giustificare l’interesse verso un genere che a Venezia aveva trovato fin allora pochi interpreti. Sicuramente risultò determinante la formazione romana del pitiglianese, con il confronto diretto con le opere di Claude Lorrain e Francesco Albani. A Venezia, inoltre, nel 1730 era morto Marco Ricci, il principale interprete di un nuovo paesaggismo fondato sul connubio fra dato naturale, sensibilità nella resa dei fenomeni atmosferici e inattese soluzioni compositive.
Zuccarelli seppe raccoglierne l’eredità e s’inserì nel mercato artistico della città come principale interprete di questa particolare forma pittorica. S’impose così attraverso una combinazione riassunta da Rodolfo Pallucchini (1995, p. 323) nella formula di pittura «chiara e luminosa nei registri tonali; lustra e levigata nei valori formali, una natura idealizzata [...] cioè dipinta a toni sereni e ottimistici».
È difficile cogliere l’evoluzione stilistica nei paesaggi bucolici di Zuccarelli, a causa delle minime trasformazioni ch’egli apportò alla propria sintassi pittorica. Tra i primi esempi riconosciuti si annoverano due piccoli quadretti raffiguranti un Paesaggio campestre con castello, figure e cavaliere e un Paesaggio con ponte (Budapest, Szépművészeti Múzeum); nel secondo introdusse il motivo del ponte, che avrebbe funto da basso continuo nella produzione degli anni Trenta e Quaranta. Nella maggior parte dei dipinti paesistici giovanili Zuccarelli cercò di coniugare motivi ascrivibili alla sua formazione romana, impostata su ritmi compositivi cadenzati e sul sicuro equilibrio formale, ed echi della pittura di Ricci, con la predominanza del dato naturale. Negli stessi anni approfondì la lezione di Salvator Rosa e s’ispirò ad Alessandro Magnasco, in particolare per le ricercate soluzioni coloristiche fondate su pennellate corpose.
La permanenza a Venezia fu intervallata da numerosi viaggi in terraferma, soprattutto a Bergamo, dove fu invitato per la prima volta nel 1736 da Tassi. Qui ebbe la possibilità di confrontarsi con le vedute delle Prealpi, che a detta di Pallucchini (ibid., p. 322) costituirebbero il riferimento visivo dell’autore per l’invenzione del paesaggio ideale. È lo stesso Tassi a citare l’esecuzione di alcune vedute in occasione del primo soggiorno in città, cui si aggiungono altri piccoli quadretti di analogo soggetto realizzati per il conte Girolamo Carrara e altri notabili locali.
Come a Firenze, anche a Venezia Zuccarelli seppe ben introdursi nell’ambiente culturale. Registrato nella fraglia dei pittori fin dal 1736, è appuntata la sua appartenenza alla corporazione almeno fino al 1763. Attraverso Anton Maria Zanetti il Vecchio, strinse proficui rapporti con alcuni dei principali collezionisti ed eruditi, rappresentanti di quel gruppo di amatori delle belle arti tra i quali spiccavano il maresciallo tedesco Johann Matthias von der Schulenburg, riformatore dell’apparato militare della Repubblica veneziana, e il console britannico Joseph Smith.
Schulenburg acquistò nella seconda metà del quarto decennio del secolo nove opere destinate a impreziosire la propria collezione e inviate in patria fra il 1738 e il 1739. Il rapporto con Smith si dimostrò, invece, assai più duraturo e decisivo per i successivi spostamenti di Zuccarelli in Inghilterra.
Dalla fine dagli anni Trenta, la produzione di Zuccarelli s’inoltrò con maggiore insistenza in territorio riccesco: una svolta i cui migliori risultati furono raggiunti verso la metà del decennio successivo. Nonostante la decisa virata, l’artista non fu in grado di cogliere appieno i caratteri peculiari di Ricci; la proposta di Zuccarelli si configurava piuttosto come versione edulcorata dei motivi e della sintassi del maestro bellunese.
È d’aiuto, nella comprensione dell’evoluzione dell’autore, la presenza di opere datate per stabilire un coerente percorso stilistico: tra queste un Paesaggio campestre con contadine e fanciulli (collezione privata), datato 18 agosto 1742; al 1744 si datano due Paesaggi con contadine e ragazzi (Windsor, collezioni reali) e due Paesaggi con pastorelle (già in collezione Viezzoli a Genova).
Il Cicerone che scopre la tomba di Archimede e il Sileno poeta e filosofo, oggi scomparsi, furono dipinti per Federico II di Prussia fra il 1743 e il 1745; di loro sopravvive una testimonianza attraverso due repliche del 1746-47 eseguite per il castello di Sanssouci a Potsdam. Le tele furono commissionate dal re attraverso il tramite di Francesco Algarotti, tra i principali intellettuali veneziani del Settecento e figura emblematica del collezionismo in città, che aveva ricevuto l’incarico di raccogliere una serie di opere rappresentative delle principali scuole italiane. Le due opere di Zuccarelli, unico paesaggista coinvolto dal critico, insieme a quelle di Amigoni, Piazzetta, Pittoni e Tiepolo, dovevano illustrare la scuola veneziana.
La lettura progressiva delle opere lascia presupporre da parte di Zuccarelli il raggiungimento di una pittura sapientemente modulata, capace di bilanciare orientamenti diversi e per certi versi opposti. Le tele mostrano anche la capacità di destreggiarsi, seppur con esiti alterni, in una pittura di paesaggio che a seconda del soggetto assume una particolare declinazione: dal racconto storico immerso nel paesaggio del Cicerone, alla vitalità «orgiastica» (ibid., p. 326) del Sileno, fino al nutrito gruppo di Paesaggi con pastorelle, che stabiliscono un canone nella produzione zuccarelliana per la capacità di ideare composizioni in cui piccole figurette si armonizzano in scenari grandiosi memori della lezione di Canaletto, da cui il pittore deriva sapienza prospettica e uso enfatico della luminosità.
Fondamentale, in questa chiave interpretativa, è l’Incontro tra Isacco e Rebecca (1743), parte di un gruppo di sette tele, che può essere considerato il primo lavoro importante di Zuccarelli per Smith: una serie che presenta una «contaminazione così ben riuscita tra classicismo romano, lezione riccesca e colorismo veneto» da recare «il sigillo del poliedrico mercante inglese» (Spadotto, 2007, p. 21).
Sono molti i lavori che in questi anni l’artista eseguì per il console britannico. Tra questi, una posizione di primo piano è occupata da un gruppo di undici sovrapporta, continuazione di una serie di tredici tele di analogo formato commissionate a Canaletto e raffiguranti architetture palladiane in forma di capriccio. A questo primo ciclo s’innestano idealmente due vedute di commissione di Algarotti, l’Interno della chiesa del Redentore e S. Francesco della Vigna (Milano, collezione privata), dipinte in collaborazione con Antonio Visentini, che curò la descrizione pittorica degli edifici, e Gian Domenico Tiepolo, che tratteggiò le figurette. Nel 1746 fu portata a compimento la seconda parte del ciclo, dedicata al neopalladianesimo in Gran Bretagna, rappresentato dalle architetture di Inigo Jones e dei suoi contemporanei. Compito di Zuccarelli, in entrambi i cicli, fu di creare scenari paesaggistici suggestivi e adatti a ospitare le architetture.
I sovrapporta diedero avvio a un fortunato filone che, sfruttato dagli stessi interpreti, generò una serie di quattro dipinti per un committente ignoto, oggi in collezioni private. In queste opere, sempre fondate sul nesso architettura-paesaggio, si ribaltano gli equilibri: è il paesaggio, popolato da figure di dimensioni rilevanti, ad assumere la predominanza sulle architetture palladiane (tra cui S. Giorgio Maggiore, la chiesa del Redentore, la Rotonda), relegate sullo sfondo, elemento funzionale ma non preponderante. Sono quadri esemplificativi di quella produzione che la critica definisce «arcadia» zuccarelliana (ibid., p. 28) e che avrebbe trovato una piena formulazione solo negli anni Cinquanta del secolo.
Allo stesso ambito si riconducono una serie di Capricci di Bernardo Bellotto (Parma, Galleria Nazionale), in cui, tuttavia, a Zuccarelli fu demandato solamente di animare il paesaggio con figurette di ascendenza canalettesca, a rimarcare ancora una volta la propria versatilità.
Verso la fine del decennio si registrano alcuni spostamenti a Bergamo e dintorni, ovvero un ritorno nelle terre lombarde suggerite dall’amicizia di vecchia data con il conte Tassi. Questi, nel corso degli anni Quaranta, aveva commissionato a Zuccarelli alcune opere, fino alla prestigiosa serie di ritratti che avrebbero dovuto essere tradotti in incisione per accompagnare i medaglioni biografici delle Vite che il nobile amatore stava redigendo. Nel 1748, durante uno di questi soggiorni, l’artista eseguì una pala per la chiesa di S. Bartolomeo a Brescia (S. Girolamo Emiliani con orfanelli e la Vergine in gloria con il Bambino, Chiari, Pinacoteca Repossi). Al 1750 risulta completata una serie di sette sovrapporta con paesaggi idillici venati di contaminazioni mitologiche, e declinati secondo il gusto rococò, per il conte Renato Borromeo, in cui Zuccarelli ribaltava l’impostazione delle opere di analogo formato eseguite per Smith, invertendo il rapporto di predominanza fra architetture e paesaggio.
Dai Notatori Gradenigo sono state desunte le date del primo spostamento di Zuccarelli in Inghilterra, compreso fra il 1751 (o 1752) e il 1762. Il viaggio, promosso o comunque caldeggiato da Smith, si rivelò un grande successo commerciale, poiché l’artista seppe abilmente intercettare i gusti dei collezionisti britannici. Questi, orientati al classicismo di Lorrain o al naturalismo di Salvator Rosa, trovarono nella particolare declinazione del paesaggismo bucolico data dal pittore un linguaggio che corrispondeva alle loro aspettative grazie alla sapiente ripresa del classicismo delle origini, seppur non privo di brani realistici limitati a singoli episodi. Ad esempio, nella Festa campestre del 1753 (Milano, collezione privata), le figurette, lontane dagli idilli arcadici, si ponevano nella scia di Fra Galgario, la cui conoscenza avvenne probabilmente durante i frequenti soggiorni nell’area bergamasca (ibid., p. 35).
Zuccarelli non apportò sostanziali modifiche al proprio stile. Tra gli esempi principali della produzione canonica è stato rilevato come in molti di questi Paesaggi replicasse un modulo incentrato sulle reminiscenze dei soggiorni bergamaschi, negli episodi di vita agreste e nella particolare declinazione dei paesaggi avvicinati a quelli delle Prealpi lombarde e venete (Pallucchini, 1995, p. 330).
Il primo soggiorno inglese si segnala per una serie di scambi culturali e artistici: Zuccarelli esercitò una profonda influenza su una generazione di giovani autori locali, tra cui Richard Wilson. Allo stesso modo subì il fascino di temi legati indissolubilmente ai generi pittorici diffusi in Inghilterra, ovvero il vedutismo esemplato in opere quali la Veduta della collina di Richmond lungo il Tamigi presso Twickenham in collezione privata, e alla letteratura nazionale, tra cui Macbeth e le streghe (da Shakespeare), anch'esso in collezione privata, che conobbe fra i contemporanei un grandissimo successo.
In questi anni Zuccarelli esibì una versatilità pittorica che gli permise di variare i registri stilistici e di mostrare un analogo eclettismo nella scelta dei diversi soggetti rappresentati, oscillando fino a episodi religiosi o derivati dalla storia antica.
Un secondo soggiorno in Inghilterra fu intervallato da un biennio veneziano durante il quale Zuccarelli ottenne la nomina a membro dell’Accademia di belle arti il 16 gennaio 1763. Ritornato oltre la Manica al termine del 1764, vi si trattenne fino al 1771. Fu questo un periodo di riconoscimenti ufficiali: partecipò in modo ininterrotto alle esposizioni della Royal Academy, fin dalla prima, nel 1769; della stessa istituzione aveva ricevuto anche la nomina a membro fondatore da parte di re Giorgio III, dal quale ottenne la commissione per Il ritrovamento di Mosè (Londra, Buckingham Palace). L’interesse del sovrano per le opere dell’artista si era concretizzato nel 1762, quando acquisì l’intera collezione di dipinti di Smith, venendo così a costituire uno dei nuclei principali di opere zuccarelliane.
Zuccarelli ritornò a Venezia nel 1771; qui l’ambiente dominato dalla presenza di Pietro Longhi e dai Guardi lo spinse a reinterpretare il proprio repertorio alla luce dei nuovi modelli con cui confrontarsi. La critica ha proposto il Paesaggio con ponte, figura e statua (collezione privata) e il Banchetto in villa (Milano, FAI) come opere di confronto, rispettivamente con i Capricci di Francesco Guardi e gli episodi quotidiani narrati da Longhi, per misurare gli sforzi condotti dallo Zuccarelli nel rinnovarsi. Era un’adesione a moderne istanze di linguaggio e a temi che tuttavia non apparivano totalmente slegati dal fare pittorico impostato dall’artista sul ricordo dei modi di Ricci (Spadotto, 2007, pp. 42 s.).
Nel 1774, nonostante ricoprisse da due anni la carica di presidente dell’Accademia di belle arti di Venezia, Zuccarelli decise di abbandonare la città per ritornare a Firenze, dove nel 1777 ottenne la cattedra di nudo all’Accademia, tenuta fino alla riforma voluta dal granduca di Toscana Pietro Leopoldo nel 1784, e mantenne solidi rapporti con la nobiltà toscana.
La produzione dell’ultimo decennio, descritta in maniera sommaria dalle fonti coeve, è caratterizzata da una più aperta espressività, lontana dagli accordi cromatici e dalla pittura sfumata dei decenni precedenti.
Zuccarelli morì a Firenze il 30 dicembre 1788.
F.M.N. Gabburri, Vite de’ pittori (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. Palatino E.B.9.5, II); F.M. Tassi, Vite de’ pittori, scultori e architetti bergamaschi, II, Bergamo 1793, pp. 85-88; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia dal risorgimento delle belle arti fin presso al fine del XVIII secolo (1809), I, a cura di M. Capucci, Firenze 1968, pp. 206 s.; Il Settecento italiano (catal.), a cura di G. Fiocco, Venezia 1929, p. 33; G. Fiocco, La pittura veneziana del Sei e Settecento, Verona 1929, pp. 61, 68, 70, 79; G. Delogu, Pittori veneti minori del Settecento, Venezia 1930, pp. 116-136; G. Rosa, Z., Milano 1952; M. Levey, F. Z. in England, in Italian studies, XIV (1959), pp. 1-20; U. Baldini, Due inediti giovanili dello Z., in Scritti di storia dell’arte in onore di Mario Salmi, III, Roma 1963, pp. 351-357; Dal Ricci al Tiepolo. I pittori di figura del Settecento a Venezia (catal.), a cura di P. Zampetti, Venezia 1969, pp. 274-281; F. Z., 1702-1788. Atti delle onoranze, Pitigliano 1989, Firenze 1991; F. Dal Forno, F. Z. pittore paesaggista del Settecento, Verona 1994; R. Pallucchini, La pittura nel Veneto. Il Settecento, II, Milano 1995, pp. 314-334; F. Del Torre, Documenti per F. Z. a Venezia, in Arte veneta, LV (1999), pp. 179-183; F. Del Torre Scheuch, F. Z. [7], in La pittura di paesaggio in Italia. Il Settecento, a cura di A. Ottani Cavina - E. Calbi, Milano 2005, pp. 339-342; F. Spadotto, F. Z., Milano 2007 (con ampia bibliografia ulteriore); Ead., Z. tra emuli, imitatori e copisti, in L’impegno e la conoscenza. Studi di storia dell’arte in onore di Egido Martina, a cura di F. Pedrocco - A. Craievich, Verona 2009, pp. 324-329; F. Spadotto, Paesaggisti veneti del ’700, Rovigo 2014, pp. 115-130; Ead., F. Z. in Inghilterra. Genesi di un capolavoro, Sacelle di Sommacampagna, 2016.