PUSTERLA, Francescolo della
PUSTERLA, Francescolo della. – Nato forse ai primi del Trecento, appartenne a una delle maggiori famiglie milanesi; il padre era Macario Pusterla, mentre la madre era una non meglio individuata Fina (Litta, 1837, tav. III).
Nulla sappiamo della sua infanzia: le prime testimonianze riguardano la sua attività per conto del signore di Milano, Azzone Visconti, e risalgono al 1331, quando fece parte di un’ambasceria ad Avignone, in occasione della quale ottenne per il proprio figlio Ambrogio la concessione degli ordini minori e una prebenda canonicale «sub gratia expectativa» presso la cattedrale di Milano (Biscaro, 1919, p. 271). Il 12 aprile 1338, giorno di Pasqua, Pusterla e Pinella Aliprandi furono armati cavalieri da Azzone nella basilica di Sant’Ambrogio (G. Fiamma, Opusculum..., a cura di C. Castiglioni, in RIS2, XII, 4, 1938, p. 25), mentre l’8 febbraio 1340 partecipò con Matteo Visconti e altri cavalieri milanesi al torneo organizzato a Mantova per le nozze di Luigi Gonzaga (B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, I, 1978, p. 747).
Di Pusterla si conserva un interessante ritratto a opera del cronista Pietro Azario, che lo dipinge come il più ricco e il più fortunato tra gli ottimates milanesi consiglieri di Azzone Visconti: «dicior erat et felicior aliquo lumbardo» (P. Azario, Liber..., a cura di F. Cognasso, in RIS2, XVI, 4, 1939, p. 38). Non bastassero le ricchezze, Pusterla aveva preso in moglie anche la donna più bella e più nobile di Milano («pulcriorem et nobiliorem mulierem Mediolani habebat in uxorem»: ibid.), ovvero Margherita Visconti, figlia di Uberto, il fratello di Matteo il Vecchio. Dall’unione erano nati tre figli, di bell’aspetto e coraggiosi, Ambrogio, Filippo e Pagano (il nome di quest’ultimo compare in realtà solo in Litta, 1837, tav. III). Completava questo quadro idilliaco il riferimento al patrimonio di Pusterla, possessore di una delle più belle case in Milano («domum autem in Mediolanum habebant pulcriorem») e talmente ricco da poter essere detto un nuovo Giobbe («et certe alter Job potuit dici»).
Dietro toni tanto enfatici – appena velati da un richiamo alla lussuria – non è difficile scorgere un espediente narrativo, volto a creare un climax e rendere così ancora più clamorosa la successiva rovina di Pusterla. Malgrado questi artifici retorici, la cronaca di Azario coglie però lucidamente tutti gli elementi salienti della vicenda di Pusterla: i forti vincoli di solidarietà politica e di parentela con Azzone Visconti, il ruolo eminente dei Pusterla in Milano, le ingentissime ricchezze possedute. Su queste ultime, in particolare, le fonti documentarie offrono ampi e puntuali riscontri: Pusterla e il fratello Surleone possedevano un grande palazzo a Milano, nella vicinia di San Sebastiano, detta anche di S. Giorgio al Palazzo, a Porta Ticinese; rientravano poi tra i beni di Pusterla la vasta possessione di Carpiano, nonché diverse terre concesse a titolo feudale dal monastero di Santa Cristina e site a Chignolo Po, Montemalo e Monteregale (Noto, 1953, p. 211; Archivio di Stato di Milano, Atti di governo, feudi camerali p.a., b. 205).
A rafforzare il prestigio e l’influenza dei Pusterla era poi il rapporto con alcune istituzioni ecclesiastiche milanesi: la chiesa di San Francesco Grande, dove il padre e la moglie di Pusterla avevano fondato due distinte cappelle (Rossetti, 2015, p. 194), e la chiesa di San Sebastiano, di cui il casato aveva dal 1319 il patronato e dalla quale partiva una volta all’anno la cosiddetta Facchinata del cavallazzo, sorta di omaggio dei facchini della città ai Pusterla, con successiva oblazione in cattedrale (Litta, 1837, tav. III).
Nell’estate del 1340 le cronache testimoniano tuttavia un brusco mutamento nella condizione di Pusterla: da quella di uomo più ricco della Milano del tempo, a quella di fuggiasco su cui pendeva l’accusa di avere complottato contro Luchino. A doversi difendere dalle accuse del Visconti furono anche i figli di Pusterla, Ambrogio e Filippo, il fratello Surleone, la moglie Margherita, e alcuni dei nomi più in vista della società ambrosiana, quali i fratelli Pinella e Martino Aliprandi, Borrolo da Castelletto e Bronzino Caimi. Ma la congiura aveva dimensioni ancora più ampie, coinvolgendo il conestabile Enrico di Rubersteg e Calcino Tornielli, già signore di Novara, poi arrestato e processato per eresia dall’arcivescovo Giovanni Visconti (Noto, 1953, p. 218). Riferisce Bernardino Corio (Storia di Milano, cit., p. 748) che anche i fratelli Bernabò e Galeazzo Visconti, nipoti di Luchino, avrebbero partecipato alle trame.
Secondo Azario, a propiziare il complotto sarebbe stata la moglie di Pusterla, Margherita, offesa dalle proposte indecenti del cugino Luchino (P. Azario, Liber, cit., p. 39). L’ampiezza del fronte dei congiurati lascia però immaginare un ben più esteso e radicato malcontento verso il governo del signore di Milano e lo stesso cronista novarese offre qualche indizio, alludendo all’orientamento dichiaratamente ostile di Luchino verso i consiglieri del predecessore, ai suoi occhi colpevoli non solo di avere collaborato con una figura a lui invisa (che lo aveva marginalizzato e che gli aveva fatto uccidere il fratello Marco), ma anche di essersi enormemente arricchiti proprio grazie ad Azzone («cum eo in infinitum facti fuerunt opulenti», P. Azario, Liber, cit., p. 39). I dettagli del piano contro Luchino rimangono ignoti, così come i progetti per la successione al governo di Milano. Qualcosa in più, invece, le cronache raccontano dell’infelice esito della congiura. Determinante per il suo fallimento fu, secondo Bonincontro Morigia, il tentativo di Surleone Pusterla di allargare la cerchia dei congiurati al cognato Alpinolo da Casate: questi infatti ne informò il fratello Ramengo, che subito avvisò Luchino, con il quale condivideva un’antica avversione per Azzone e tutti i suoi fautori (B. Morigia, Chronicon Modoetiense, a cura di L.A. Muratori, in RIS, XII, 1728, col. 1176).
Mentre molti dei congiurati venivano arrestati – e tra questi anche Margherita Visconti –, Pusterla con i figli Filippo e Ambrogio Surleone riuscì ad abbandonare Milano il 20 luglio 1340 per trovare riparo ad Avignone, dove rimase fino a quando la riconciliazione fra Benedetto XII e i Visconti non gli suggerì di fuggire nuovamente. L’8 agosto 1341 Pusterla e i figli giunsero così a Pisa, ma anche la città toscana si rivelò presto insicura. Bisognosi dell’aiuto visconteo contro Firenze, i pisani fecero infatti arrestare i tre Pusterla, consegnandoli a Luchino alla fine di settembre. Sottoposti a processo, furono condannati a morte dal podestà di Milano il 17 novembre 1341 e pochi giorni dopo decapitati nella piazza del broletto nuovo.
Gli ingenti beni di Francescolo, valutati ben 200.000 fiorini d’oro (G. Fiamma, Opusculum, cit., p. 39), furono confiscati e nel corso degli anni riassegnati: il palazzo in Milano, destinato a ospizio per i mercanti stranieri (Albergo della Balla) fu concesso a Maino Maineri, mentre la ricca possessione di Carpiano, vicino a Melegnano, dopo essere stata affittata dalla Camera signorile per ben 825 fiorini l’anno, fu donata nel 1396 da Gian Galeazzo Visconti alla certosa di Pavia. Alla congiura di Francescolo si è ispirato Cesare Cantù, che nel 1834 compose il romanzo storico dal titolo Margherita Visconti.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Atti di governo, Feudi camerali p.a., b. 205, fasc. 1185-1396; Archivio dei Luoghi Pii Elemosinieri di Milano, Poderi, Carpiano, b. 1869, fasc. 1; B. Morigia, Chronicon Modoetiense, a cura di L.A. Muratori, in RIS, XII, Milano 1728, coll. 1176 s.; P. Azario, Liber gestorum in Lombardia, a cura di F. Cognasso, in RIS2, XVI, 4, Bologna 1939, pp. 38 s.; G. Fiamma, Opusculum de rebus gestis ab Azone, Luchino et Iohanne Vicecomitibus, a cura di C. Castiglioni, in RIS2, XII, 4, Città di Castello 1938, pp. 25, 39; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, I, Milano 1978, pp. 748 s.; C. Cantù, Margherita Pusterla, a cura di M. Sirtori, Milano 2006.
P. Litta, Le famiglie celebri d’Italia, Milano 1837, Della Pusterla, tav. III; C. Magenta, I Visconti e gli Sforza nel castello di Pavia e loro attinenze con la Certosa e la storia cittadina, II, Milano 1883, pp. 5-8; A. Abruzzese, Della Lega dei Pisani con Luchino Visconti nell’impresa di Lucca, in Studi storici, III (1894), p. 334; G. Biscaro, Le relazioni dei Visconti di Milano con la Chiesa. Giovanni XXII e Azzone, in Archivio storico lombardo, XLVI (1919), p. 177, XLVII (1920), pp. 267-270; A. Noto, Liber datii mercantie communis Mediolani: registro del secolo XV, Milano 1950, pp. 62 s.; Id., La congiura Pusterla negli atti di una rivendicazione patrimoniale, in Archivi d’Italia, s. 2, XX (1953), 4, pp. 211-236; F. Cognasso, L’unificazione della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V, Milano 1955, pp. 286 s., 300; A.R. Natale, Archivi milanesi del Trecento, in ACME, XXIX (1976), 3, pp. 263-285 (in partic. pp. 269-274); B. Betto, Il testamento del 1407 di Balzarino Pusterla, milanese illustre e benefattore, in Archivio storico lombardo, CXIV (1988), pp.265 s.; E. Rossetti, «Arca marmorea elevata a terra per brachia octo». Tra sepolture e spazi sacri: problemi di memoria per l’aristocrazia milanese del Rinascimento, in Famiglie e spazi sacri nel Rinascimento, a cura di L. Arcangeli et al., Milano 2015, p. 193.