FRANCHI, Antonio, detto il Lucchese
Nacque il 14 luglio 1638 a Villa Basilica, nei pressi di Lucca, da Giovanni e da Lorenza Grassi. Come scrisse nell'autobiografia - che, ripresa e integrata da F.S. Baldinucci, costituisce la fonte primaria per la sua attività fino al 1657 (Vita di me Antonio Franchi, pubblicata in Nannelli, 1977, pp. 321-324, n. 6) - venne avviato undicenne alla pittura dal padre, "capitano" della milizia locale, il quale, benché avesse studiato da pittore, non praticava l'arte; nel contempo un fratello sacerdote, anche lui con trascorsi di pittore, lo istruì nello studio della musica e del clavicembalo, portandolo con sé a Pescia tra 1649 e 1650.
Tra i quattordici e i sedici anni il F. fu a Lucca, dove si formò nel composito tessuto artistico locale: frequentò dapprima la bottega di G.D. Ferrucci, allievo di C. Dandini, che poi lasciò, insoddisfatto, per seguire M. Boselli, di poco più anziano, già alunno di P. Guidotti a Roma: contemporaneamente, scrive il F. nell'autobiografia parlando di sé in terza persona, "si diede anche allo studio dell'architettura e prospettiva" (ibid., p. 322) e si impratichì all'accademia del nudo di P. Paolini.
Cresciuto nel solco della tradizione toscana, sull'esempio di V. Dandini e G. Gimignani, fra il sesto e il settimo decennio il F. si formò spaziando dal classicismo emiliano al barocco romano (scrisse difatti di aver tratto copie da G. Reni e da Pietro Berrettini da Cortona), con particolari influssi di C. Ferri, al neovenezianismo di stampo veronesiano mediato, oltre che dal Berrettini, dagli ultimi rappresentanti della tradizione lucchese, P. Testa, G. Coli e F. Gherardi (tutti peraltro legati anche a Roma).
Tornato a Villa Basilica, il F. vi rimase per un anno, terminando una Galatea abbozzata dal padre, eseguendo una copia da un dipinto di F. Ficherelli e realizzando i primi lavori autonomi: un Angelo custode, per la locale Compagnia del Corpus Domini, e una Madonna con s. Biagio e s. Giobbe, tutte opere delle quali non rimane oggi traccia. Nell'ottobre 1655 si recò a Firenze: dapprima fu introdotto dall'abate e pittore dilettante Ferdinando Capponi, nella bottega del Ficherelli, da cui si allontanò ben presto; in cambio di vitto e alloggio, dalla metà del 1656 fino a tutto il 1657, il F. ricorda di aver lavorato come copista per fra Roberto Strozzi, cui l'aveva indirizzato ancora il Capponi, non realizzando di suo che un Martirio di s. Romano per i frati del convento di S. Giovanni di Dio; nel frattempo approdò alla bottega di B. Franceschini (F. Baldinucci [1702], 1847), dove diede le prime prove della sua abilità di ritrattista.
Tornato a Lucca, il F. entrò al servizio del cardinale Girolamo Buonvisi, che servì per circa due anni come pittore, eseguendo, tra l'altro, un non meglio noto S. Martino che resuscita un bambino, e con il quale visitò forse Roma (Bartolozzi, 1754). La designazione del Buonvisi alla Legazione di Ferrara spinse il F. a separarsi dal suo mecenate: a Lucca, "seguitando a vestire l'abito chiericale", trascorse "cinque o sei anni lavorando molte opere, e tavole d'altare, e divertendosi in esperienze e studi filosofici, ai quali il suo genio molto inclinava" (F.S. Baldinucci [1725-1730 c.], 1975, p. 42).
Verso il 1666 il F. trascorse dieci mesi a Firenze, ove prestò nuovamente servizio per lo Strozzi e altri committenti, soprattutto come ritrattista e pittore di storie. Nel 1667 tornò a Lucca e, nello stesso anno, eseguì la Consegna delle chiavi per Capornano, presso Villa Basilica. Il 23 apr. 1668 sposò a Lucca Giulia Pucci.
Tre dei nove figli del F. sono ricordati da F.S. Baldinucci (ibid., p. 46): Giovanni Sebastiano, medico della corte medicea; Giuseppe, morto nel 1723, seguì la vocazione ecclesiastica dopo un promettente esordio come aiuto del padre; Francesco prese i voti come chierico regolare della Madre di Dio; degli altri resta documentazione nel fondo archivistico del F. studiato e schedato da Nannelli (1977).
A Lucca il F. si trattenne per altri sei anni, acquisendo la cittadinanza; coltivò l'amicizia di Giovanni Azzi, geometra della Repubblica di Lucca (F.S. Baldinucci [1725-1730 c.], 1975, p. 47), da cui ricevette insegnamenti in materia. Tra le opere pubbliche condotte in quel periodo per la città e il contado spiccano la pala coi Santi in adorazione della Trinità (1665: Lucca, S. Maria dei servi), quella col Battista e santi (Montecarlo, S. Andrea) e quella del Miracolo di s. Antonio (1670: Borgo a Buggiano, chiesa del Crocifisso).
Nel settembre del 1674 si trasferì definitivamente a Firenze. Esponenti delle principali famiglie fiorentine divennero suoi committenti e collezionisti: ad esempio C.L. Ughi, che possedeva tre sue opere (Corti, 1980); il marchese F. Corsini, per il quale nel 1681 eseguì il ritratto della moglie Lucrezia Rinuccini in veste di Flora (Firenze, Galleria Corsini); il marchese Folco Rinuccini, per il quale nel 1674 compì il Salomone che adora un idolo e il Tempio d'Amore (Firenze, palazzo Corsini) e portò a termine una Storia delle vergini sagge e delle vergini stolte, lasciata incompiuta da F. Furini (Cantelli, 1971).
Nel settembre 1683 il F. fu accolto all'unanimità nell'Accademia del disegno, all'interno della quale ricoprì più volte la carica di console (1684, 1699, 1705, 1706: Nannelli, 1977, p. 319 n. 4), avendo ricevuto la cittadinanza fiorentina, conformemente agli statuti accademici, come testimonia il F. stesso nella sua risentita "rettifica", stampata a Lucca nel 1707 (ibid., pp. 326-328 n. 13), alla breve e imprecisa biografia inserita dall'Orlandi nell'Abcedario pittorico del 1704. Nel 1686 fu nominato ritrattista e pittore della granduchessa Vittoria Della Rovere, madre del granduca Cosimo III, subentrando al fiammingo G. Sustermans, morto nel 1681, e ad altri artisti chiamati nel frattempo a fornire ritratti alla corte medicea, come P. Dandini e J.F. Voet. Nel corso della sua attività eseguì diversi ritratti per la corte esemplati sui coevi modelli francesi: nel 1687 il principe Ferdinando gli commissionò il ritratto della sorella Anna Maria Luisa de' Medici (Firenze, Uffizi), che è menzionato sin dal 1698 negli inventari di palazzo Pitti, quando si trovava nella camera dell'udienza del principe. Il F. realizzò anche diversi ritratti (non rintracciati ma ricordati da F.S. Baldinucci [1725-1730 c.], 1975, p. 43) di Ferdinando e della moglie Violante di Baviera; per gli appartamenti di quest'ultima compì, fra 1690 e 1691, un ciclo di ritratti di dame fiorentine e lucchesi (oggi nei Depositi delle Gallerie di Firenze). Eseguì inoltre mitologie galanti per la corte (Il giardino di Venere, 1684, per Ferdinando: Roma, palazzo di Montecitorio; Venere e amorini, 1694, per Violante: Firenze, Depositi delle Gallerie) e innumerevoli ritratti muliebri per i suoi nobili committenti (Ritratto di dama in veste di s. Caterina: Greenville, SC, Bob Jones University).
L'allogamento al F. di una pala d'altare da parte delle monache di S. Giorgio a Lucca nel 1688 provocò la rivalità tra l'artista e il Dandini, testimoniata da vari autografi del F. (Nannelli, 1977). Le sue ultime opere pubbliche riflettono le composizioni elaborate dalla pittura romana della seconda metà del XVII secolo: la Visione di Giuseppe Calasanzio (1694: ora in S. Giovannino degli scolopi a Firenze); la Madonna del Rosario (1694: Pescia, Prepositura); il S. Giovanni Gualberto in adorazione della Croce (1699: Vallombrosa, chiesa del convento). Tra 1695 e 1706 affrescò la Cappella del Battista in S. Frediano in Cestello a Firenze e nel 1709 dipinse per Federico IV di Danimarca, allora in visita a Firenze, il Sansone e Dalila ora a Copenhagen, Statens Museum for Kunst.
Notevole fu la sua attività di copista, sia dagli italiani (una sua copia del S. Marco di fra Bartolomeo è ancor oggi nell'omonimo convento fiorentino e fu eseguita nel 1692 per Ferdinando de' Medici, che trasferì l'originale nelle sue raccolte), sia dai fiamminghi (in particolare Rubens e A. Van Dyck), che fu commendata da F. Baldinucci in varie lettere (Nannelli 1977, p. 319 nota 3).
Del corpus grafico del F. sono noti oggi solo cinque disegni sicuri, più uno attribuito (Chiarini, 1984): i due disegni al Louvre, uno dei quali è un bozzetto per la pala in S. Giovannino degli scolopi, e i due al Musée des beaux-arts di Lilla sono riconducibili all'attività tarda mentre risale alla fase lucchese il foglio che si trova in collezione privata a Roma; tutti sono accomunati da una tecnica bozzettistica (peraltro tipica di alcuni maestri fiorentini secenteschi) che si giova di campiture monocrome ad acquerello con rialzi a ocra, talora a olio (Grassi, 1985).
Erudito e versatile il F. trascorse dalla teorica artistica alla filosofia, dall'etica alla musica, dalle scienze matematiche e geometriche alla meccanica. Il suo metodo di ricerca è da ricollegarsi (secondo F.S. Baldinucci [1725-1730 c.], 1975, p. 47), a quello galileiano, e si ricordano alcuni suoi "discorsi" (non giuntici) sul comportamento dei gravi, sulla forza elastica e la flessibilità dei solidi, sull'inizio del tempo, sulla questione del livello del mare e di quello della terra, sull'inesistenza dell'antiperistasi e sul libero arbitrio, ai quali si accompagnò un trattatello "intorno alla maniera di fare mulini sopra acque ferme e stagnanti"; rivelano un abito mentale legato al moderno sperimentalismo le sue polemiche con gli aristotelici e le sue instancabili misurazioni delle temperature delle polle d'acqua sgorganti dalle cavità ctonie, per dimostrare "che i luoghi sotterranei sono più caldi nell'estate, che nell'inverno".
Negli ultimi anni di vita il F. scrisse La teorica della pittura, trattato erudito improntato a un vago enciclopedismo e a un dichiarato classicismo che egli firmò in un primo momento col nom de plume di Toannio Chifran, e che non poté sottoporre a un'ultima revisione, come dimostra la lettera indirizzata pochi giorni prima della morte al pittore svizzero L.A. David (F.S. Baldinucci [1725-1730 c.], 1975, pp. 49 s.).
Pubblicato postumo nel 1739 a Lucca da G. Rigacci, che ne curò anche l'introduzione con una breve biografia del F., il volume si compone di ventitré capitoli con un'appendice, introdotta dal Rigacci, intitolata Instruzione per un giovane pittore desunta dal Cours de peinture par principes di R. de Piles (Paris 1708).
Il trattato, che si inserisce nella tradizione della teoria artistica toscana per l'importanza conferita al disegno e alla prospettiva, cerca di coniugare le velleità teoriche con uno spiccato indirizzo manualistico che si evidenzia nell'uso di schemi geometrici e disegni a fini dimostrativi e di lunghe descrizioni a carattere tecnico e pratico. Tra gli argomenti affrontati spicca la lunga dissertazione dedicata al trattamento delle luci (lume primario, piccolo e grande, mezzetinte, luci riflesse) e delle ombre, accompagnata da una dettagliata casistica di tipo ottico, meteorologico e prospettico, con una rassegna dei più tipici errori compiuti dai colleghi.
Il F. morì il 18 luglio 1709 a Firenze e fu sepolto nella chiesa di S. Felice in Piazza; il suo Autoritratto, eseguito su commissione del principe Ferdinando, è agli Uffizi.
Fu un importante figura di raccordo stilistico, nel suo classicismo cortonesco rivissuto alla luce di un'impostazione lucchese e temperato da una veste cromatica venezianeggiante, fra le varie facies del cortonismo toscano, nel suo tentativo "di acquisire quella che egli chiama la "maniera vaga", cioè fondata sul bello ideale" di derivazione reniana e berrettiniana (Gregori, 1977, p. 67).
Fonti e Bibl.: F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno…, IV (1688), Firenze 1846, p. 641; V (1702), ibid. 1847, p. 197; P. Orlandi, Abcedario pittorico, Bologna 1704, p. 83 (si veda anche l'ediz. del 1719, p. 79, con modifiche e aggiunte); F.S. Baldinucci, Vite di artisti dei secoli XVII-XVIII (1725-1730 c.), a cura di A. Mattioli, Roma 1975, pp. 41-52; S.B. Bartolozzi, Vita di A. F. lucchese, pittor fiorentino, Firenze 1754; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, Bassano 1809, pp. 244 s.; O. Giglioli, L'arcipretura di Lucignano in Val di Chiana, in Il Vasari, VI (1928), pp. 244-256; B. Gagliardi, A. F., tesi di laurea, Università di Firenze, a.a. 1970-1971; G. Cantelli, Precisazioni sulla pittura fiorentina del Seicento: i furiniani, in Antichità viva, X (1971), 4, p. 4; F. Borroni Salvadori, Le esposizioni d'arte a Firenze dal 1674 al 1767, in Mitt. des Kunsthist. Inst. in Florenz, XVIII (1974), 1, pp. 1-166; J. Cox-Rearick, Fra Bartolomeo's St. Mark Evangelist…, ibid., 3, p. 343; G. Ewald, in Gli ultimi Medici. Il tardo barocco a Firenze, 1670-1743 (catal.), Firenze 1974, pp. 232 s. n. 137; Id., Alcuni ritratti di ignoti del tardo barocco fiorentino, in Antichità viva, XIII (1974), 3, pp. 36-39; M. Gregori, Ricerche per A. F., in Paradigma, I (1977), pp. 65-89; F. Nannelli, A. F. e la sua "vita" scritta da F.S. Baldinucci, ibid., pp. 317-369 (con bibl.); S. Meloni Trkulja, I due primi cataloghi di mostre fiorentine, in Studi… in onore di U. Procacci, Milano 1977, II, p. 582; F. Gurrieri, La chiesa di S. Pietro apostolo di Borgo a Buggiano in una descrizione del Settecento, ibid., p. 594; G. Corti, La collez. Ughi in Firenze nel 1705, in Paragone, XXXI (1980), 367, pp. 69-79; C. Monbeig Goguel, in Dessins baroques florentins du Musée du Louvre (catal.), Paris 1981, n. 122, pp. 202 s.; K. Langedijk, The portraits of the Medici 15th-18th centuries, I, Firenze 1981, pp. 197, 205, 207, 274 s., 596; II, 1983, pp. 823, 1463, 1509; M. Chiarini, in Disegni e incisioni della raccolta Marucelli… (catal.), Firenze 1984, n. 93; R. Silva, La basilica di S. Frediano in Lucca…, Lucca 1985, p. 267; L. Grassi, Nota su A. F. disegnatore: un inedito, in Antichità viva, XXIV (1985), 1-3, pp. 70-74; A. Brejon de Lavergnée - N. Volle, Musées de France. Répertoire des peintures italiennes du XVIIe siècle, Paris 1988, p. 151; S. Bellesi, in La pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989, II, pp. 744 s.; E. Epe, Die Gemäldesammlungen des Ferdinando de' Medici, Marburg 1990, ad Ind.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XII, pp. 313 s.