Franchigia fiscale e coacervo di donazioni
Saldando gli esiti di recenti e ravvicinate sentenze della Cassazione, per stabilire se e in quale misura sia fruibile una delle franchigie dal tributo sulle liberalità istituito nel 2006, occorre tuttora tenere conto di tutte le anteriori liberalità soltanto quando si tratti di tassarne una ulteriore inter vivos e non anche per determinare il tributo dovuto su un lascito mortis causa; ne scaturiscono un’asimmetria dell’istituto e un vulnus sistematico forieri di implicazioni (anche costituzionalmente) impari e/o irragionevoli, forse, non del tutto insuperabili in via interpretativa.
L’origine dei tributi sulle successioni è antichissima1, probabilmente anche perché il fine vita è ineluttabile occasione di una successione patrimoniale e tra i momenti «più favorevoli per fare e per ottenere il pagamento di un tributo» (De Viti de Marco2). Un ostrakon tradotto da Brice Jones (Concordia University, Montreal) attesta il pagamento di una tassa di successione già nell’Egitto tolemaico. La Lex Iulia de vicesima hereditatum di Ottaviano Augusto istituì un’imposta a beneficio dell’aerarium militare con caratteri similari ai moderni tributi successori, che Caracalla estese e Giustiniano abolì, dopo aver fondato la successione sulla parentela naturale (cognatio). L’evento morte è stato mero antecedente di tasse “d’investitura” come il feudale cd. relevio ma anche di tributi propriamente sulle eredità, sui legati e sulle donazioni, come il cd. quintellum istituito, nel Cinquecento, dalla Repubblica di Venezia, con deroghe per i parenti più stretti. L’imposta italiana trae origine da una tassa sabauda, retaggio napoleonico di quel tributo sulle quote ereditarie che, nato in Francia nel primo Settecento come costola del registro, fu istituito, soppresso, e poi reistituito, con le Regie Patenti, anche nel Regno di Sardegna. Nonostante «ripugnasse al paterno core» del Sovrano, quella tassa fu autorizzata e, quindi, reintrodotta dal cavaliere Ignazio Thaon Di Revel «su tutte le successioni, lasciti e donazioni a causa di morte», facendo eccezione per «quelle in linea diretta, tanto ascendentale che discendentale», perché fosse «meno gravosa» agli «amatissimi sudditi»3 e nel convincimento che fosse cosa «non del tutto legittima toccare i diritti successorii dei membri di famiglia»4. Anche l’imposta proporzionale sulle successioni e donazioni istituita nel Regno d’Italia (l. registro 21.4.1862, n. 585) fu analogamente “temperata” e questo tratto fondamentale sarà una costante nella successiva evoluzione normativa del tributo, in cui i flussi patrimoniali endo-familiari saranno esenti del tutto, o solo in parte, piuttosto che soggetti ad aliquote miti, a più complessi meccanismi mirati anche a obiettivi demografici5 e da ultimo – anche ai fini dell’imposta introdotta nel 2006 – a franchigie intassabili. Nel 1923 il tributo successorio fu reso autonomo (r.d. 30.12.1923, n. 3270), confermando invece per le donazioni la collocazione nella legge di registro (r.d. 30.12.1923, n. 3269), laddove rimasero sino a quando le liberalità inter vivos furono attratte al regime delle successioni6, con il d.P.R. 26.10.1972, n. 637. Questo decreto accorpò pure l’imposta istituita nel ’42 sull’asse ereditario (alla quale erano assoggettate anche donazioni e liberalità) a quella sulle quote di eredità, esentando da quest’ultima il coniuge e i parenti in linea retta. Analoga fu l’impostazione del t.u. del 1990, messa davvero in discussione soltanto a fine secolo, quando la mai sopita avversione per i tributi successori – sempre più elusi e atti a colpire i meno abbienti – alimentò il dibattito politico7 che portò, dapprima, al ritorno a un’imposta proporzionale sulle sole quote di eredità o legato, o della donazione, al netto di una franchigia pressoché generalizzata (ex art. 69 l. 21.11.2000, n. 342) – con aliquote modulate anche in base al grado di “parentela” – e ben presto a sopprimere del tutto anche questa imposta (art. 13 l. 18.10.2001, n. 383), assoggettando le sole donazioni e liberalità «a favore di soggetti diversi dal coniuge, dai parenti in linea retta e dagli altri parenti fino al quarto grado» (e oltre una certa soglia), «alle imposte per le operazioni a titolo oneroso».
Infine, qualche anno dopo, nel convertire in legge (l. 24.11.2006, n. 286) un decreto di tutt’altra impostazione (d.l. 3.10.2006, n. 262), fu istituita una nuova imposta «sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione», mediante un’insolita tecnica normativa. Anche per la contratta gestazione parlamentare, l’articolato enuncia presupposti, aliquote e franchigie escluse da prelievo (art. 2, co. 47 e ss., d.l. n. 262/2006, conv. con mod. dalla l. n. 286/2006), che riduce (essenzialmente) al diminuire dell’intensità dei tipi di relazione parentale o personale tra il beneficiario e il benefattore e combina con aliquote crescenti pressoché corrispondentemente, affidando ogni residuo aspetto ad un mero rinvio “materiale” omnibus al t.u. d.lgs. 31.10.1990, n. 346 (nel testo vigente il 24.10.2001), al netto delle disposizioni espressamente abrogate, o altrimenti incompatibili. In definitiva, i tributi sulle successioni e sulle liberalità hanno avuto un’evoluzione parallela e, a tratti, univoca, anche perché gravano su presupposti fondamentalmente omogenei e un qualche coordinamento è anche semplicemente utile a scoraggiare pratiche elusive. Per queste persino ovvie ragioni una disciplina calibrata sul complesso delle dinamiche patrimoniali soggette a quei tributi è pressoché una costante normativa e l’istituto fiscale del cd. cumulo o coacervo del donatum con il relictum (o delle sole donazioni) è stato in qualche modo esemplare, sia di quel nesso strutturale profondo, sia dell’esigenza di fare sistema: ha, cioè, caratterizzato e coordinato quei tributi almeno sino alla vigilia dell’istituzione dell’imposta del 2006 e dei recenti “asimmetrici” approdi della Cassazione, che sembrano infrangere quel sistema stesso.
La «riunione al relictum del valore delle donazioni fatte dal de cuius agli eredi e ai legatari» fu introdotta nel 1902, col passaggio da un’imposta sulle successioni proporzionale, ad una di tipo progressivo per scaglioni. Per «impedire elusioni della progressività delle aliquote con “l’espediente di suddividere valori ingenti con donazioni tra vivi agli stessi successibili, riducendo, così, le quote a cifre tassabili con le aliquote minori della scala”»8, occorreva ricondurre le quote ereditarie alla tariffa che ad esse competeva9; e a questo scopo l’art. 4 l. 23.01.1902, n. 25, stabilì che, al valore delle singole quote, fossero «aggiunte le somme soggette a collazione e le donazioni anteriormente fatte dall’autore della successione allo stesso erede o legatario».
Seguì una lunga stagione “di mezzo”, aperta dall’art. 3, r.d. n. 3270/1923, in cui «le donazioni fatte in vita dal de cuius all’erede od al legatario» costituirono base di partenza anche della liquidazione dell’imposta, determinata, poi, al netto di un’imposta teorica su quelle liberalità10.
Chiusa anche questa fase, con la legge delega del 1971 e il d.P.R. n. 637/1972, come poi nel t.u. del 1990, il coacervo dei benefici tornò ad avere la ratio originaria, cioè a costituire una maggiorazione «ai soli fini della determinazione delle aliquote» applicabili al «solo valore dei beni relitti», esclusa ogni “ritassazione” dei beni donati in precedenza11. Anche il cumulo del donatum ai fini dell’imposta sulle donazioni aveva questa esclusiva funzione; e se in un primo tempo fu desunto in via interpretativa, perché oltretutto era un complemento necessario alla progressività del tributo e corollario del «principio» (art. 8, punto 2, l. delega 9.10.1971, n. 825) di «assoggettamento delle donazioni ai medesimi oneri delle successioni»12, in seguito quella maggiorazione «pari al valore di tutte le donazioni anteriori» «ai soli fini della determinazione dell’aliquota» dell’imposta13 fu prevista anche espressamente (art. 57, d.lgs. n. 346/1990). In questa fase, le resistenze dell’Amministrazione, che sperimentava tecniche impositive alternative e ormai prive di ogni «appiglio legislativo»14, furono vinte15 facendo leva sul chiaro e «diverso orientamento normativo» per un cumulo ai soli fini dell’«aliquota applicabile» e al solo scopo di evitare l’elusione della progressività16.
Questo sistema rimase immutato sino a quando, nel 2000, l’imposta progressiva e sull’asse furono abolite e ne fu istituita una proporzionale sulle quote, con franchigia esente pressoché generalizzata. Il coacervo perse, così, la funzione di presidiare la progressività e, “per scelta” legislativa, fu combinato con la franchigia17 in un sistema univoco di determinazione dell’an e del quantum del prelievo sul complesso dei trasferimenti patrimoniali a titolo gratuito da (e in favore di) un medesimo soggetto18. Ai fini dell’imposta sulle successioni, fu previsto che la franchigia non trovasse applicazione nei limiti (di valore) in cui il beneficiario ne avesse già fruito ai fini dell’imposta sulle donazioni (artt. 7, co. 2-quater, e 56, co. 2 e 2-bis, d.lgs. n. 346/1990). E anche ai fini di quest’ultima imposta la franchigia fu riferita ai benefici cumulati nel tempo, avendo cura di eliminare (dall’art. 57, d.lgs. n. 346/1990) l’inciso normativo che riferiva quel cumulo alle aliquote progressive; viceversa, la disposizione che prevedeva il coacervo del donatum con il relictum «ai soli fini delle aliquote applicabili» (art. 8, co. 4, d.lgs. n. 346/1990), anche se ormai priva di ogni prospettiva applicativa, non fu né abrogata, né emendata di quell’inciso.
Il già vano dictum di questa disposizione rimase immutato anche nella riforma del 2006. Il legislatore istituì una nuova imposta proporzionale, rinviando residualmente al d.lgs. n. 346/1990, senza abrogarne la disposizione (art. 57) sul coacervo del donatum ai fini della franchigia dal prelievo su una donazione o altra liberalità, e, viceversa, abrogò espressamente quella (art. 7, co. 2-quater) che, dal 2000 al 2001, valse a riferire anche il cumulo di donatum e relictum alla franchigia dal tributo. Il legislatore gettò, così, le premesse per considerare l’istituto del cumulo superato “anche a questo effetto”, ma ai soli fini della tassazione di una successione; ed è proprio questa l’asimmetrica conclusione alla quale, recentemente, sembra essere giunta la Cassazione. Se consideriamo la “risultante” di alcune sue ravvicinate pronunce, infatti, la Corte, da un lato, ha considerato il cumulo di donatum e relictum un istituto ormai abrogato anche ai fini delle franchigie esenti da tributo (Cass., 6.12.2016, n. 24940 e 16.12.2016, n. 26050) e, dall’altro, invece, ha confermato necessario il coacervo delle donazioni per stabilire se e in quale misura il beneficiario possa fruire della franchigia ai fini della tassazione di un’ulteriore liberalità inter vivos (Cass., 11.5.2017, n. 11677).
Secondo la Cassazione, il cumulo del donatum con il relictum «al fine di determinare l’aliquota» del tributo sulle successioni è stato implicitamente abrogato «per incompatibilità applicativa» già con il passaggio (ex art. 69, l. n. 342/2000) da un’imposta progressiva a un’imposta proporzionale, che, di fatto, ha «svuotato di ogni contenuto e residua sfera di possibile applicabilità» la relativa previsione normativa (art. 8, co. 4, d.lgs. n. 346/1990): cioè, «per effetto della formale modificazione del regime impositivo di riferimento contenuto in un’altra disposizione; modificazione a seguito della quale la prima disposizione non ha più ragione, né modo, di operare»19.
«Né può ritenersi che» quel «cumulo ex art. 8 cit. sia tuttora vigente al residuale fine di individuare la base imponibile al netto della franchigia esente da imposta». Da un lato, infatti, «lettera e ratio» di quella disposizione erano (e sono) «inequivoche» nel limitarne la rilevanza «“ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili”, e non altrimenti»20. Dall’altro, «la l. 286/2006 ha rimodulato il regime di franchigia sull’imposta di successione e sulle donazioni (art. 2 co. 49), anche mediante abrogazione (co. 52) della disposizione (co. 2-quater), che nel 2000 (ex art. 69, l. n. 342) fu necessario aggiungere all’art. 7, d.lgs. n. 346/1990, per inibire la fruizione della franchigia sulla prima imposta qualora già fatta valere, e fino alla concorrenza del valore di fruizione, sulla seconda». «Dal che si evince» – conclude la Corte – un «ulteriore e definitivo elemento di incompatibilità del ‘cumulo’»21 di donatum e relictum con il chiaro dettato normativo che, ai fini dell’imposta sulle successioni, nel 2006 ne ha sancito il superamento “ad ogni effetto”.
Queste conclusioni smentiscono le tesi dell’Agenzia delle entrate22 ma sono condivise da parte della dottrina23 e anche da chi24, ciononostante, profilò la possibilità di confermare il cumulo di donatum e relictum ai fini della franchigia, nel tentativo di rimediare al vulnus sistematico-costituzionale prodotto dalla mancata abrogazione di quell’art. 57, d.lgs. n. 346/1990, che, non essendo neanche «incompatibile» (ai sensi dell’art. 2, co. 50, d.l. n. 262/2006) con la nuova imposta, prescriverebbe tuttora il coacervo del donatum ai fini della franchigia dal tributo dovuto sulle donazioni o su altre liberalità.
La richiamata dottrina, cioè, presagiva ciò che la Cassazione, con la recente e isolata sentenza 11.5.2017, n. 11677, ha confermato de plano e senza neanche menzionare la sua giurisprudenza sul superamento del cumulo di donatum e relictum “ad ogni effetto”. A dire della Cassazione, infatti, al fine di stabilire se e in quale misura sia fruibile la franchigia dal tributo su una liberalità inter vivos, il richiamato art. 57 imporrebbe, tuttora, di «tener conto» di «tutte le donazioni anteriormente fatte», «intese in senso civilistico come atti di liberalità del donante a favore del donatario». Oltretutto, contrariamente a ciò che aveva sostenuto parte della dottrina25, non sarebbero escluse neanche «le donazioni che erano fiscalmente irrilevanti perché poste in essere nel periodo dal 25.10.2001 al 28.11.2006»: cioè, le donazioni effettuate nel periodo in cui l’imposta sulle donazioni era stata soppressa.
La Corte considera queste conclusioni ineludibili anche «in un’ottica costituzionalmente orientata»: sia perché «una diversa interpretazione» «avrebbe l’effetto» di reintrodurre «una esenzione che, oltre a non essere prevista dalla lettera della norma, non è sorretta da una autonoma ratio legis»; sia perché quest’ultima «va individuata nella volontà del legislatore di determinare l’imposta in proporzione alla capacità contributiva, e dunque tenendo conto del fatto che il beneficiario di donazioni che, nel loro complesso, superano di valore il milione di euro non può ragionevolmente godere della franchigia prevista».
In conclusione, saldando gli esiti ai quali la Cassazione è giunta con sentenze ravvicinate ma nelle quali ha sempre taciuto il sistema complessivo e ogni possibile asimmetria, le franchigie sarebbero erose dai benefici cumulati nel tempo soltanto quando si tratti di tassare liberalità inter vivos; il che vale quanto dire che il cumulo di quei benefici inciderebbe sull’an e sulla misura del prelievo in questo solo caso e non anche quando si tratti di determinare il tributo dovuto su un lascito mortis causa.
Questa asimmetria dell’istituto è un vulnus sistematico foriero di implicazioni – anche costituzionalmente – impari e/o irragionevoli, già diffusamente denunciate dalla richiamata dottrina. Da un lato, infatti, ne conseguirebbe una «disparità di trattamento tra due fattispecie (successione preceduta da donazione e donazione preceduta da altra donazione)», o «tra due situazioni (coacervo conseguente a donazione e coacervo conseguente a successione)», «perfettamente assimilabili» o «del tutto analoghe» e «specularmente disciplinate quanto meno fino alla l. n. 342/2000»26. Dall’altro, una rilevanza asimmetrica del coacervo (o cumulo) delle liberalità nel contesto di un tributo unitariamente concepito e regolato, come quello istituito nel 2006, non può che riverberarsi sulla ragionevolezza intrinseca delle scelte impositive compiute27, perché presuppone – e al tempo stesso implica – che queste ultime, pur essendo funzionali alla tassazione di modificazioni patrimoniali a favore di un medesimo beneficiario quantomeno analoghe o considerate tali, siano profondamente disomogenee, dando luogo ad un assetto costituzionalmente discutibile, pure da un punto di vista tributario sostanziale (artt. 3 e 53, Cost.)28.
Come vedremo, se il superamento del cumulo di donatum e relictum è una risultante normativa difficilmente controvertibile, forse non lo è altrettanto la vigenza dell’art. 57, d.lgs. n. 346/1992, e del solo coacervo delle donazioni.
Anche se probabilmente la frattura certificata dalla “risultante” dell’attuale giurisprudenza potrà essere ricomposta soltanto dal legislatore, non possiamo escludere un tentativo in via interpretativa e anche in un’ottica costituzionalmente orientata.
Il rimedio, tuttavia, non può essere riferire il cumulo di donatum e relictum alla franchigia dal tributo sulle successioni, mediante una interpretatio abrogans del qualificante inciso che, nel quarto alinea dell’art.. 8, d.lgs. n. 346/1990, lo riferisce chiaramente alla «determinazione dell’aliquota»29; anche perché il legislatore ha abrogato espressamente proprio la disposizione (art. 7, co. 2-quater, d.lgs. n. 346/1990) che serviva da giunzione tra cumulo e franchigia, e proprio per escludere quel coacervo “ad ogni effetto”, a meno di ulteriori supposizioni circa le ulteriori e diverse esigenze tecniche che avrebbero giustificato questo atto abrogativo.
Anche l’operazione inversa è non poco accidentata, ma se non altro la vigenza del coacervo delle donazioni ai fini della franchigia dalla relativa imposta è un esito ricostruttivo tutt’altro che scontato. Sebbene ricalchino in molta parte il testo di alcuni comma dell’art. 56, d.lgs. n. 346/1990, contestualmente abrogati, gli alinea di cui si compone il nucleo forte della riforma in questione, quantomeno, mancano di confermare la natura “diacronica” delle franchigie, ovvero l’applicabilità del cumulo delle donazioni effettuate nel tempo in favore di uno stesso beneficiario: tratto caratteristico della «maggiorazione del valore globale dei beni e dei diritti» prevista proprio da quell’art. 57 che la Cassazione, nella pronuncia del 2017, ha viceversa ritenuto dirimente. Ed è questo il “silenzio” che appare più eloquente e rilevante nella fattispecie; tanto più che il legislatore stesso, da un lato, considera il «valore globale dei beni e dei diritti» al solo scopo di individuare il valore complessivo destinato ad essere considerato anche ai fini della franchigia, nel contesto di una disposizione sostanzialmente autosufficiente (co. 49 dell’art. 2 cit.) che pone e regola anche presupposti e aliquote della nuova imposta sulle donazioni, e, dall’altro, “limita” il rinvio omnibus al d.lgs. n. 346/1990 a «quanto non disposto» in quegli alinea dell’articolato del 2006 («dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54») e alle sole «disposizioni» «compatibili» con quella novella disciplina ad hoc (cfr., l’art. 2 cit., co. 50), facendo «salvo» – ripetutamente – quanto ivi specificamente previsto (quanto ai «commi da 48 a 54» dell’art. 2, cfr. anche il precedente co. 47). Questi dati, per quanto superabili con un faticoso e alternativo lavorio di coordinamento non possono essere semplicemente elusi o, peggio ancora, ignorati – come sembra aver fatto la Cassazione nella sentenza del 2017 – specie in considerazione delle rilevanti implicazioni sistematiche che un esito non univoco dell’indagine sulla vigenza del cumulo delle donazioni è destinato a comportare e, per quanto sopra, del percorso ancor più accidentato che occorrerebbe intraprendere per rimediare all’asimmetria per la via opposta.
È pur vero che il co. 52 dell’art. 2 più volte richiamato abroga i soli alinea dell’art. 56 del d.lgs. n. 346/1990 di fatto sostituiti dal dictum del precedente co. 49, ma non si può escludere quantomeno de plano – come forse ha fatto anche la Cassazione – che il legislatore abbia inteso superare il cumulo dei valori donati con atti non contestuali e non “abusivamente” frazionati, per riferire le franchigie a ciascun atto di donazione considerato isolatamente; tanto più che, secondo la richiamata giurisprudenza del 2016, questo stesso meccanismo è stato superato ai fini dell’imposta sulle successioni e che ciò, obiettivamente, pone problemi di ragionevolezza (ex art. 3, Cost.) del complessivo assetto della tassazione delle liberalità.
D’altra parte, una franchigia riferita ai benefici cumulati nel tempo, per quanto potesse essere ragionevole e forse anche «preferibile» rispetto ad una «“moltiplicazione” delle franchigie in relazione al singolo atto»30, non era e non è una scelta obbligata, men che meno perché l’imposta sia proporzionata «alla capacità contributiva», come viceversa sostenuto dalla Cassazione nel 2017; così come non vi può essere rischio di un uso reiterato delle franchigie intassabili, se queste, come l’imposta, fossero riferite, dagli enunciati ad hoc della l. n. 286/2006 (art. 2, co. 48 e 49), non al complesso di quei benefici, ma al valore globale netto delle disposizioni effettuate, ovvero al singolo evento di modificazione patrimoniale a beneficio altrui di volta in volta considerato. In questa prospettiva, l’imposta è semplicemente liquidata sul valore eccedente quelle quote di valore escluse dal tributo, che il legislatore ha previsto soltanto per alcune categorie di beneficiari e ha diversificato in ragione della presumibile intensità di taluni qualificati e qualificanti rapporti personali o familiari tra benefattore e beneficiario. Oltretutto, a parità di beneficium patrimoniale, l’entità del tributo varia in ragione della tipologia di tali qualificati rapporti e delle aliquote pressoché corrispondentemente differenziate ed è, semmai, con riferimento ad una stessa categoria di beneficiari che l’utilizzo della franchigia determina un incremento percentuale dell’incidenza economica del tributo all’aumentare del valore del trasferimento e soltanto considerando quest’ultimo al lordo della franchigia stessa31.
Inoltre, la franchigia non può essere considerata un dato marginale o esterno alla fattispecie impositiva, che il legislatore potesse lasciare in balia delle complesse alchimie interpretative necessitate dall’infelice tecnica di rinvio utilizzata; e, quindi, anche quest’ordine di considerazioni potrebbe giocare un ruolo nella lettura del dato normativo del 2006 e nella ricostruzione dei relativi intenti ed esiti impositivi. In definitiva, ancora una volta il “peccato originale” l’ha commesso il legislatore32, persino consapevolmente, perché presagiva i rischi insiti al residuale rinvio materiale omnibus cui ha fatto ricorso per disciplinare un tributo che non ha semplicemente reistituito, al punto di presidiare il nucleo forte della novella disciplina con una doppia clausola di compatibilità. Probabilmente soltanto il legislatore potrà chiarire33, ma ogni tentativo di superare l’impasse in via interpretativa anche in un’ottica «costituzionalmente orientata» (artt. 3, 23 e 53, Cost.), non può prescindere da questo chiaro intento di salvaguardare le pur “discutibili” scelte impositive sottese agli enunciati normativi ad hoc del 2006 da ogni possibile contraddizione o inoculazione asistematica, né ignorare che il frammento normativo che prevede il coacervo delle donazioni (art. 57) è “muto” o “eloquente” al meno quanto gli interventi compiuti e mancati sulla disciplina del cumulo di donatum e relictum.
1 Cfr., Cardarelli, S., Tributi successori, in Enc. dir., XLV, Milano, 1992, 153 e Fedele, A., Riforma dell’imposta sulle successioni e donazioni come esito dell’evoluzione storica del tributo, in AA.VV., L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Milano, 2001, 39.
2 Cfr., Marongiu, G., La riforma dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni, in Dir. prat. trib., 2000, 5, 1284 ss., § 2.
3 Raccolta degli Atti del Governo di S.M. il Re di Sardegna (1814-1832), XI, Torino, 1845, 233234.
4 Ricca Salerno, G., L’imposta sulle successioni in Italia, in Nuova Antologia, 1897, maggio, 106130.
5 L’esenzione fu progressivamente ridotta (r.d.l. 30.4.1930, n. 431) e, poi, condizionata anche a stato civile e numero di figli (r.d.l. 26.9.1935, n. 1749), sino al secondo dopoguerra (cfr., d.l.l. 8.3.1945, n. 90; l. 12.5.1949, n. 206): cfr., Turchi, A., La famiglia nell’ordinamento tributario (Parte II). Tra favore e limiti di sistema, Torino, 2015, 354357.
6 Collocazione più adeguata: Fedele, A., Il regime fiscale di successioni e liberalità, in Trattato breve delle successioni e donazioni, II, Padova, 2010, 579.
7 Camera dei Deputati, Discussione sulle linee generali -A.C. 6062, seduta n. 594, 1.10.1999.
8 Relazione ministeriale alla l. 25.1.1902, n. 25, all. C., e C. cost., 11.12.1989, n. 537.
9 Serrano, F., Le imposte sulle successioni, in Giannini, A.D., a cura di, Trattato di diritto tributario, III, Torino, 1968, 308-309.
10 Artt. 5, r.d.l. n. 431/1930, e 4 e 10, d.l.l. n. 90/1945; cfr., Uckmar, A., La legge del registro, libro II, Padova, 1958, 174175, e Cass., 4.9.1997, n. 8489.
11 C. cost. n. 537/1989.
12 Cass., 5.2.1991, n. 1073.
13 Cass., 5.11.1991, n. 11789. Cfr., altresì, Cass., 6.3.1992, n. 2722; Cass., 28.4.1992, n. 5054; Cass., 19.4.1996, n. 3746; Cass., 1.9.1998, n. 8675; Cass., 23.5.2001, n. 7018; C. cost. n. 537/1989.
14 Cass., 14.3.2007, n. 5972 e cfr., Cass., 10.4.2006, n. 8335.
15 Cfr., Cass., 19.12.2008, n. 29739; Cass., 30.10.1997, n. 22929; Cass., 10.12.2007, n. 25772.
16 Così, Cass., 4.9.1997, n. 8489.
17 In quel contesto, fattore di progressività: Fedele, A., L’imposta, cit., 6192.
18 Critico, su questo aspetto, Stevanato, D., Le liberalità tra vivi nella riforma del tributo successorio, in AA.VV., L’imposta, cit., 275.
19 Cass. n. 24940/2016 e n. 26050/2016,; cfr. Mastroiacovo, V., Abrogazione tacita del coacervo ai fini dell’imposta sulle successioni, e Denora, B., Imposta sulle successioni: il coacervo del donatum con il relictum non serve più?, in Riv. dir. trib., Suppl., Online, 11.1.2017.
20 Cfr., Cass., n. 26050/2016.
21 Cass., n. 26050/2016.
22 Agenzia entrate, circ., 22.1.2008, n. 3/E, §. 3.2.3.
23 Friedmann, U., Il coacervo nelle donazioni e nelle successioni, in Quad. Fond. it. not., 3, 2008; Id., Innovazioni e modificazioni in materia di imposta sulle successioni, in AA.VV., L’imposta, cit., 223 ss., e CNN, Studio n. 113/2000/T; Mastroiacovo, V., La Cassazione sancisce l’abrogazione tacita del coacervo del donatum con il relictum, in Riv. dir. trib., 2017, 1, II, 90 ss. Contra, La Rosa, S., Principi di diritto tributario, Torino, 2016, 197; Marongiu, G.Marcheselli, A., Lezioni di diritto tributario, Torino, 2013, 303; Russo, P.Ghinassi, S., Manuale di diritto tributario (parte speciale), Milano, 2009, 390 ss.; Bellini, L., La «nuova» imposta sulle successioni e donazioni: reintroduzione delle disposizioni del d.lgs. n. 346/1990 e coordinamento con i provvedimenti successivi, in Il fisco, 2006, 47, 1, 7230 ss.; Dus, S., La reintroduzione dell’imposta sulle successioni e donazioni: vecchi e nuovi problemi, ivi, 2007, 8, 1, 1075 ss. Cfr., Basilavecchia, M., Corso di diritto tributario, Torino, 2017, 298. Secondo Fedele, A. ( Ha ancora senso il coacervo delle donazioni? La difficile conciliazione di dati testuali ed esigenze sistematiche, in Riv. trim. dir. trib., 2017, 234 ss.) ogni esegesi dà esiti aleatori ma sarebbe sistematicamente preferibile una franchigia sempre sul cumulo delle liberalità.
24 Ghinassi, S., L’istituto del “coacervo” nella nuova imposta sulle successioni e donazioni, in Rass. trib., 2007, 3, 737 ss. e, spec., sub § 2; cfr., altresì, Lancelotti, N., Il coacervo nell’imposta di successione e donazione: brevi note a margine di una pronuncia di merito, in Dir. prat. trib., 2013, 5, 805 ss.
25 Cfr., Gaffuri, G., L’imposta sulle successioni e donazioni, Padova, 2008, 454455; Mastrolacovo V., Il cumulo di «donatum» e «relictum» nella «nuova» imposta successoria, in Corr. trib., 2007, 21, 17171718; Ghinassi, S., L’istituto, cit., § 3.
26 Cfr., Ghinassi, S., L’istituto del “coacervo”, cit., § 2; Friedmann, U., Il coacervo, cit.; Masotroiacovo, V., La Cassazione, cit., 100; Arginelli P.Maisto F., Regole sul coacervo: eredità e donazioni con destini separati, in Il Sole 24 Ore, 5.1.2017, 32.
27 Cfr., CNN, Studio n. 168/2006/T, 11, e Puri P., Riflessioni sulla sopravvivenza del coacervo, in Notariato, 2017, 1, 77.
28 Una «nuova configurazione» di queste imposte, arbitraria e irrazionale, è certamente sindacabile: C. cost., 15.7.1997, n. 236.
29 Cfr., Ghinassi, S., op., ult. cit.
30 Mastroiacovo V., op. ult. cit., 102.
31 Cfr., Fedele, A., Un’invenzione giurisprudenziale: l’imposta fissa sulle donazioni in franchigia!, in Riv. dir. trib., Suppl., Online, 6.4.2016 e Id., Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, 152-153.
32 Cfr., Scalinci, C., Dalla “pigra macchina” legislativa al dietrofront della Cassazione sull’esistenza di un’imposta «sulla costituzione dei vincoli di destinazione», in Riv. dir. trib., 2017, 1, II, 77 ss.
33 Cfr., Fedele, A., Ha ancora, cit., e Mastroiacovo V., op. ult. cit., 101-104.