RUSCA, Franchino
RUSCA, Franchino (II). – Nacque probabilmente intorno al 1360, il luogo non è noto, figlio di Lotario Rusca e di Enrica, figlia naturale di Bernabò Visconti; era nipote ex filio dell’omonimo Franchino Rusca (I) (v. la voce in questo Dizionario), signore di Como dal 1313 al 1335. Ebbe due fratelli, Giovanni (vescovo di Parma dal 1380 al 1412) e Baldassarre, e tre sorelle.
Dopo aver ceduto la signoria di Como ai Visconti (nel 1335) ed esserne stati spossessati anche per il dominio su Bellinzona (nel 1340), i Rusca rimasero comunque una famiglia di grande prestigio, espressero molti funzionari e podestà del dominio visconteo, conservarono una grande influenza in città e importanti beni fondiari e fortezze nel contado. Lotario, il padre di Franchino, fu podestà di Milano nel 1356 e nel 1372, nonché di un gran numero di altri comuni dello Stato. Franchino stesso, della giovinezza del quale non si sa molto, fu comandante militare e ambasciatore presso Alfonso di Sicilia per il duca Gian Galeazzo Visconti negli anni Novanta del Trecento.
La morte di Gian Galeazzo, il 3 settembre 1402, aprì una stagione di grande instabilità in tutta la Lombardia. Il figlio maggiore, Giovanni Maria, e la reggente, Caterina Visconti, ereditarono una situazione difficile. Le città soggette erano state oppresse dalla pesante politica fiscale di Visconti e turbate dall’assunzione del titolo ducale che rendeva, anche formalmente, i cittadini veri e propri sudditi: esse dunque non tardarono ad approfittare della situazione e della debolezza del nuovo governo per rivendicare una nuova autonomia.
Rusca si era posto al servizio del nuovo regime, il quale gli affidò il comando di cento lance: non è chiaro, dato che i cronisti discordano, se egli fosse di stanza a Pisa o a Parma (dove era vescovo suo fratello Giovanni). Quando però la situazione in Lombardia si fece più precaria e caotica, Rusca si affrettò a rientrare in patria. A Como, infatti, nel giugno del 1403 erano scoppiati gravi disordini, che coinvolsero la città e tutto il territorio, conteso fra guelfi e ghibellini. A capo di questi ultimi si pose Franchino, affiancato dal cugino Ottone, già capitano di Parma, che aveva ai suoi ordini una forza piccola, ma non trascurabile, di duecento lance.
Secondo la testimonianza di Bernardino Corio (Storia di Milano (1503), a cura di A. Morisi Guerra, 1978, p. 986), i Rusca si mossero su istigazione dei Rossi di Parma, che volevano allontanarli dalla loro città. Grazie alle truppe ai loro ordini, dopo alcuni duri scontri, nel luglio del 1403 Franchino e Ottone Rusca si impadronirono della città allontanando gli ufficiali ducali. Pochi mesi dopo, però, Caterina Visconti mosse il suo esercito contro la città ribelle e a novembre, sconfitte le forze dei Rusca in uno scontro presso Montorfano, Pandolfo Malatesta recuperò Como con le armi e la sottopose a un brutale saccheggio, prima di restaurarvi l’autorità viscontea. In seguito, i beni dei Rusca e dei loro seguaci vennero sequestrati e donati agli avversari della pars Vitanorum.
Cacciato da Como, Rusca si rifugiò con Ottone a Lugano e favorì la nascita dell’omonima comunità autonoma di valle, amministrativamente separata dalla città e sottoposta al suo dominio. Di qui proseguì la lotta contro i ducali e i loro alleati della fazione Vitana, conducendo una serie di incursioni nei territori della Brianza, che si arrestarono soltanto nel giugno del 1404, quando un intervento massiccio dell’esercito ducale lo obbligò a ritirare le sue forze a Lugano. In ostilità a Giovanni Maria Visconti Franchino cercò l’appoggio dei guelfi e dei figli di Bernabò Visconti, ai quali dette appoggio militare. Nel maggio del 1406 gli scontri fra i Rusca e i Vitani ripresero durissimi e causarono gravi danni in tutta la città e i sobborghi, per poi terminare con una nuova tregua in agosto, in occasione della quale Giovanni Maria attribuì a Rusca il titolo di conte di Lugano. Infine, nel 1408 egli trovò l’appoggio del potente condottiero Facino Cane, impegnato a costruire un proprio nucleo di potere a cavallo del Ticino, con l’obiettivo finale di impadronirsi di Milano. Grazie alla nuova alleanza, le forze di Rusca il 29 maggio 1408 riuscirono a entrare a Como, della quale Franchino assunse formalmente la signoria il 17 ottobre, dopo aver cacciato l’ultima guarnigione viscontea che ancora resisteva nel castello urbano della ‘torre Rotonda’. Con un decreto del 22 ottobre 1409 egli inserì tale data, nella quale si celebravano i santi Alessandro e Vittore, tra le festività obbligatorie.
La più importante testimonianza rimasta della signoria di Franchino Rusca su Como sono gli otto decreti da lui emanati fra il 1409 e il 1410 e subito inseriti nella raccolta degli statuti cittadini, che riguardano varie materie, dai processi civili ai provvedimenti annonari. L’ultimo di questi testi, che intendeva promuovere il rientro dei fuoriusciti e la conciliazione cittadina, presenta un vero e proprio manifesto politico con cui Franchino intendeva giustificare e legittimare il proprio potere.
Affermava infatti che la signoria sulla città gli era stata conferita «de solemni civium assensu», costruendo dunque un voluto contrasto con Giovanni Maria Visconti che, in quanto duca, pretendeva di governare senza il consenso della popolazione. Egli inoltre si proponeva come principe pacificatore, dichiarando di aver deposto ogni spirito di parzialità, e di voler governare per il bene comune, «in proprio nobis melius arbitrantes pacifice toti dominari quam parti». Aggiungeva però che, in realtà, tale unità andava ottenuta non superando le parti, ma aderendo compatti a una di esse (quella dei Rusconi) abolendo totalmente l’altra, quella dei Vitani, il cui nome sarebbe rimasto esclusivamente a denominare i «proditores et rebelles» del nuovo regime (Statuti di Como del 1335, a cura di G. Manganelli, 1945, pp. 278 s.). Franchino intendeva dunque costruire una dominazione a parole pacifica, ma totalmente sottoposta al suo controllo. È notevole, in particolare, che negli altri decreti si riferisse ai cittadini comaschi come ai suoi «sudditi», introducendo nel lessico politico locale un termine di grande pregnanza, che neppure i duchi di Milano avevano fino a quel momento osato utilizzare.
Dal testo di questi decreti risulta inoltre che Franchino portava il semplice titolo di signore di Como (dominus Cumarum), nominava il podestà urbano e il capitano addetto alla difesa, e aveva una piccola cancelleria, separata da quella del Comune, della quale l’esponente più importante pare esser stato un tale Bernardo. Volle inoltre sottoporre al suo controllo anche le provviste beneficiali, vietando agli ecclesiastici di impetrare cariche presso la Curia pontificia senza aver prima avuto il consenso del signore stesso.
I decreti di Rusca illustrano in modo efficace la difficile situazione della città sotto il nuovo dominio. Due norme del 25 e del 26 maggio 1409 lamentavano infatti che Como «era rimasta spopolata a causa delle diverse calamità portate dalle guerre» (diversis guerrarum calamitatibus depopolata remansit), sicché era urgente richiamare gli abitanti vecchi e attirarne di nuovi. Il primo dei due testi concedeva dunque a tutti i forenses che si fossero trasferiti entro le mura un’esenzione quinquennale da tutte le imposte ordinarie e straordinarie nonché, per lo stesso periodo, la protezione delle magistrature urbane nei confronti di tutti i debiti pregressi, che non fossero nei confronti di altri cittadini comaschi. Il secondo intimava a tutti coloro che si erano allontanati dalla città e che non fossero oppositori della pars Ruschonorum, di rientrarvi entro un mese o di fornire giustificazioni della loro assenza, se non avessero voluto incorrere nel sequestro di tutti i loro beni. Inoltre, il 24 luglio Franchino tentò di contrastare l’aumento dei prezzi dei generi alimentari e il rischio di carestia vietando rigorosamente l’esportazione delle granaglie, del legname, delle castagne e del vino dal distretto comunale e imponendo una pena di dieci fiorini e due bastonate per ogni moggio di cibo o botte di vino fatta uscire.
La politica di pacificazione di Franchino, in effetti, non aveva avuto alcun successo e una parte consistente del territorio comunale gli si era dichiarata ribelle. Diverse comunità del contado, fra cui le ricche Fino Mornasco e Torno e i comuni ticinesi di Sonvico, Carona e Morcote non riconobbero la sua autorità e gli si opposero, anche militarmente, dando ospitalità ai fuoriusciti, capitanati da Giovanni, detto Rosso Malacrida, che nel 1406 era stato infeudato dal duca della terra di Musso, nell’Alto Lario. Bellinzona era stata inoltre occupata dagli Urani, come tutta la val Leventina. In città egli invece sembra aver avuto un sostegno abbastanza solido, rafforzato da provvedimenti come l’allargamento della rappresentanza dei ceti produttivi nella Società dei Mercanti, e mutando così gli assetti consolidatisi in età viscontea. Impose inoltre come vescovo un religioso cittadino, frate Antonio Turconi (parente di Donetta Turconi, amante del figlio Lotario), contro il candidato ducale, il milanese Guglielmo Pusterla.
Nonostante le difficoltà incontrate per affermare la propria autorità sul territorio del Comune di Como, Franchino Rusca condusse un’ambiziosa politica regionale, che, in coordinamento con Facino Cane, avrebbe dovuto condurlo a creare una forte rete di alleanze in grado di dominare una vasta area prealpina. In particolare, si propose come alleato e protettore della parte ghibellina dei territori del lago Maggiore, detta dei Mazzarditi, e del suo più importante esponente, Pietro Besozzi. Besozzi era cognato di Franchino, avendone sposato la sorella Donnina. L’influenza di Rusca si doveva poi estendere fino a Vercelli, dove aveva combinato un matrimonio tra suo nipote Giovannolo e Bianchina, esponente della potente discendenza ghibellina dei Tizzoni.
La politica lombarda fu sconvolta nel 1412 dalle due morti contemporanee di Giovanni Maria Visconti (assassinato il 16 maggio) e di Facino Cane (scomparso lo stesso giorno a Pavia di morte naturale). Si aprì così la strada a Filippo Maria, il fratello minore di Giovanni, che, dopo aver sposato Beatrice, la vedova di Facino, ed essersi così assicurato le risorse militari del defunto capitano, entrò in Milano, dove assunse il titolo ducale, probabilmente nel mese di luglio. Franchino si affrettò a cercare l’amicizia del nuovo duca, con il quale concluse una tregua il 12 novembre.
Pochi giorni dopo, alla fine di novembre del 1412, anche Rusca venne a morte, lasciando il potere al figlio Lotario.
I funerali furono molto solenni e i suoi resti furono sepolti nella cattedrale di Como, nei pressi dell’imponente altare donato nel 1317 dal prozio Valeriano. La tomba di Franchino fu poi fatta smantellare e rimuovere dai fabbricieri del duomo nel 1494.
Sposatosi, in data ignota, con una donna di nome Tommasina, che gli sopravvisse, ebbe tre figli: l’erede Lotario, Antonio, che si fece frate minore, ed Elisabetta, che sposò il nobile milanese Giacomo Mandelli.
Fonti e Bibl.: B. Corio, Storia di Milano (1503), a cura di A. Morisi Guerra, II, Torino 1978, pp. 986-1036; E. Motta, Le lettere ducali dell’epoca viscontea nell’archivio civico di Como, I, in Periodico della Società storica comense, VII (1890), pp. 185-267 (in partic. p. 221, doc. 60), II, ibid., IX (1892), pp. 9-82 (in partic. p. 53, doc. 368); Statuti di Como del 1335. Volumen magnum, a cura di G. Manganelli, II, Como 1945, pp. 267-280 (Decreta Franchini Rusche).
B. Giovio, Historiae patriae libri duo, Venezia 1629, pp. 68-75; R. Rusca, Il Rusco, ovvero Dell’historia della famiglia Rusca, Venezia-Torino-Vercelli 1664, pp. 103-116; G. Rovelli, Storia di Como, III, 1, Como 1803, pp. 55-67; P. Schaefer, Il Sottoceneri nel Medioevo. Contributo alla storia del Medioevo italiano, Milano 1954, pp. 317-319; P. Grillo, La fenice comunale. Le città lombarde alla morte di Gian Galeazzo Visconti, in Storica, XVIII (2012), 53, pp. 39-62; L. Bertoni, Facino Cane signore di Varese: i rapporti con la famiglia Besozzi, in Facino Cane. Predone, condottiere e politico, a cura di B. Del Bo, Milano 2014, pp. 189-207 (in partic. pp. 198-199); P. Grillo, Vercelli nella crisi del ducato visconteo (1402-1416), in Vercelli fra Tre e Quattrocento, a cura di A. Barbero, Vercelli 2014, pp. 17-32 (in partic. pp. 27-28); E. Canobbio, Christianissimus princeps: note sulla politica ecclesiastica di Filippo Maria Visconti, in Il ducato di Filippo Maria Visconti. 1412-1447. Economia, politica, cultura, a cura di F. Cengarle - N. Covini, Firenze 2015, pp. 285-318 (in partic. pp. 288 s.); E. Canobbio, Giuspatronati privati nelle chiese di Como, in Famiglie e spazi sacri nella Lombardia del Rinascimento, a cura di L. Arcangeli et al., Milano 2015, pp. 35-57 (in partic. pp. 56 s.); P. Mainoni, La politica economica di Filippo Maria Visconti: i traffici, l’Universitas Mercatorum, le manifatture tessili e la moneta, in Il ducato di Filippo Maria Visconti. 1412-1447. Economia, politica, cultura, a cura di F. Cengarle - N. Covini, Firenze 2015, pp. 167-210 (in partic. p. 185).